la Repubblica, 31 agosto 2021
C’è del vino in Danimarca
Røsnæs, Danimarca. A mezzodì bisogna rifugiarsi all’ombra, sotto gli ombrelloni del ristorante della casa vinicola Dyrehøj. Le vigne che guardano il mare sono proprio lì davanti, oltre la strada che percorre quel lembo di terra. La giornata è limpida, senza una nuvola, come le altre che l’hanno preceduta e quelle che la seguiranno. Verso le due di pomeriggio si raggiungono anche i 30 gradi percepiti e le famiglie corrono in spiaggia per farsi il bagno. Perfino i colori sono mediterranei, almeno su quel versante punteggiato dai filari dell’isola di Sjælland, bagnata dal Mar Baltico, la stessa dove sorge Copenaghen.
«Ormai comincia ad esser necessaria perfino l’aria condizionata», commenta sorridendo uno dei ragazzi che serve ai tavoli, biondo e con immancabili occhi azzurri, mentre si affretta a portare tartare di carne, piatti a base di salmone o aringhe. «Avete avuto fortuna», aggiunge Lisa Hilden Nielsen, architetto di Copenaghen che ha comprato una casa nelle vicinanze a pochi metri dalla costa. «In genere in questa stagione dovrebbe piovere».
Già, siamo stati fortunati e con noi anche i danesi che si ritrovano fra le mani un’estate fresca di sera e calda di giorno come quelle del nord Italia di venti anni fa. Ma se si trattasse davvero solo di un caso, da queste parti non si riuscirebbe a produrre del vino. Dalla zona di Røsnæs invece, dove ci sono le vigne della Dyrehøj piantate da Tom Christensen nel 2007, viene il 20 per cento delle bottiglie danesi. Se ne producevano appena 40mila 15 anni fa, grazie a venti aziende vinicole. Oggi Christensen da solo ne sforna 50mila mentre le case vinicole sono diventate più di mille e cento.
Che si riesca a produrre vino dove sembrava impossibile è noto e lo è altrettanto che alcuni champagne francesi come Taittinger e Bollinger abbiamo acquistato terreni in Inghilterra. Ma è la velocità del cambiamento ad impressionare. Secondo il Danish Meteorological Institute (Dmi), che raccoglie dati dal 1874, quest’estate si sono registrate temperature di 1,6 gradi più elevate della media fra il 1961 e il 1990 e di 0,7 gradi rispetto al periodo 2006-2015. Non è da record come quella del 1997, è però in linea con gli ultimi cinque anni. Con una differenza: piove sempre meno.
«Con il caldo gran parte dell’acqua è evaporata», ha spiegato il climatologo Rasmus Stoltze Hansen. «L’indice di siccità, che stima la quantità di acqua nel sottosuolo, il serbatoio al quale le piante attingono, questa estate era ai massimi».
Viene da chiedersi come sarà la Scandinavia fra venti anni. Sarebbe utile avere un’idea precisa per un nostro mero tornaconto commerciale, considerando che il vino in Italia è un settore che nel 2020 valeva poco meno di 4 miliardi di euro stando ai dati Istat ma ormai a luglio e agosto al sud si superano i 40 gradi e i primi a soffrire sono proprio i vigneti. L’estate fortunata della Danimarca prende altri colori se la si guarda in questa prospettiva. Magari però è solo un’estate eccezionale, l’ennesima, grazie alla quale a Copenaghen si fa il bagno nei canali come si trattasse di spiagge cittadine e ad un’ora di macchina si produce del vino discreto come il Solaris della Dyrehøj, premiato come il miglior bianco del Paese al Danish Wine Show 2020. La strada da fare per eguagliare i vini spagnoli, italiani e francesi è ancora lunga. Sempre ammesso che si riesca a continuare a produrli i vini in Italia come in Spagna. «Se avessi un un’azienda nel sud d’Europa, scommetterei comprando terreni qui», sottolinea Tom Christensen, il fondatore della Dyrehøj. «Perché fra 20 anni avrei un’attività di punta a livello interazionale».