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 2021  agosto 30 Lunedì calendario

Le lieti estati in villa nel Veneto del Sette-Ottocento

La villa non nasce come luogo per villeggiare. Sembra un paradosso, invece è letteralmente così. Il sistema delle ville venete, che si sviluppa a partire dalla seconda metà del Cinquecento, fino a dar vita a una sorta di Venezia di terraferma, con tanto di rii (fiumi e canali) che collegano gli edifici tra loro e con la Dominante, è in realtà un sistema economico. La villa viene concepita come posto dove guadagnare: sta al centro di un’azienda – agricola, ma talvolta anche pre industriale – dove si sviluppano varie attività: la coltivazione, l’allevamento, la vinificazione, l’oleificazione, la molitura in presenza di corsi d’acqua in grado di supportarla. La villa vera e propria è la casa dominicale dove el paròn dirige e controlla le attività economiche.

«Passione, mania, disordine»
Le cose cambiano tra Sei e Settecento, quando nelle ville si comincia anche a villeggiare e il trasferimento estivo diventa un vero e proprio dovere sociale, così ben descritto da Carlo Goldoni nella Trilogia della villeggiatura. La stagione del soggiorno in campagna inizia a maggio e finisce in novembre, per San Martino, quando si rientra in città in corrispondenza dei primi ghiacci. Durante i mesi estivi avveniva un vero e proprio trasferimento delle classi sociali più elevate verso le residenze di campagna, con una parallela trasmigrazione dei modi di vivere cittadini. «L’innocente divertimento della campagna è divenuto a’ dì nostri una passione, una manìa, un disordine» in questo modo Goldoni introduce la Trilogia, scritta a villa Widmann di Bagnoli, nel Padovano. (...)
Villa Widmann è dotata di un teatro, e anche questo la dice lunga su come fossero attrezzati questi edifici. Peccato che il teatro della villa di Bagnoli sia andato distrutto in un incendio a fine ’700: Goldoni vi aveva messo in scena propri lavori nel 1755 e nel 1757, davanti a un pubblico molto folto. Ne scrive nelle Memorie: «Vado a trascorrere il resto dell’estate a Bagnoli, terra bellissima nel distretto di Padova, appartenente al conte Widmann, nobile veneziano e feudatario negli Stati imperiali. Questo signore, colto e generoso, conduceva sempre con sé una numerosa e scelta compagnia; con questa si recitava la commedia, la recitava lui stesso. Io fornivo dei brevi canovacci, ma non avevo mai osato interpretarli. Alcune dame della compagnia mi obbligarono ad assumermi un ruolo di amoroso, le accontentai, ed ebbero così motivo per ridere di me e divertirsi a mie spese».
Un diciassettenne Giacomo Casanova nel 1742 va in villeggiatura dal grande nemico di Goldoni, ovvero Carlo Gozzi nella villa a Visinale di Pasiano (Pordenone). Gli viene assegnata come cameriera personale Lucia, una contadinella quattordicenne e, per quando ci possa apparire assurdo, è lei a voler sedurre il giovanissimo Casanova, mentre Giacomo incredibilmente resiste. La ragazza, già perfettamente formata, per una decina di giorni gli porta il caffè in camiciola e gonna al ginocchio, poi si siede vicino, sul letto, e si ferma a parlare. Giacomo resiste, come detto, e alla fine non ne può più e dice alla giovane che non la vuol più vedere.

«Rispettai la sua verginità»
La reazione di lei però è maliziosetta assai, anche in questo caso non si capisce se per beata ingenuità o per perfido calcolo. Comunque, «alla fine del mio discorso, ella si asciugò gli occhi col davanti della camicia senza riflettere che con questo atto pietoso spiegava ai miei occhi due scogli fatti per far naufragare il più esperto nocchiero»: lui la respinge, lei gli mostra il seno. A questo punto anche Lucia afferma di essere innamorata e pronta a cedergli. Ma Giacomo non ci sta: «Con tutto ciò, rispettai la sua verginità, proprio per il fatto che lei non mi opponeva la minima resistenza. Ero un vizioso cosiffatto».
Anche Lord Byron soggiorna in villa, da metà giugno 1817, a La Mira (oggi, più semplicemente Mira), una decina di chilometri dalla foce del Brenta. Il poeta affitta villa Foscarini, sulla riva sinistra del fiume. È un grande edificio palladiano, un ex convento, sulla strada per Padova. Byron racconta a John Cam Hobhouse: «Più spaziosa che bella, e nemmeno tanto spaziosa, come tutte le vecchie abitazioni marittime venete è troppo vicina alla strada. Sembra che ritengano di non aver mai abbastanza polvere per compensare la lunga immersione». L’ha probabilmente scelta perché la ventiduenne Marianna Segati, la fidanzata del momento, naturalmente sposata, ha amici a Mira con i quali, per rispettare le convenienze, finge di alloggiare. Quella vita si addice a Byron. Nuota nell’Adriatico di pomeriggio, cavalca lungo la riva del fiume verso il tramonto, e scrive fino a tarda notte. Per l’inizio di luglio ha scritto trenta strofe del quarto e ultimo canto del Childe, con i celebri versi «I stood in Venice, on the Bridge of Sighs / A palace and a prison on each hand».
Lungo la Riviera del Brenta avviene l’incontro con quello che sarà l’altro grande amore veneziano di Byron: Margherita Cogni, soprannominata la «Fornarina» in quanto moglie di un fornaio tubercolotico, Andrea Magnarotto (forse si tratta di un riferimento al quadro in cui Raffaello ha ritratto la propria amante con il medesimo soprannome, visto qualche tempo prima a Firenze).
Il poeta, assieme all’amico Hobhouse, bighellona a cavallo quando una sera, in mezzo a un gruppo di contadini, nota due ragazze, «le più carine che avessimo visto da tempo»: in testa portano il fazziolo, ovvero il fazzolettone bianco che scende fino ai fianchi, tipico delle popolane. Nelle campagne venete c’è grande miseria e lui si è guadagnato la reputazione di generoso. Una delle due ragazze si fa avanti e dice, in veneziano: «Perché aiutate altri e non pensate anche a noi?».

Sposata, quindi libera di tradire
Byron si volta sulla sella e le risponde: «Cara, tu sei troppo bella e troppo giovane per aver bisogno del mio soccorso». Ma lei è prontissima a ribattere: «Se vedeste la mia capanna e il mio cibo non direste così». Il tutto ha un tono scherzoso, vagamente da commedia goldoniana, ma ciò non impedisce che si fissi un appuntamento per qualche sera dopo. Le ragazze arrivano con delle accompagnatrici, ma la più giovane, ovvero la ragazza destinata a Hobhouse, viene colta dal panico perché non è sposata e «qui non si fa nulla se non si tratta di adulterio», precisa Byron. Margherita invece resta: lei è di tutt’altra pasta ed è sposata, quindi – venezianamente – una donna libera e infatti presto lascia il marito a Mira e si trasferisce nel palazzo sul Canal Grande dove Byron vive, diventando di fatto la padrona di casa.
La villeggiatura in villa viene via via abbandonata nel corso dell’Ottocento, a mano a mano che la società borghese si sostituisce a quella aristocratica. Non ci si può permettere di stare sei mesi lontano dalla città e cominciano ad affermarsi nuovi modi di trascorrere le vacanze: in montagna, per esempio, e sul finire del XIX secolo di sviluppa l’asburgica Cortina d’Ampezzo, e al mare. Nel 1872 viene fondata la Società Civile Bagni Lido che dà il via allo sviluppo di quella che diventerà una delle più famose spiagge d’Europa. —