il Fatto Quotidiano, 30 agosto 2021
Le banche si sono fatte più furbe
Giusto vent’anni fa uscì il mio libro Il risparmio tradito. Il titolo introdusse un’espressione fino ad allora sconosciuta, che però ebbe presto rapida diffusione. Infatti nel settembre 2001 fallì l’Argentina, l’anno dopo la Cirio, nel 2003 Parmalat. Si aggiunsero altri crac minori, nonché trappole come For You e My Way di Mps e Banca 121. Milioni di italiani videro i loro risparmi andare in fumo. Un fenomeno etichettato appunto come risparmio tradito e imputato al sistema bancario, complice anche la carente vigilanza delle istituzioni. In vent’anni le cose sono cambiate? Certo, mediamente in peggio: le banche si sono fatte furbe, per cui ora sottraggono ancora più soldi ai risparmi messi da parte dai loro clienti, ma in modo meno manifesto, grazie anche a leggi e normative di favore.
Risparmio gestito a tappeto. In passato le banche sbolognavano ai risparmiatori titoli con alte probabilità di default. Poi sono venuti al pettine gli effetti indesiderati: il cliente si infuria, arrivano grane giudiziarie e altre spiacevolezze. Meglio rifilargli sempre e solo gestioni, polizze, fondi pensione e simili, scaricando semmai lì l’immondizia. Così si può sottrargli anche lecitamente un 3-4% l’anno, che però difficilmente salta all’occhio per l’opacità di tali prodotti. E se occhio non vede, cuore non duole. Raschiare via anche solo un 2% l’anno sui 2.500 miliardi di euro affidati in gestione dai risparmiatori italiani, significa sottrargli 50 miliardi di euro.
Firmare tutto. Banche e rete di vendita hanno predisposto moduli per mettere gestori e collocatori al riparo da ogni responsabilità o rivalsa. Il cliente deve assumersi ogni rischio e, fidandosi, di regola firma senza leggere pagine e pagine difficilmente comprensibili. Così ogni causa sarà persa in partenza. Sportellisti e altri venditori di fondi, polizze ecc. sono puri e semplici raccoglitori di firme. A voce possono raccontare falsità assortite, tanto nei documenti c’è scritto altro.
Gestioni multimarca. Altra furbizia è proporre fondi comuni non solo della propria, ma anche di altre società di gestione, le quali poi rigirano ai collocatori una bella fetta delle commissioni. Ma così si riesce a far bere ai clienti la storiella: “Scegliamo i fondi migliori e vi diamo modo di sottoscriverli”.
Assicurazioni trappola. L’allegra brigata del risparmio gestito ricorre spessissimo a uno strano marchingegno per incastrare i clienti. Ha infatti riesumato una formula frusta, cioè le polizze a vita intera. Così per cominciare riesce a bloccare per un anno le somme versate, che è già un bel tiro mancino. Poi addebita commissioni, retrocessioni, penalità per i riscatti e simili, a fronte di una normale gestione patrimoniale, ancora più opaca però che coi fondi comuni.
Consulenti finti. Prima i venditori di investimenti dovevano presentarsi come tali, in particolare quali promotori finanziari. Infatti sono agenti di vendita, iscritti alla Camera di Commercio, incassano provvigioni, versano contributi all’ente previdenziale degli agenti e rappresentanti (Enasarco) ecc. Nulla è cambiato nella sostanza, ma ora possono fregiarsi del titolo di “consulenti finanziari”, il che resta un inganno: un consulente è un’altra cosa, dà consigli, non cerca di rifilare il prodotto su cui guadagna di più, di regola il peggiore.
Diseducazione finanziaria. Un aiuto viene pure da Tesoro e Banca d’Italia con la cosiddetta educazione finanziaria, regolarmente subappaltata a banche, come Intesa, o realtà emanazione del sistema bancario, come Feduf. Ovvia conseguenza, l’educazione finanziaria si è trasformata in propaganda di sistema per portare acqua a risparmio gestito e previdenza integrativa.
Giornalismo allineato. Fino a qualche anno fa anche testate ad amplissima diffusione riportavano stroncature dei fondi comuni. Poi gli spazi per le critiche al sistema si sono progressivamente ridotti al lumicino: oggi gli articoli riecheggiano la pubblicità e i comunicati stampa di banche, assicurazioni, fondi d’investimento e fondi pensione.
Associazioni di consumatori. Pure su questo fronte l’establishment finanziario-assicurativo ha esteso il suo controllo, forte dei propri soldi e delle croniche difficoltà economiche delle controparti. È il caso del recente accordo quadro 2021-2023 fra Intesa Sanpaolo e le associazioni di consumatori. Chi ha i mezzi per finanziare le iniziative e, quindi, dirigerle nella direzione voluta? Solo la banca.