Corriere della Sera, 29 agosto 2021
Intervista a Bebe Vio dopo l’oro di Tokyo
Bebe Vio, prima che lei salisse in pedana a Tokyo suo papà Ruggero si chiedeva se ricordasse come si tira.
«Ahahahah… non aveva tutti i torti, questi mesi sono stati difficili e sono riuscita ad allenarmi pochissimo con il fioretto».
Un anno duro.
«Sì, prima ho avuto un infortunio, poi una brutta infezione. Ho rischiato l’amputazione del braccio sinistro. Dopo quello che ho passato averla vinta mi sembra quasi incredibile».
Che è successo?
«I primi quattro anni di preparazione sono andati benissimo, anche grazie ai miei allenatori e alle Fiamme Oro, grazie alle quali abbiamo potuto riprendere in sicurezza e presto. L’ultimo anno è stato invece parecchio sfigato per l’infortunio, l’infezione e l’operazione che ho dovuto fare».
Che rischi ci sono stati?
«Pesanti. Una infezione da stafilococco che è andata peggio del dovuto e la soluzione era amputazione entro 2 settimane e morte entro poco. Quindi son felice. Hai capito perché ho pianto così tanto?».
L’hanno salvata.
«Devo dire che il chirurgo ortopedico ha fatto un miracolo. È riuscito a trovare solo all’ultimo la cosa. È stato bravissimo. Tutto lo staff lo ha fatto. Questa medaglia non è mia. È tutta loro».
Per questo aveva così tanta voglia di gareggiare, come è apparso da come ha cominciato: dando 5 a 0 a tutte le avversarie all’inizio.
«Avevo tanta grinta, tanta cattiveria sportiva e non vedevo l’ora. Sentivo proprio la felicità e la voglia di iniziare a tirare».
Niente stress?
«C’era, sì, ma non era tanto quello. C’era la voglia di andare lì e mettere quella maschera, sentire la voce dell’arbitro, il respiro dell’avversario, il coach dietro che ti dice cosa fare e cosa non fare, sentire quanto è importante avere compagne di squadra come le mie, sono qualcosa di eccezionale, chiunque potrebbe vincere con loro alle spalle».
Non ne ha parlato prima dei Giochi.
«Era una cosa mia e della mia famiglia. E poi non volevo si dicesse che cercavo un alibi, nel caso di sconfitta».
Ora non può più accadere con la medaglia d’oro al collo, la sua seconda nel fioretto in due Giochi Paralimpici.
«Esatto, ma non suona come quella di Rio. Però è bellissima e pesa molto di più».
Altre differenze?
«Sono due esperienze differenti, non so bene perché. Magari in questi 5 anni sono cresciuta. Quando fai la prima Paralimpiade è tutto stupendo e incredibile, ogni cosa è la più figa del mondo. la seconda fai più fatica da tanti punti di vista».
Quali?
«Sai che devi riuscire a riconfermarti, che non puoi andartene senza un risultato e che devi farlo anche per la squadra perché comunque viviamo per i nostri compagni di squadra e per me sono una famiglia».
Oltre a quella della scherma, c’è la sua: mamma Teresa, papà Ruggero, sua sorella Maria Sole e suo fratello Nicolò.
«Sono tutto. In questo periodo hanno sofferto con me. La medaglia voglio dedicarla a loro. Ci sarebbero anche altri nomi: Mauro per la fisioterapia, Peppone che mi ha tirato su, i due Simone che mi allenano. Siamo un bel gruppo».
Con loro ora farà la gara a squadre.
«Per me è la gara più importante. È bello vincere una medaglia d’oro, ma è bellissimo se lo si fa insieme ad amiche con cui si condividono tante esperienze. Dopo il bronzo vinto a Rio, con Loredana (Trigilia) e Andrea (Mogos) siamo andate in vacanza insieme».
Come si è sentita dopo la vittoria?
«Ho avuto un momento di completo silenzio. Poi ho iniziato a urlare e ci sono stati abbracci. Forse stanotte capirò che è accaduto davvero».
Ha battuto la stessa avversaria che batté a Rio de Janeiro, in un palazzo però senza pubblico.
«La mia famiglia era lì, il mio coach era lì, la mia squadra anche, tantissimi a casa so che mi guardavano in televisione. Bastava questo».
Che messaggio vuole dare con questa vittoria?
«Credere in se stessi è importante, ma ancora di più è che a credere in te siano la tua famiglia e i tuoi amici».
È felice?
«Sono felice quando gli altri lo sono. Oggi è così. Sì, sono felice».