Corriere della Sera, 29 agosto 2021
L’estate monacale di Mario Botta
L’estate sta finendo. Quella di Mario Botta è stata, ancora una volta, un’estate quantomeno inconsueta: chiuso da solo nel suo studio di Mendrisio nel Canton Ticino (dove è nato il primo aprile del 1943 e dove nel 1995 ha fondato la sua Accademia di architettura) a pensare e a lavorare. «Ho sempre avuto come modello gli artigiani e gli artisti come Giacometti, perennemente chiusi dentro le loro botteghe, anche durante l’estate, a sperimentare, a cercare, a trovare nuove soluzioni – spiega —. E il mio vuole essere un modo di progettare da artigiano, fatto appunto di ricerca quotidiana».
Niente di strano, allora, che anche in pieno agosto Botta si ritrovi piacevolmente isolato nel suo studio: «Amo alzarmi presto al mattino e lavorare nel silenzio assoluto, anche se mi piace la musica, ma non quando lavoro, perché mentre progetto ho bisogno di concentrazione. Con me non è rimasto nessuno dei miei collaboratori, solo uno dei miei figli, Tobia, che si è sacrificato per rispondere al telefono, in attesa che passi questo periodo delle vacanze per riprendere con il giusto ritmo. I primi anni ho avuto problemi con la famiglia, loro le vacanze le volevano fare o meglio le dovevano perché è la società che te lo impone, ma io ho sempre resistito».
Mai vacanze per l’architetto che ha inventato il Mart di Rovereto (1988-2002) e che ha ridisegnato la Scala di Milano (2002-2004)? «Non ne ho mai fatte, forse solo nell’adolescenza, anche perché, ben prima della pandemia, l’idea di una sosta che interrompeva in qualche modo i miei ritmi mi ha sempre dato molto fastidio». E la città non le sembra troppo vuota? «Che sia agosto me ne accorgo dal vuoto che c’è attorno. E di bello c’è che come d’incanto sparisce quella frenesia del lavoro che di solito accompagna il resto dell’anno. Così pur non cercandola una pausa in questi giorni d’agosto finisce per esserci. Una pausa che non è però svago, piuttosto tempo di riflessione».
Per questo la pausa d’agosto a Botta (che nella sua carriera ha abbracciato infinite tipologie edilizie, dalle scuole alle chiese, dalle banche alle biblioteche) piace molto: «Perché è come ritrovare il tempo che durante l’anno avevo perso, quel tempo che normalmente non posso più avere, un tempo in cui posso ritrovare me stesso, in cui recupero il piacere delle piccole cose ben fatte che mi erano sfuggite. Così ora il mio atelier è ingombro di modelli, di carte, di libri che avevo goduto solo per un momento, travolto dai ritmi». Dunque l’estate come un attimo sfuggito che puoi ritrovare: «E come un momento di riflessione, di piacere e persino di critica rispetto a quello che ho fatto».
Citando Louis Kahn, Botta ha sempre parlato di un costruire che «è di per sé un atto sacro, un’azione che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura». E del «bisogno che spinge l’uomo a confrontarsi con la dimensione dell’infinito» come «di una necessità primordiale nella ricerca della bellezza che sempre ha accompagnato l’uomo nella costruzione del proprio spazio di vita». In questa idea sacrale del progetto trova collocazione ideale una quotidianità più diradata (e comunque diversa) senza l’assillo del fare, del telefono, del correre, del lavorare. «La mia giornata – confessa – è in fondo la stessa di sempre, solo con un tempo meno frenetico è più monacale, dove tutto è più regolare, dove si mangia a mezzogiorno e si cena alle otto, come in un convento, ma un convento libero». La cultura protestante, nordica certo aiuta: «I primi quindici giorni d’agosto ci sono le ferie dell’edilizia e quindi tutti i cantieri sono chiusi per legge. Così nessuno in pratica ti chiama. E questo ti cambia già il ritmo. È come se la settimana fosse fatta di sette domeniche».
Ma alla fine cosa fa Mario Botta (Tracce di una scuola. Accademia di Mendrisio 1996-2021 è il suo libro più recente pubblicato da Electa) d’agosto isolato nel suo studio? «Più che progettare rifletto su quello che ho già fatto, rivedo gli schizzi... i miei collaboratori, ora sono una quindicina, lavorano tutti al computer, con lo schermo, ma io non so correggere sullo schermo e quindi disegno sempre a mano libera e poi stampo per vedere gli spazi e correggere». E visto che il disegno, per Botta, incarna la visione del mondo, visto che per lui la matita è come un sismografo che riesce a registrare le nostre emozioni l’architetto ad agosto si dedica molto ai suoi disegni. «Chiedo loro cosa vogliono diventare, cosa faranno da grandi».