Specchio, 28 agosto 2021
Intervista ad Antonella Clerici
Fuori si sente il rumore del bosco, due cani che giocano abbaiandosi di rimando, la voce di Maelle che gioca con un’amica. «Sto guardando lontano, vedo il prato selvaggio, una distesa verde lasciata così com’è, e poi là in fondo l’Appennino ligure che mi avvolge e protegge». Antonella Clerici vive in questa casa nel bosco, tra Piemonte e Liguria, da tre anni e sembra che la scelta di lasciare Roma sia stata perfetta per lei e la sua famiglia.
Da cosa la protegge l’Appennino tutt’attorno? Di cosa ha paura?
«Ho paura di invecchiare, di morire. La morte è stata molto presente in questo periodo, per tutti. Ci penso e mi rendo conto che ho paura anche degli aspetti concreti della morte, essere chiusa, i loculi. Non so, forse vorrò diventare cenere e rimanere per sempre nel bosco».
Cosa fa per combattere questa paura?
«Non la combatto, lascio che mi attraversi. Imparare a farlo mi è costato molta fatica, ma ora sono concentrata sul vivere l’attimo, il qui e ora. Io sono sempre stata abituata a proiettarmi in avanti, a programmare ogni cosa. Ora invece ho bisogno di fare una cosa per volta. Dove arrivo arrivo».
La natura aiuta a pensare, a riflettere su se stessi.
«Quando prendo in mano il metro della vita, mi è molto chiaro che quella che ho vissuto è molto più lunga di quella che mi rimane. Ma voglio ancora il tempo per godermi mia figlia Maelle, di vederla cresciuta e realizzata. Voglio vivere fino in fondo questo nuovo grande amore della seconda parte della mia vita, Vittorio».
Ho letto che le chiedono sempre se vi sposate. Chi sono io per non chiederglielo? Vi sposate?
«No, non abbiamo intenzione di farlo. È una storia bellissima, amiamo la nostra vita com’è ora e non abbiamo bisogno di sposarci. Almeno per ora».
Sua figlia ha dodici anni, sarà felice di vivere in un bosco.
«È entusiasta, ha un rapporto con la natura e gli animali molto forte. Qualche giorno fa parlavamo di casa nostra a Roma e lei mi ha detto che nemmeno se la ricorda: sente di avere sempre vissuto qui. A me questa cosa piace, credo nei valori della provincia, della normalità con la quale ti aiuta a crescere, delle persone che ti stanno attorno e ti aiutano quando ne hai bisogno».
Lei che madre è?
«Prima di tutto sono una madre grande. Ho avuto Maelle a quarantacinque anni. Se proprio devo essere sincera, pensavo che sarei stata molto più apprensiva e angosciante. L’unica cosa sulla quale sono veramente rompiscatole è la scuola. Sono molto severa sullo studio, le ho spiegato che la cultura è libertà. Lei è molto sveglia, ricettiva, pochi giorni fa abbiamo parlato delle donne afghane e degli uomini che limitano la loro libertà di studiare. Ci tengo a farle capire che è importante non perdere tempo. Io l’università l’ho finita in tre anni e mezzo, ho studiato Giurisprudenza. Se hai una passione devi sbrigarti a realizzarla».
Da lei impara anche l’autoironia? Lei si prende molto in giro.
«Sì, io rido molto di me stessa, anche con Vittorio, non mi prendo mai molto sul serio. Rido molto di quella che è la mia vita. Da qualche tempo per esempio parlo anche in tv della mia menopausa, dell’ingrassamento, degli ormoni e questo mi avvicina alle persone. I miei problemi sono quelli di tutti ed è giusto parlarne».
Quanto le è pesato il tempo lontano da "La prova del cuoco"?
«Quando ho smesso ho sentito bisogno di staccare. La mia amica Tiziana allora mi disse: "Anto fai bene a non farlo più perché non parli più al pubblico, sei stanca, avevi il cuore e adesso sei piatta". Così sono andata a rivedere le puntate: ed era vero. Per tornare avevo bisogno di qualcosa che significasse dialogo in cucina, come se ospiti e pubblico venissero a casa mia a parlare. Ora è bello avere la possibilità di farlo, con leggerezza».
Autori che hanno lavorato con lei in passato hanno detto che è bello lavorare insieme, che lei è la più divertente. Non lavorano più con lei, non è piaggeria.
«In effetti io amo molto creare serenità nel gruppo. Alcuni miei colleghi arrivano a risultati migliori creando conflitto in redazione, ma a me lo scontro crea agitazione. Se c’è serenità io rendo al meglio e voglio che i miei collaboratori siano sereni. Mi è capitato a volte di rinunciare ad autori anche molto bravi ma che non sapevano lavorare in squadra. Ecco, io preferisco avere per collaboratori un gruppo di amici che amano stare insieme. Ascolto i loro problemi, viviamo insieme le nostre felicità. Cerco di esserci sempre per le persone che lavorano con me. Come per gli amici».
Sa cosa dicono di lei (sempre quei suoi autori che non nominiamo)? Che lei non ha perso la testa come alcuni suoi colleghi che sono stati travolti dalla popolarità.
«Io mi sento un po’ sempre Cenerentola al ballo, questa provincialità mi è rimasta addosso. Ogni tanto le mie amiche mi dicono "tu non sai chi sei". Ma io lo so chi sono: sono Antonella. Non mi sento mai superiore a qualcuno. Qualche volta mi guardo indietro e vedo la mia carriera, e sì, vedo che è stata lunga e bella e non dico che non mi faccia né caldo né freddo: ma non mi sento meglio di altri».
Parliamo ancora di amici. Le faccio due nomi. Carlo e Fabrizio.
«Carlo Conti è il mio amico fraterno. Gli chiedo sempre consigli, con lui mi consulto molto. Pur nella nostra diversità, io sono molto emotiva, lui è più diretto, più dritto, io sono più tortuosa. C’è con Carlo un legame molto forte, non c’è una cosa che non gli direi».
So che non è facile, ma non possiamo parlare di amicizia se non parliamo di Fabrizio Frizzi.
«È una situazione ancora delicata per me parlare di Fabrizio. Penso che vada rispettata. I silenzi, anche quelli di sua moglie Carlotta, vanno rispettati. Lei e la loro figlia Stella hanno appena passato le vacanze con noi. Ancora oggi ogni tanto qualcuno mi chiede di convincere Carlotta a raccontare di lui. Ma non lo farò mai. Con Carlo ci diciamo sempre che parlando della Dear, gli studi a lui intitolati, non riusciamo ancora a dire "dagli studi Fabrizio Frizzi". È impossibile per noi».
Cosa le manca di più di Fabrizio?
«La sua risata. Fabrizio lo sentivi arrivare da lontano. Era un uomo travolgente. A differenza di Carlo che è calmo e riflessivo, Fabrizio, anche se non sembrava, era più esplosivo, fumantino».
Voi tre eravate molto uniti, due fratelli e una sorella. Così vi descrivono.
«Il fatto di essere diventati tutti e tre genitori in età avanzata ci ha legati ancora di più. E siamo stati così fino agli ultimi giorni. Abbiamo cercato di proteggere Fabrizio in ogni modo, dopo il suo malore. Carlo in modo particolare lo ha molto protetto».
Perché Frizzi ha voluto lavorare fino all’ultimo?
«Perché voleva esorcizzare quello che capiva che gli stava succedendo, per rispetto e amore del pubblico, perché voleva andare avanti e farcela. Le persone non immaginano quanto certi giorni soffrisse per portare alla fine una trasmissione».
Dopo il malore, Carlo glielo portò in studio a "La prova del cuoco" nel giorno del suo compleanno.
«Non sapevo nulla, fu una sorpresa fantastica anche perché pensavamo che si stesse rimettendo. Ero così felice che non riuscivo più a parlare. Mi sono persa nel suo abbraccio, un abbraccio che non potrò mai più dimenticare».
Qualche giorno dopo lo ospitò alla serata Telethon: Fabrizio fece il numero della macchina per scrivere di Jerry Lewis. Lei lo presentò entusiasta, ma non incrociò mai il suo sguardo. Perché?
«Non lo guardavo negli occhi perché non ce la facevo. Mi veniva un magone troppo forte. Non volevo che mi leggesse dentro: non volevo che vedesse il mio dolore nel vederlo provato, non volevo che soffrisse leggendo la mia sofferenza. È stato un momento con un equilibrio molto delicato».
Fabrizio lo era, lei e Carlo lo siete: amati dal pubblico.
«È vero ed è bellissimo. Io dico sempre che una cosa è essere famosi, un’altra è essere amati. Credo che succeda perché si crea empatia con le persone, si crea un rapporto di grande affetto vero, che è difficile che scemi. Avere un programma quotidiano è quello che ti porta quel tipo di rapporto con le persone: era successo a Fabrizio con I fatti vostri, a Carlo con L’eredità, a me con La prova del cuoco. Il programma quotidiano ti dà quella forza lì. Tutti i grandi presentatori sono diventati tali grazie a un quotidiano».
Lei percepisce l’importanza del suo ruolo per molte persone che la guardano?
«Eccome. Specie in questi ultimi anni. Eravamo tutti chiusi in casa, molte persone erano sole, disorientate. Con È sempre mezzogiorno!, che tra poco ricomincerà, siamo andati avanti e ho voluto che ci fosse il telefono in studio, la possibilità di chiamare le persone a casa, per ascoltare e per fare sentire che noi eravamo lì con loro. Abbiamo parlato con loro e continueremo a farlo di tanti argomenti importanti, quelli della cronaca, quelli della vita di tutti i giorni. La cucina è solo un pretesto. Quello che facciamo è dire "venite qui, mettiamoci intorno a un tavolo e parliamo delle cose che ci stanno a cuore". Anche The Voice Senior, che sta per tornare, ha funzionato: è stato un programma vicino alle persone che avevano bisogno di quel tipo di intrattenimento. Curiosamente è stato amato anche sui social, che di solito sono perfidi».
Lei ha un rapporto rilassato con i social. Su Twitter non la mettono quasi mai al centro di polemiche.
«Insomma, qualche giorno fa ho detto la mia sui vaccini che vanno fatti e me ne hanno dette di tutti i colori. Credo sia importante recuperare la gentilezza e sostituirla all’arroganza. Quando incontro le persone mi dicono sempre che mi vogliono bene come a una di casa, come a una sorella. La gente sa distinguere, sa volerti bene. Io con il pubblico ho fatto un patto di fedeltà, sono sempre stata sincera: ho parlato delle difficoltà a rimanere incinta, delle corna, della menopausa. E non me ne sono mai pentita».
Si diverte ancora in tv?
«Sì, molto. Ma non posso andare avanti per sempre a fare un quotidiano, ho un’età. Ci va qualcuno che lo faccia al posto nostro. Ho quasi 58 anni e cerco di fare meno cose, più giuste per la mia età».
Vede qualche giovane che potrà sostituirvi?
«Alessandro Cattelan mi piace molto, mi è sempre piaciuto. Si sa muovere in diversi ambienti, Sky, Netflix, i social. La tv non è più una cosa a compartimenti stagni. è giusto che la Rai investa su di lui: è un conduttore puro, come è giusto che sia, non un attore o altro prestato alla conduzione».
Pensa mai di voler fare qualcosa di diverso in tv?
«Mi piacerebbe fare un programma di interviste a persone non famose ma che sono entrate nella nostra storia, magari cambiandola. Penso per esempio alla mamma di Alfredino Rampi, oppure a vittime di sequestri. Vorrei ascoltare le loro storie di ritorno alla vita. Magari girarle in un giardino, un luogo lieve».
La campagna è una fissazione.
«Quando ho detto a Lucio Presta, il mio manager, che avrei lasciato Roma per un bosco, mi telefonava e mi sfotteva: mi faceva "Ciiip! Ciiip!" al telefono. Un anno dopo si è comprato una casa in campagna ed è andato a viverci. E sa cosa faccio io?».
Lo chiama?
«Ciiip! Ciiip!».