Specchio, 28 agosto 2021
Caccia al litio in Serbia
Un Paese europeo ancora fuori dal club che conta, l’Ue, con un’economia in crescita ma standard di vita ancora lontani da quelli del Vecchio continente, scopre nelle profondità del terreno un potenziale tesoro, che potrebbe cambiarne il fu arricchendolo e trasformandolo in una potenza mineraria. Un colosso estrattivo straniero fa ambiziosi piani per sfruttarlo, mentre le autorità si fregano le mani, immaginando cospicue entrate nelle casse statali. Ma nella popolazione crescono paure e angosce, per un potenziale disastro ambientale. Di enormi dimensioni.
È lo scenario che si sta concretizzando in Serbia, Paese che nel giro di qualche anno potrebbe diventare uno dei massimi produttori globali di litio, l’oro bianco sempre più ricercato per batterie di auto elettriche, telefonini e pannelli solari. La storia inizia nel 2004, quando geologi della Rio Tinto, un gigante minerario anglo-australiano, scoprono nella Serbia occidentale, non lontano dalla cittadina di Loznica, la "Jadarite", così battezzata per il fiume che lambisce l’area, lo Jadar. Minerale preziosissimo, da cui estrarre litio e boro, che ha per di più una composizione quasi identica all’immaginaria kryptonite dei film di Superman. Ma in Serbia, oggi, non ci sono supereroi, solo mega-progetti di sfruttamento di litio pronti a partire, facendo paura a molti. Non certo a Rio Tinto, che nei giorni scorsi, a 17 anni dalla scoperta della Jadarite, ha annunciato di essere pronta a far affluire nel "Progetto Jadar" la bellezza di 2,4 miliardi di dollari, chiaro segnale di quanto il colosso punti sull’investimento nel cuore dei Balcani. Investimento in quello che potrebbe far nascere dal nulla uno dei più grandi giacimenti di oro bianco del pianeta, capace di produrre a pieno regime «58mila tonnellate di carbonato di litio, 160 mila tonnellate di acido borico e 255 mila di solfato di sodio, rendendo Rio Tinto uno dei primi dieci produttori di litio al mondo», ha annunciato in gran pompa l’azienda in questi giorni, evocando l’immagine di una miniera sotterranea e di impianti di trasformazione in grado di produrre «2,3 milioni di tonnellate di carbonato di litio in 40 anni». «Abbiamo grande fiducia nel progetto Jadar e siamo pronti a investire», quando le autorità di Belgrado rilasceranno tutti i necessari permessi, ha affermato Jakob Stausholm, l’amministratore delegato di Rio Tinto. E quei 2,4 miliardi di dollari, circa due in euro, sono nulla in confronto ai possibili guadagni che deriveranno dall’oro bianco, in un mondo dove «la domanda di litio è in crescita, trainata dalla transizione energetica», ha aggiunto Stausholm, promettendo che dallo Jadar arriverà presto, forse già a partire dal 2026, litio in quantità sufficiente a «dare energia a più di un milione di veicoli elettrici ogni anno» sul mercato europeo, una vera rivoluzione verde.
Ma di verde, a Loznica e dintorni, ne potrebbe rimanere ben poco, dopo che Rio Tinto - finita più volte in passato in giro per il modo nel mirino di attivisti, ecologisti e governi per l’impatto ambientale delle operazioni di estrazione - inizierà la produzione a tutto vapore. È quanto sostiene un numero sempre più consistente di serbi, residenti nella zona e non solo, sul piede di guerra contro il progetto. Si tratta di un «impianto velenoso» in una zona splendida e immacolata dal punto di vista naturalistico e importante da quello agricolo, ha arringato la folla Marjana Petkovic, attivista dell’organizzazione "Non daremo lo Jadar", durante una delle ultime proteste di piazza registrate nel Paese balcanico, fra le tante osservate negli ultimi mesi. E quasi 130 mila persone hanno firmato una petizione per chiedere lo "Stop alla miniera di litio", all’urlo "Mars sa Drine" (via dalla Drina, nda), un gioco di parole con una delle più celebri canzoni patriottiche serbe, Mars na Drinu.
Mars Sa Drine è anche il nome di un network di associazioni che si battono contro il progetto. «Protestiamo perché le risorse più preziose in futuro saranno acqua, aria e suolo fertile, non litio e boro, protestiamo perché vogliono cacciare gli agricoltori serbi da terre che hanno coltivato da generazioni e contro la colonizzazione della Serbia da parte di investitori stranieri», racconta Bojana Novakovic, di Mars Sa Drine. Che poi fa un lunghissimo elenco dei potenziali danni dell’estrazione di litio in Serbia. E parla di «1,3 milioni di tonnellate l’anno di residui tossici», tra cui arsenico, che «devasteranno completamente il paesaggio e le aree agricole», di sfruttamento esasperato delle risorse idriche, polveri nell’aria, rumore, di «danni enormi e irreparabili».
Le «miniere di litio sono estremamente dannose per l’ambiente e vengono di solito realizzate in aree desertiche come Atacama o Nevada», ricorda da parte sua Dragana Djordjevic, professoressa e numero uno del Centre of Excellence in Environmental Chemistry and Engineering dell’Università di Belgrado. Invece, in Serbia si «pianifica l’insediamento di una miniera del genere in un’area popolata, molto fertile, tra due fiumi, lo Jadar e la Korenita», parti del bacino di Drina e Sava, corsi fluviali che «danno acqua da bere a 2,5 milioni di persone». E si parla di un bacino per i residui tossici, «lungo 900 metri, largo 250 e alto 60, pianificato nella valle di questi fiumi».
Djordjevic conferma poi anche i possibili rischi sulla salute dei residenti derivanti dalle polveri causate dall’estrazione, dal rumore e dalle vibrazioni causate dai processi minerari. Tutte le rassicurazioni di autorità e azienda non tranquillizzano e «la scala di distruzione sarà disastrosa», prevede l’esperta. Schierati con gli ostili al progetto, un buon 30% dei serbi che «non vuole che in nessun caso sia concessa la licenza a Rio Tinto» e un 59% che pretende massima vigilanza, ha svelato in questi giorni un sondaggio Demostat.
L’altra campana è però altrettanto rumorosa. Rio Tinto ha messo le mani avanti, promettendo il massimo rispetto dell’ambiente e attenzione ai bisogni delle comunità impattate dal progetto.
Sulla stessa linea le autorità di Belgrado, che garantiscono vigilanza. E difendono l’investimento, capace sulla carta di cambiare faccia al Paese, portando lavoro e ricchezza, con la Serbia che valuta di vietare l’export del litio e obbligando Rio Tinto a trasformare il minerale in loco. Ma anche contrattaccando, con il presidente Aleksandar Vucic che ha stigmatizzato le proteste, definite «propaganda politica» e ha persino evocato l’ipotesi referendum. Sull’oro bianco che divide la Serbia.