La Stampa, 28 agosto 2021
È sempre Cinema Paradiso
Lo sguardo è quello di trentatré anni fa, del bambino pieno di pidocchi che veniva rasato nel film. «I miei amici erano stati già presi tutti come comparse, io aspettavo una chiamata che non arrivava mai. Finché un giorno i responsabili della produzione mi videro in piazza e mi chiesero se ero disponibile a farmi tagliare i capelli a zero. E io dissi: certo che sì». Aveva sette anni Nicolò Granà, e si ritagliò il suo attimo di gloria in Nuovo Cinema Paradiso, la pellicola che avrebbe vinto l’Oscar nel 1990 dopo avere fatto sognare questo borgo di duemila abitanti nel cuore della Sicilia, eletto come set principale. Adesso Nicolò di anni ne ha quaranta e fa il sindaco del paese, Palazzo Adriano, un gioiello medievale in cui parte della popolazione conserva il rito bizantino degli esuli albanesi che lo fondarono. Lui, insieme con altri «ex ragazzi», partecipa adesso a un tour tra i luoghi del film condotto dalle comparse, un progetto realizzato nell’ambito di un festival in cui 58 paesi di tutta la Sicilia aprono i loro tesori e si raccontano in questo weekend e nel prossimo.
Tornatore si innamorò della piazza intatta con la grande fontana centrale dove tutti gli edifici – le chiese, la torre, il palazzo municipale – sembrano già collocate come in una scenografia perfetta, una Cinecittà en plein air.
«Fu un’esperienza tanto straordinaria – racconta l’assessore alla Cultura Salvatore Spata, anche lui comparsa nel film – che da allora è come se Palazzo Adriano fosse in attesa che la polvere di stelle cada di nuovo dal cielo, che si palesi di nuovo una troupe cinematografica a far sognare». Bambini oggi adulti, adulti oggi anziani, gente che in quei ruggenti quattro mesi di riprese del 1988 affittò casa alla produzione andando a vivere altrove, guadagnò 60 mila lire al giorno per fare la comparsa, prese il caffè con Noiret e con Leo Gullotta, dipinse fondali e scene insieme con gli scenografi della produzione. Visse un incanto da cui non è più uscito.
C’è Pippo Masaracchia, oggi forestale di 48 anni, che ai tempi ne aveva 14, immortalato con una divisa da soldato nella scena in cui il bigotto parroco don Adelfio (Leopoldo Trieste) benedice la nuova sala dopo che la vecchia è andata a fuoco nell’incendio che ha reso cieco Philippe Noiret-Alfredo. «Una scena infinita – racconta – durata un’intera giornata, Tornatore non era mai soddisfatto». Sempre lui, in divisa, aspetta la corriera che lo porterà via dal paese con una valigia in mano, «e quanta tensione nell’attendere quel bus e non sbagliare a salire». E ancora è confuso tra la folla nella scena in cui il pazzo del paese (Nicola Di Pinto) grida «La piazza è mia» e prova a cacciare tutti fuori.
C’è Caterina Barbata, che allora aveva 9 anni e frequentava la terza elementare, adesso fa l’insegnante, ne ha 42 e un figlio di dodici a cui racconta quei giorni in cui tutto il paese sembrava levitare. Nel film è in prima fila in una scena nella sala cinematografica, un vestitino marrone, a ridere accanto ad altri bambini. «Mi sono presentata alla troupe – racconta – c’era una delle sorelle di Tornatore, Piera, che ingaggiava le comparse. Ricordo la felicità della prova costume e della pausa pranzo, quando arrivavano i cestini…».
Andrea Mistretta, sessantuno anni, oggi fa l’assicuratore, allora era assessore al Turismo: «Teniamo viva la memoria, molti di quel tempo purtroppo non ci sono più, molti erano piccoli e ricordano a malapena, la mia generazione è custode di questa storia e sente il dovere di trasmetterla».
Così tante voci raccontano una storia sola, mentre il tour si snoda tra la fontana e il “basso” che era la casa del piccolo Totò (dove la madre lo schiaffeggia quando lo vede giocare con i frammenti di pellicola, tentando di distoglierlo da quella passione) dove adesso troneggia il mitico proiettore di Alfredo-Noiret. E poi c’è l’abitazione da cui Alfredo usciva, e la chiesa dove furono realizzate le scene di interno della sala cinematografica per cui Nicola Ribaudo, restauratore di mobili del paese – promosso sul campo uomo di fiducia dello scenografo Andrea Crisanti – realizzò dipinti e allestimenti. «Avevo trent’anni, guadagnai molto bene, anche quattrocentomila lire al giorno. Ma non mi è rimasto niente in tasca, quell’ambiente del cinema mi diede un po’ alla testa», racconta sorridendo.
Già, il Cinema Paradiso, tutto finto, tirato su dal nulla e poi abbattuto nel film per esigenze di copione, ma eretto a modello del palazzetto anni Venti che esiste davvero dall’altro lato della piazza e che – appena restaurato – si appresta a diventare il Museo del Cinema Paradiso, con un ampliamento della bella sezione espositiva allestita adesso in un’ala del palazzo municipale. A vederlo, con la sua facciata di inizio ’900, sembra davvero di vedere risorta per magia quella sala da cui Tornatore fece passare un’epoca. «Il primo tentativo di costruzione fallì, la facciata cadde – ricorda Spata – poi riuscirono a realizzarla e mi ricordo che tra i mattoni misero borotalco per sollevare un gran polverone quando il cinema sarebbe stato abbattuto. Ma anche abbatterlo fu un’impresa, i trattori tiravano e non veniva giù, Tornatore si disperava, finché a un certo punto arrivò il crollo». Davanti a un paese che piangeva, per finta e sul serio, perché qui realtà e fantasia erano già – allora e per sempre – diventate una cosa sola.