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 2021  agosto 28 Sabato calendario

Joan Thiele si racconta

Complici l’allure aliena che emana e una timidezza genuina, non ti aspetteresti questa empatia leggiadra mentre risponde calma dall’altro capo del telefono.
Da poco più di un anno ha intrapreso una svolta stilistica significativa: di origini italo-svizzero-colombiane, ha recentemente iniziato a scrivere e cantare in italiano.
Nel 2020 pubblica Operazione oro, il primo Ep in lingua italiana, nato dalle suggestioni di vecchie bobine di viaggi della sua famiglia, a cui Joan ha voluto dare idealmente una colonna sonora. Nel 2021 rilascia poi due capitoli del suo nuovo progetto: Atto I – Memoria del Futuro e Atto II – Disordinato spazio.
Come sei arrivata alla scelta di scrivere in italiano e perché – se c’è un motivo – proprio ora?
Da parte mia è stata una scelta molto sentita: improvvisamente ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere in modo nuovo, seguendo il flusso di quello che avevo nella testa. È un’esigenza nata dall’idea di poter in qualche modo fare una sintesi della cultura musicale italiana, per esempio le colonne sonore, accompagnando la musica con testi in italiano.
Non pensavo che ce l’avrei fatta. È stata davvero una sfida. Prima, avevo sempre considerato la scrittura in italiano come un limite: implica una proprietà di linguaggio completamente diversa e finisci per esporti in modo molto più diretto. Ma è stata un’esigenza artistica e anche spirituale di connessione con me stessa. La musica per me è un veicolo di cambiamento: quando qualcosa sta cambiando me ne accorgo prima attraverso la scrittura.
Quanto conta la scrittura musicale in italiano nella tua evoluzione artistica e personale?
Dopo il passaggio all’italiano, ho ripreso a scrivere anche in spagnolo e inglese ed è come se ci fosse stato un upgrade. Credo che, d’ora in poi, anche le cose che scriverò in inglese saranno un po’ più mature. Scrivere in italiano ti permette di capire tanto. Componendo anche molta musica strumentale, non mi rispecchio solo nei testi. Ma questo cambio nella lingua da me utilizzata è stata sicuramente una fase che mi è servita molto.
Quanto le tue radici internazionali hanno influito sul tuo approccio creativo?
Il mio passato, le mie radici in qualche modo influenzano molto quello che scrivo, ma non necessariamente rispetto alla lingua. Non è l’italiano a essere determinante: è il tipo di linguaggio nella musica che rappresenta una certa identità, nel mio caso fatta anche da una serie di esperienze, paesi, culture. Una cosa può suonare più o meno italiana a prescindere dalla lingua. Io mi sento molto più identitaria nel suono ora che prima, in questo momento mi sento molto più a fuoco rispetto alla mia persona. Non ci sono compromessi.
Negli ultimi tempi si è parlato molto di una nuova “scena italiana”. Cosa ne pensi? Ti riconosci in questa categoria?
Personalmente non mi riconosco all’interno di una “avanguardia” specifica, ma mi rendo conto che c’è una nuova scena, che siamo in totale evoluzione.
Siamo molti artisti, c’è sempre più musica, vedo un cambiamento, un approccio diverso. Non so se questa mia percezione è condizionata dal fatto che ho iniziato a cantare in italiano e io stessa sono quindi più aperta, ma vedo che ci sono artisti molto interessanti e che hanno cose nuove da dire.
Come vedi le donne nel mondo della cultura – e anche dello showbiz – oggi?
In generale sembra un momento di transizione e di contrasti: da un lato, progressi importanti sul fronte delle rivendicazioni e dei diritti, dall’altro lato situazioni gravissime come quello che sta accadendo in Afghanistan. Sul piano artistico e musicale, noi ragazze c’eravamo già tre o quattro anni fa e piano piano siamo riuscite a prenderci il nostro spazio e a crescere. Mi sento molto positiva artisticamente: credo che per noi donne sia essenziale trovare il coraggio di buttarci, perché spesso ci facciamo troppe paranoie quando invece dovremmo credere di più nelle nostre potenzialità.
Hai un’immagine molto potente, conturbante direi, che non sembra solo un espediente per attirare l’attenzione, ma un’estensione estetica della tua musica.
Negli ultimi anni ho giocato un po’ con la mia immagine, anche se devo confessare che non è stato facile e immediato lasciarmi andare. Sono sempre stata severa con me stessa: la mia tendenza a concedermi poco l’errore è stata una cosa che nella vita mi ha appesantita – forse perché sono della vergine – e ho avuto bisogno di alleggerirmi. Questo nuovo approccio mi permette di raccontare la musica anche attraverso le immagini: creo le copertine dei dischi con mio fratello e il mio miglior amico, che sono dei professionisti ma anche persone molto care. E così si trasforma in un gioco.
Per esempio i miei capelli diventano emozioni che si legano alla terra, come radici di metallo. L’immagine quindi per me è importante, ma non intesa in senso superficiale: si tratta piuttosto di creare un immaginario che racconti una storia. A me piace scrivere guardando immagini: Operazione Oro è nato guardando le pellicole in Super 8 girate da mio nonno nei suoi viaggi. E così come l’immagine è capace di evocare la musica, quando faccio musica mi piace che evochi qualcos’altro.
I tuoi ultimi dischi sono stati pubblicati durante la pandemia. Com’è tornare a fare live dopo questo lungo periodo di stasi?
È la prima volta che porto i brani in italiano dal vivo e non ero neanche sicura che sarei riuscita a suonare quest’estate. È un momento molto particolare: con le restrizioni che ancora ci sono, assistere a un concerto è diventato molto complesso, ma bisogna prendere questa ripartenza comunque positivamente.
A proposito di live, sabato 4 settembre salirai sul palco di Jazz:Re:Found. Da quanto segui o conosci il festival e cosa rappresenta per te questo concerto?
È uno dei miei festival preferiti e lo seguo da tempo. Sono venuta a Jazz:Re:Found anche nel 2018: una bomba. Questo live è importante perché, prima di tutto, sono una fan della musica: oltre a suonare, amo andare ai concerti e ascoltare. Quindi trovarmi a suonare in luoghi dove so che c’è gusto, cura nella programmazione e nella scelta, per me è una crescita. Sono felicissima di suonare in un luogo verso cui sento affinità. È dove voglio stare, è il mondo di cui voglio far parte.