La Lettura, 28 agosto 2021
Le 2.600 lettere di Umberto Saba
È come se il Novecento riprendesse la parola. Come se si fosse aperta una capsula del tempo, di quelle che restituiscono ai posteri tesori sepolti per decenni. Uno dei più vasti e importanti (e travagliati) epistolari del secolo scorso vedrà la luce, intero: quello del poeta Umberto Saba (1883-1957), tra gli autori chiave del nostro Novecento. E sarà pieno di sorprese, dicono gli studiosi, quasi un romanzo, e comunque un oggetto narrativo che lo stesso Saba auspicava fosse «raccolto» dagli amici.
L’epistolario di Saba comprende circa 2.600 lettere trascritte dalla figlia Linuccia, più acquisizioni ulteriori e un vasto apparato critico, e sarà oggetto di una monumentale pubblicazione in forma congiunta a opera della Biblioteca nazionale centrale di Roma diretta da Andrea De Pasquale e dei Meridiani Mondadori diretti da Alessandro Piperno. Il progetto delle Lettere, in vari volumi, dovrebbe arrivare in libreria tra un paio d’anni circa. Il comitato scientifico dei curatori è composto da Mattia Acetoso, Alberto Beniscelli, Eleonora Cardinale, Stefano Carrai, Roberto Deidier, Andrea De Pasquale, Gianfranca Lavezzi.
Ma prima di questo progetto, l’epistolario ha avuto nel Novecento una difficile storia, con l’impresa di una mancata edizione integrale a lungo preparata e poi accantonata (ne scrisse Nunzia Palmieri in L’epistolario di Umberto Saba, nella rivista «Paragrafo», 2007). Poeta dalla vita difficile, carattere complesso, Saba attraversò i traumi del suo tempo, oltre ai dolori personali: era cresciuto senza padre, affidato e poi strappato a una balia, afflitto da crisi nervose anche gravi, cui cercò sollievo con la psicoanalisi; e fu sballottato tra città lontane, costretto dalle leggi razziali, lui di madre ebrea, a cedere la propria libreria antiquaria e a rifugiarsi a Parigi, poi a Roma, quindi spostarsi a Firenze, nascosto in case prestate dagli amici. Sposato a Lina, padre di Linuccia, scopritore di talenti come Sandro Penna e del pupillo Federico Almansi, sodale e amico di tanti intellettuali, autore di un corpus di poesie, il Canzoniere, riconosciuto come pietra miliare del Novecento, Saba era un’anima desiderosa di espressione ma anche di contatto umano e culturale, e consapevole dell’urgenza di incidere nel pensiero e nella letteratura con nuove idee. Ad esempio l’idea della poesia «onesta», vicina alla vita quotidiana e alla sua semplicità profonda.
Le sue opere, le poesie e le prose (tra cui il romanzo incompiuto, Ernesto, postumo per Einaudi nel 1975) e le lettere finora edite testimoniano dei suoi umori e della sua poetica, strettamente intrecciati. Ma c’era molto altro. La figlia Linuccia Saba dopo la morte del padre iniziò a raccogliere le sue epistole, recuperandole presso i destinatari (cui chiedeva anche di scrivere un ricordo del poeta): ne collezionò 2.600, e procedette a un immane lavoro di trascrizione. Il progetto di pubblicazione (con Einaudi e Mondadori) si protrasse a lungo come l’enorme lavoro di curatela di Linuccia ma fu interrotto dalla sua morte nel 1980. L’idea fu ripresa da Raffaella Acetoso, figlia di Lionello Zorn Giorni, marito di Linuccia; anche Acetoso però morì prematuramente.
Queste le premesse della travagliata storia editoriale. Poi, nel 2017, la Biblioteca nazionale centrale di Roma ha acquisito l’eredità di Raffaella Acetoso, come spiega il direttore della Biblioteca, Andrea De Pasquale. «Da diversi anni la Biblioteca ha avviato una politica di recupero e valorizzazione delle memorie della letteratura italiana del Novecento: abbiamo creato a Roma Spazi900, in un’ottica didattica, per presentare gli autori principali della letteratura del ventesimo secolo, i manoscritti e le opere, all’interno di ricostruzioni di ambienti di vita e di lavoro, mobili, arredi, cimeli».
Negli Spazi900 c’è anche Saba, cui la Biblioteca si dedica da tempo, con acquisizioni di autografi, lettere, cimeli, libretti dattiloscritti della sua Libreria antiquaria, vere rarità come il manoscritto originale, prima delle correzioni, della poesia A mia moglie, o i versi di Sandro Penna dattiloscritti da Saba. «La grande acquisizione – prosegue De Pasquale – è poi stata quella del fondo Acetoso-Salvatorelli (Mario Salvatorelli era il marito di Raffaella Acetoso). Con grandi scoperte: anzitutto, gli arredi della casa di Trieste di Umberto Saba, mobili, oggetti, quadri di Linuccia. Ma anche cimeli personali, le pipe di Saba, il suo bastone, gli scacchi, i ritratti di famiglia, il ritratto della moglie Lina. E soprattutto il mobile dove Linuccia conservava le lettere di Saba, con tutti i faldoni originali, che testimoniano il lavoro fatto per ricostruire l’epistolario interpellando i destinatari delle lettere».
E che destinatari. Oltre che con i familiari, Umberto Saba era in corrispondenza con personalità come il critico e amico Giacomo Debenedetti, i poeti Sandro Penna, Vittorio Sereni, Aldo Palazzeschi, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Federico Almansi, Angelo Barile, gli psicoanalisti Edoardo Weiss, Joachim Fleischer, gli scrittori Giovanni Comisso, Carlo Levi, che fu compagno di Linuccia Saba, gli editori Alberto Mondadori, Giulio Einaudi, solo per citarne pochissimi... E sono lettere fitte di racconti, aneddoti, spunti poetici, e che svelano umori e fatti privati (eppure Saba era considerato un burbero), come le ristrettezze in guerra, o il desiderio di morte, o il disamore finale per la scrittura. Nell’insieme, spiegano gli studiosi, sembrano un romanzo scritto giorno dopo giorno in oltre 50 anni; forse era tale anche nell’idea che ne aveva Saba: «Mi sfogo a scrivere lettere agli amici, lettere che forse un giorno verranno raccolte», scrisse a Joachim Fleischer (Lettere sulla psicoanalisi, SE, 1991).
«Il lavoro di Linuccia Saba – prosegue De Pasquale —, fu davvero significativo, perché molte lettere che lei aveva individuato e trascritto sono oggi difficilmente localizzabili. Una volta avuta l’occasione di tenere il fondo tutto insieme, l’idea è stata quella di dare finalmente alla luce l’epistolario: i passi per farlo sono la digitalizzazione (già in sostanza compiuta), una trascrizione filologica dei testi, con il recupero degli originali (per il confronto) e poi l’ordinamento di queste carte, la contestualizzazione nel percorso biografico storico di Saba, e tutto il lavoro di studio... L’edizione dell’epistolario sarà un’opera monumentale, affidata alle cure di docenti di letteratura italiana insieme ai contributi della Biblioteca. Viene alla luce uno spaccato dell’Italia culturale di quegli anni: nelle lettere si nasconde l’altro romanzo di Saba».
Nel comitato scientifico è presente anche l’erede di Raffaella Acetoso, il nipote Mattia Acetoso, italianista docente a Boston: «Io sono solo l’ultimo tassello del lavoro iniziato da Linuccia Saba e proseguito da mia zia», si schermisce. «Linuccia raccolse migliaia di lettere, in parte trascritte, in parte dattiloscritte da lei stessa, in parte originali, che vanno dal 1901 al 1957: mezzo secolo e più di cultura raccolto, descritto, immortalato. La parte dell’epistolario già uscita in varie edizioni rappresenta forse un quarto del materiale: si può capire l’importanza di quest’edizione. Mia zia aveva proseguito il lavoro di Linuccia, lavorando con attenzione, cura e anche riservatezza: chi ha avuto contatti con lei conosceva il suo grande amore per Saba. Purtroppo è venuta a mancare all’improvviso; mio zio ha avuto l’intuizione di dare il fondo alla Biblioteca nazionale. Il direttore della Biblioteca Andrea De Pasquale ed Eleonora Cardinale (responsabile dell’Ufficio Archivi e Biblioteche letterarie contemporanee, ndr), stanno facendo un lavoro eccezionale, e il fatto che Mondadori sia interessata a pubblicare in toto il materiale con un’edizione critica che include anche le schede di Linuccia, mi rende felice».
Acetoso rievoca alcuni momenti familiari: «Ho molti ricordi, fin dalle mie prime visite da bambino a casa della zia, che poi era la casa di Linuccia Saba in via Due Macelli a Roma: uno spazio meraviglioso, con le tele di Giorni, di Carlo Levi, e tutti i cimeli. Era indescrivibile, si respirava l’aria di cinquant’anni di cultura italiana, del lavoro fatto da Linuccia e da Carlo Levi che lavorò al suo fianco per valorizzare la memoria di Saba. Leggevo le lettere sotto la guida di mia zia: provavo un senso di meraviglia ma anche di naturalezza. Dormivo accanto alla tavolozza di Carlo Levi! Le lettere di Saba sono una finestra aperta su quel momento del Novecento, ma anche sull’anima di Saba, in cui vita interiore, vita esteriore e opera collimano perfettamente. Perciò sono illuminanti, quasi imprescindibili per capire la sua poesia: offriranno una luce nuova, con conferme e sorprese. Pur complementari a ciò che ha scritto, sono opere a sé, scritti magnifici».
Nelle lettere emerge nel dettaglio il percorso del poeta, il suo peregrinare per l’Italia, le difficoltà economiche, il suo sentirsi incompreso, le conferme degli ultimi anni. Prosegue Acetoso: «Ci sono grandi interlocutori, Debenedetti, Montale, Ungaretti, Malaparte, lo stesso Levi, ma la mia preferenza va alle lettere personali alla moglie, alla figlia. D’altronde, anche quando parla di questioni estetiche, Saba le lega in maniera profonda ai suoi turbamenti interiori. Si sa del suo grande amore per la psicoanalisi: ecco, prima della psicoanalisi, per lui la scrittura epistolare era un veicolo di autoanalisi».
E la produzione delle lettere fu copiosa. «Le ragioni sono legate – conclude Acetoso – al suo tentativo di connettersi con il mondo della cultura. Saba diceva che nascere a Trieste era come nascere 50 anni prima nel resto d’Italia; si sentiva un po’ ai margini della cultura, anche se ne è stato uno dei grandi protagonisti. Raccontarsi agli altri, connettersi, era un modo di «appartenere» nonostante la distanza. Alcuni lo ricordano burbero; eppure sapeva coniugare la scontrosità, e una certa asprezza, a una grandissima dolcezza d’animo e lealtà nei confronti dei propri amici e interlocutori».