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 2021  agosto 28 Sabato calendario

Istruzioni per raccontare l’universo

Che cosa spinge un fisico del Caltech di Pasadena, esperto di cosmologia e meccanica quantistica, a scrivere un libro di 500 pagine che si intitola Sulle origini della vita, del significato e dell’universo. Il quadro d’insieme e intende spiegarci niente meno che le origini della vita, del significato dell’esistenza, dell’universo e di tutto il resto? Certamente una spiccata fiducia in sé stessi, coltivata negli studi televisivi americani, dove l’autore è una star affermata. Forse il desiderio di contrastare la comunicazione frammentata che domina oggi nella Rete. Diversi divulgatori anglosassoni di spicco, in effetti, sono usciti negli ultimi anni con libri fluviali. O forse la motivazione è una sana passione per il valore culturale dell’impresa scientifica. Leggendo l’ultimo lavoro edito in italiano di Sean Carroll, al termine del cimento si propende per quest’ultima, benevola, ipotesi. La trattazione riguarda l’ontologia, cioè che cos’è la realtà, quali sono i suoi limiti e fondamenti. Il metodo per discuterne è l’abduzione, ovvero quantificare la fiducia che attribuiamo a una certa asserzione sulla base dei dati a disposizione, da aggiornare continuamente fino a convergere su una conclusione provvisoria.
È la procedura probabilistica proposta nel Settecento dal matematico e ministro presbiteriano Thomas Bayes: si parte con gradi di fiducia assegnati soggettivamente a priori, ma poi li si affina continuamente fino ad arrivare ad asserzioni corroborate da evidenze crescenti. Richiede buona fede, la disponibilità a cambiare ipotesi alla luce di nuove prove e la rinuncia alle certezze. Questo è il primo messaggio forte del libro di Carroll: quella scientifica è una conoscenza imperfetta, ma è la più affidabile che abbiamo. Lo scienziato empirico, a differenza del matematico, non dimostra mai nulla: al massimo, fornisce prove sufficienti per avere fiducia che qualcosa sia vero, a volte oltre ogni ragionevole dubbio.
Le conclusioni scientifiche dunque non sono mai assolute, anche se talvolta hanno un grado di probabilità così elevato (come sulla realtà del riscaldamento climatico o sull’affidabilità dei vaccini) che continuare a dubitarne significa perdere tempo. Per il resto, si tratta di inferire di volta in volta la spiegazione migliore, che non sarà l’unica né quella certa, ma l’approssimazione più vicina alla verità (con la minuscola).
Quanto alle domande ultime, secondo Carroll non sappiamo rispondere perché spesso sono mal poste. L’universo potrebbe semplicemente limitarsi a esistere, secondo le sue leggi. Sul perché esiste, al momento non ci fornisce indicazioni. Vale sempre la risposta che diede alla domanda «perché c’è l’universo?» il filosofo della Columbia University, Sidney Morgenbesser: «Se non ci fosse niente, vi lamentereste lo stesso!».
I motivi di qualsiasi cosaGli esseri umani però si battono per cercare i motivi di qualsiasi cosa, le intenzioni, i progetti nascosti. Ci siamo evoluti così perché siamo imprigionati nella freccia del tempo, vediamo cause ed effetti, ci ricordiamo del passato e non del futuro. Tutti questi, sostiene il fisico del Caltech, sono modi, reali e rispettabili, di parlare di una realtà contingente e quotidiana, sotto la quale però ce n’è una più fondamentale. Carroll è un fisicalista: la progressiva unificazione delle spiegazioni scientifiche verso una realtà sempre più profonda, non causata da altro di esterno, è arrivata fino allo zoccolo duro dello spazio-tempo e dei campi quantistici, cioè alle regolarità che sottendono, per quanto ne sappiamo, tutta la realtà. L’universo non ha bisogno di un motore. Non mira a obiettivi futuri e dipende solo dallo stato presente. 
Dopo aver fatto pulizia delle interpretazioni esoteriche e New Age della meccanica quantistica, Carroll propende per il realismo: tutto è funzione d’onda quantistica, il resto sono modi (comodi e reali) per parlarne. Le leggi fisiche alla base della nostra vita (a basse energie) sono completamente note. Se dovesse arrivare una nuova fisica, la descrizione della realtà quotidiana sarebbe pressoché la stessa. La meccanica quantistica non è il regno del caos, ma la descrizione fondamentale della realtà.
Gli atomi di Van GoghCarroll non è però un ingenuo riduzionista. Descrivere la Notte stellata di Van Gogh come un insieme di atomi non coglie nessuna delle sue qualità più importanti. Esistono proprietà nuove che emergono dal livello più fondamentale del sistema. L’aria ha le proprietà molecolari dovute alla cinetica dei gas, ma si comporta anche come un fluido. La realtà soggiacente è la stessa, ma sono due ontologie diverse, con due domini di applicabilità autonomi.
Quindi more is different: le proprietà emergenti non sono illusioni, ma reali nel senso che rivestono un ruolo essenziale in una particolare e accurata storia del mondo. La realtà, insomma, può essere letta attraverso diverse grane, purché i livelli siano coerenti tra loro. Gli atomi non hanno desideri, le persone sì. Ci sono molti modi – cioè modelli, teorie, storie interconnesse – per parlare del mondo e ciascuno di essi cattura un aspetto diverso del tutto. L’importante è non mescolare vocabolari di livelli diversi, come quando si attribuisce una finalità all’evoluzione.
La vita è una proprietà emergente di materia ed energia. La crescita del disordine permette l’emergere di strutture complesse, che se ne cibano producendo strutture ordinate, destinate però a restituire al sistema tutta l’entropia che hanno sottratto. Siamo strutture effimere di complessità, scrive Carroll. Da quasi 4 miliardi di anni, sulla Terra l’energia libera del Sole viene trasformata in strutture auto-organizzate, capaci di evolvere, riprodursi, avere un metabolismo.
Anche la coscienza e i suoi prodotti, come i valori e il libero arbitrio, sono proprietà emergenti. La consapevolezza di sé per Carroll è una transizione di fase nel sistema di connessioni del cervello, cominciata già nei primi animali. Si tratta pur sempre di un sistema fisico, ma con proprietà nuove tipiche del suo livello di descrizione e dovute a interazioni di più processi a più livelli. Nessun dualismo di mente e corpo, dunque, e nessuna deviazione dalle leggi della fisica sono necessari per comprendere noi stessi. Per inciso: Carroll è un fisico che spiega bene come funziona l’evoluzione darwiniana, con tutti i suoi aggiornamenti successivi, il che non è scontato.
Il «naturalismo poetico»L’universo è fatto di storie, non di atomi, scrive la poetessa Muriel Rukeyser. L’approdo filosofico di questo viaggio dalle particelle elementari alla coscienza è il «naturalismo poetico», ispirato a Lucrezio e a David Hume: c’è un solo mondo fisico, una sola natura che basta a sé stessa, ma molti modi utili per parlarne. Quindi il metodo abduttivo ci porta a pensare che tutta la realtà sia una rete ininterrotta, che si evolve secondo leggi di natura indagate dalla scienza. Ma la visione che ne risulta non è affatto priva di poesia, perché i valori sono sì costrutti umani, ma non per questo privi di importanza, né meramente riducibili a spiegazioni fisiche.
Desideri, premure, norme morali, senso della bellezza non hanno bisogno di alcuna trascendenza affinché mantengano tutta la loro rilevanza per noi. Derivano anch’essi da una realtà più fondamentale e devono essere coerenti con la nostra immagine scientifica del mondo, ma sono gli scopi che danno senso alle nostre esistenze. È pur vero, tuttavia, e qui Carroll ingaggia la sua pars destruens, che alcuni modi di parlare possono essere più utili e consoni alla realtà di altri.
La proposta del fisico è di applicare a qualsiasi idea l’approccio di Bayes. Compresa l’idea di Dio. Non dobbiamo rifiutare a priori i nostri pregiudizi, essendo anch’essi prodotti umani, ma metterli alla prova del mondo. Si può pensare Dio in modo rigoroso, assegnando inizialmente un grado arbitrario di fiducia all’ipotesi teistica e a quella ateistica. Poi si valuta la verosimiglianza dell’una e dell’altra nel rendere conto del mondo per come lo vediamo. L’esistenza del male gioca a sfavore del teismo. Poi l’assenza di miracoli verificati, la diversità delle dottrine religiose, le molte evidenze della natura interamente biologica dell’essere umano e il fatto che credere in un dio non ci renda persone migliori (soprattutto non ci renda maschi migliori), tutto ciò, conclude l’autore, rende l’ateismo non sicuramente vero, ma più parsimonioso, più semplice e più probabile.
Vengono escluse allo stesso modo, dopo un vaglio bayesiano, anche i poteri mentali, la telecinesi, gli influssi astrologici, la sopravvivenza dell’anima dopo la morte. E così anche il naturalismo poetico di Carroll, dopo tanti prima di lui, si trova dinanzi al paradosso tragico di un ammasso di atomi pensante che concepisce la propria finitudine, l’irrilevanza in un cosmo che non risponde più alle sue domande di senso e di scopo, sente il terreno della trascendenza che gli frana sotto i piedi, e ciò nonostante non si arrende al nichilismo, ma cerca ostinatamente un significato, come Sisifo che spinge su il suo macigno.
Il lavoro di smontaggioCiò che resta di più prezioso in questo libro è la proposta metodologica, il paziente esercizio di smontaggio di ogni fondamentalismo. Ciascuno di noi, scrive Carroll, è «un pianeta di credenze». Nessuno ha lo sguardo onnisciente. Ma ci sono credenze e credenze. Ci sono pianeti di credenze inossidabili, in cui tutti i diversi pezzi si attraggono in modo coerente, fino alla paranoia, all’integralismo, alla violenza talebana, al rifiuto di ogni dissonanza cognitiva. E poi ci sono pianeti abitabili, che includono convinzioni condivise su conoscenze comuni, diritti universali e uso della razionalità. Possiamo sperare che le persone che agiscono in buona fede, dopo aver provato a comprendere al meglio la realtà, finiscano per costruire pianeti di credenze che siano compatibili tra loro. Nessuno può dire che la propria morale sia oggettivamente la migliore, la bontà si costruisce e poi si mette alla prova. Bisogna essere pronti a scartare ogni idea che non sia più utile, anche se ci eravamo affezionati.
L’esplorazione di Carroll era cominciata con l’episodio di un incidente stradale in cui l’autore sfiorò la morte. Quindi dalla fragilità e dalla vulnerabilità. In quanto proprietà emergente, la vita non è una sostanza, ma un processo che a un certo punto si ferma, e non resta nulla di tutta l’informazione contenuta nella disposizione degli atomi del nostro corpo. Abbiamo a disposizione 3 miliardi di battiti cardiaci, durante i quali aver cura di noi, degli altri e della natura, fissando l’eternità di una vita che non tornerà mai più. La realtà fisica è sempre quella, il senso e la bellezza ce li mettiamo noi. Come disse un altro astrofisico, Carl Sagan, siamo cose fatte di stelle che a un certo punto hanno preso in mano il loro destino.