Corriere della Sera, 28 agosto 2021
Sulla barca fluida
Il guscio in legno grigio, arredi che accostano il marmo verde a sofisticati velluti color bruciato, dettagli in mogano lucido. Un mood effetto club che a bordo di uno yacht non ci si aspetta. Eppure Guillaume Rolland, architetto, progettista per lo studio Christian Liaigre degli interni del nuovo SD118 di Sanlorenzo, di questo salottino avvolgente nell’upper deck dà una motivazione limpidissima: «Dopo una giornata in mare, in pieno sole, entrare in un luogo scuro regala una sensazione di calma. Rilassa», spiega. Ne sa qualcosa lui, da velista autentico, capace di trascorrere intere settimane in navigazione senza mai mettere piede a terra. «Ricordo ancora una tempesta incontrata prima di arrivare a Ponza. Abbiamo dovuto rimanere in balia delle onde tutta la notte: entrare in porto avrebbe voluto dire schiantarsi», sorride, mostrando come per lui la vita in mare sia una cosa del tutto naturale. Consapevole, per questo, di che cosa serva a bordo per goderla totalmente.
«Prima di tutto ci sono i percorsi: il flusso delle persone deve avvenire in modo spontaneo. I proprietari, gli ospiti o l’equipaggio, ciascuno deve potersi muovere senza intralciarsi – spiega, precisando che l’arredo è una conseguenza -. L’architettura dello spazio viene prima: creo delle “isole” per ciascuna funzione e i mobili la seguono. Agli armatori che mi danno carta bianca propongo sempre arredi fluidi, senza spigoli, che seguono l’andamento degli ambienti». Possono essere pezzi presi dalle collezioni di Christian Liaigre o disegnati appositamente, come è successo qui: divani organici, tavoli dalle curve asimmetriche, letti che sembrano fluttuare. «Si decidono alla fine, assieme ai materiali. Che, se l’architettura è chiara e definita in ogni dettaglio, sono modificabili anche all’ultimo».
Un metodo rigoroso, che non ci si aspetterebbe da un progettista francese. Sebbene l’italiano quasi perfetto e i modi comunicativi qualcosa svelino: «Ho studiato architettura a Milano, al Politecnico. Sono arrivato in Italia da Parigi con uno dei primi Erasmus, era il 1991. E ho scoperto la differenza del vostro approccio al progetto. La scuola francese di architettura guarda l’immagine, punta a lasciare un segno. In Italia invece c’è un’idea di urbanistica in cui il pensiero precede il disegno. Così ho unito questi due modi: l’efficienza italiana nel progetto e la leggerezza francese nell’estetica. Serietà ma con un pizzico di poesia». Tra i suoi punti di riferimento cita Aldo Rossi e il Palladio: «Alla base per me c’è sempre la cura delle proporzioni tipica dell’architettura classica. Non amo il design estremo ma nemmeno un certo tipo di interior sempre uguale, che alla fine risulta noioso».
Infatti, vedendo gli interni di questo yacht, la sensazione è proprio di un equilibrio tra rigore ed eleganza, senza intimorire. «In parte lo devo ai tre anni passati, ai miei inizi, da Philippe Starck. Da cui ho imparato qualcosa di incredibile in cui lui è un maestro: rendere gli oggetti sensuali perché suscitino il desiderio di usarli», racconta, precisando che il resto lo deve a Christian Liaigre: «Lui era anticonformista ma pragmatico, sapeva risolvere senza l’ossessione del design ad ogni costo. L’oggetto bello e basta non gli interessava». Ecco quindi le pareti a stecche che decorano ma servono per far filtrare la luce; il (raffinatissimo) pannello scorrevole in cuoio usato come porta; i soffitti in legno chiaro spezzati da cornici scure che segnano le varie aree, ripresi anche nella scala. Arredi che da una parte invitano e dall’altra semplificano. «Dopo la pandemia si sente il bisogno di un interior rilassante. Anche se ora si vuole vivere soprattutto fuori», conclude Rolland, accomodandosi a poppa nella grande zona living (curva) esterna. «Puoi giudicare uno spazio solo provandolo: così capisci se ti dà emozione e ti fa star bene», conclude. Dimenticando, ma solo per un attimo, la sua spartana barca a vela.