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 2021  agosto 28 Sabato calendario

Biografia di Ornella Vanoni raccontata da lei stessa

Ornella Vanoni è diversa da come sembra, o da come viene vista. Quella che a qualcuno appare leggerezza, ai limiti della svampitezza, in realtà è ironia. È una donna colta, molto attenta a scegliere le parole, a soppesare i ricordi. 
Qual è il primo? 
«I miei genitori che vanno all’opera, a vedere la Manon, e io che dico: “Manon è quello che papà dice sempre alla mamma: ma non fare questo, ma non dire quell’altro...”. E i gattini del fruttivendolo, che mi portavano a casa quando mi veniva l’influenza; poi però dovevo restituirli, con grande dolore». 
Della guerra cosa ricorda? 
«Le mani di mio padre che mi afferrano e mi trascinano sul predellino del treno. Era il primo bombardamento di Milano. La città bruciava. Noi fuggimmo a piedi, verso i binari. Fu la salvezza, ma anche la dannazione». 
Perché? 
«Perché a lungo ho pensato che tutti gli uomini fossero come mio padre, e si prendessero cura di me. Per anni ho avuto un incubo: papà aveva perso le mani». 
Dove portava il treno? 
«A Varese. I bombardamenti continuarono, e anche le nostre fughe. Capimmo che non dovevamo chiuderci in cantina, dove saremmo morti come topi e con i topi. Un altro incubo è il tram di Varese che mi mette sotto. Poi arrivarono gli americani». 
Com’erano? 
«Profumati. Tutti in maglietta bianca. Sapevano di Palmolive, mentre i nostri poveri soldati erano stati mandati in guerra senza nulla, neppure il sapone. Ancora adesso la cosa che più mi piace di New York è l’odore. I tedeschi erano spariti, uscii di casa urlando, tutti si abbracciavano, ricordo una stretta fortissima. Da allora adoro essere abbracciata». 
Nel bel docufilm di Elisa Fuksas «Senza fine», lei racconta la Milano del dopoguerra con entusiasmo. 
«Tutto pareva possibile. Come in una fiaba. Diventai amica di Gaber e Jannacci, due persone stupende». 
E a vent’anni si fidanzò con Giorgio Strehler. 
«Ero timidissima. Al collegio, in Francia e in Inghilterra, annodavo le lenzuola per le compagne che volevano calarsi dalla finestra; loro scappavano, e io no, preferivo restare dentro. Durante la guerra ero stata operata al collo, mi tolsero i linfonodi, e mi massacrarono. Ho ancora adesso le cicatrici, vede? Mi vergognavo molto». 
Strehler fu il suo primo uomo? 
«No. Fu un signore napoletano, più grande di me». 
Come ricorda la prima volta? 
«Bella, perché dolce». 
Strehler. 
«Nessun uomo mi ha mai amata tanto. Era sposato, ma non importava: sposarmi non è mai stata la mia ambizione. Frequentavo i corsi al Piccolo Teatro. All’esame, con la V di Vanoni, passai per ultima. Ero nervosissima. Buio assoluto. Portavo “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e un passo delle lettere di Alfieri. Mi incespicavo di continuo, ripetevo: pardon, pardon... Sentii una voce di donna dire: “Attenzione, qui c’è qualcosa di interessante”. Era Sarah Ferrati, la grande attrice. Io devo alle donne il massimo del bene e il massimo del male». 
Strehler. 
«Veniva sempre a fare lezione nella mia classe, per lo stupore delle altre: di solito non si vedeva mai. L’insegnante di danza era sua moglie, da cui era già separato. Mi detestava: aveva capito al volo che sarei piaciuta al marito». 
E lui? 
«Mi diceva: hai talento, ma non hai i nervi per reggere. Aveva ragione. Però alla fine ce l’ho fatta senza di lui». 
Come mai finì? 
«Non potevo seguirlo nella droga e negli altri suoi vizi. Andai al festival di Spoleto, a cantare le canzoni della mala con la regia di Zeffirelli. Entrai nel gruppo di Visconti, che mi piacque molto. Lì incontrai Renato Salvatori, quello di Poveri ma belli. Mi ha quasi messo a letto. Fu solo un flirt, ma uscirono le foto di una nostra gita in motoscafo sul lago di Bracciano. Strehler ne soffrì come un cane. Veniva a casa mia e cominciava a ripetere: “Con te non posso vivere, senza di te non posso vivere...”. Una volta, anni dopo, mi telefonò: “Tu devi tornare con me, ti voglio al mio fianco...”. Lo informai che stavo per sposarmi». 
Con Lucio Ardenzi, il produttore. 
«Strehler andò su tutte le furie: “Quel mercante!”. Giorgio era circondato da donne in adorazione; non si capacitava che una potesse dirle di no. Ma io lo adoravo quando lui, un genio, era sul palco, a fare la Tempesta o Il gioco dei potenti. Nella vita lo amavo come si ama un uomo. E delle altre non me ne fregava niente». 
Prima del matrimonio incontrò Gino Paoli. 
«Lo sentii nella casa discografica suonare “Il cielo in una stanza”. Chiesi chi fosse, mi risposero: “Un frocio che fa canzoni orrende”. Strano, mi dissi: suonava maluccio, ma la canzone mi era parsa stupenda. Così cominciai a frequentarlo». 
Cosa facevate? 
«Lunghe passeggiate. Gino non aveva i soldi neanche per il biglietto del tram; così andavamo sempre a piedi, io gli trotterellavo dietro con i tacchi a spillo, sfinita. Fino a quando, appoggiati a un muretto, gli chiesi: “Ma tu sei frocio?”. Rispose: “No, perché?”. E io: “Mi avevano detto così”. E lui: “A me invece hanno detto che tu sei lesbica, canti male e porti male...”. Siamo scoppiati a ridere. E ci siamo dati il primo bacio». 
Perché quelle maldicenze? 
«Perché eravamo diversi. Ma Gino ne era felice: “Io li lascio dire, e poi gli scopo le mogli”». 
Neanche di Paoli era gelosa? 
«Gelosissima. Non c’era mai. Sposato, sempre in giro. Uscivamo di casa ognuno con una borsa di gettoni e stavamo ore al telefono. Ora lui mi dice: “Ornella, ti ricordi le risate?”. Ma quali risate, io soffrivo da morire. Sposai Ardenzi, ma ero ancora innamorata di Gino». 
Per lei Paoli scrisse «Senza fine», colpito dalle sue «grandi mani». 
«Ero abituata al circuito colto. Ma in piazza Beccaria vedevo i cantanti felici, con le decapottabili, e mi dissi: voglio fare le canzonette anch’io. È stata dura, e non solo perché non ero abituata al microfono con il filo e prendevo la scossa. Venivo dal teatro, ero considerata snob, fredda. Dovevo colmare la distanza tra me e il pubblico». 
Canzonette 
Ero abituata al circuito colto, ma in giro vedevo i cantanti felici, con le loro decapottabili Mi dissi: voglio fare le canzonette anch’io 
Le sue non sono solo canzonette. 
«Di ogni brano arriva alla gente una frase sola, in cui si riconosce. Mi sono sempre chiesta perché “L’appuntamento” piacesse così tanto. La risposta è nella prima strofa: “Ho sbagliato tante volte ormai...”. Perché tutti hanno sbagliato nella vita. E tutti hanno conosciuto “uno di quei giorni che ti prende la malinconia...”. 
Anche le canzoni della mala sono rimaste. 
«Con Strehler andavamo in giro per bettole; però sentivamo appunto canzoni da bettola. “Ma mi” la scrisse lui, facendola passare per canzone popolare. Qualcosa veniva dal Sud, dai canti dei carcerati calabresi, raccolti da Pasolini. Anni dopo chiesi consiglio a Pier Paolo. Rispose che non c’era più nulla da cantare, perché non c’era più gente d’onore: era finito il tempo in cui il ladro aveva rispetto del capo della polizia». 
E lei posò nuda su Playboy. 
«No. Nelle foto non sono mai nuda. Feci io la regia del set. Si intravede appena un capezzolo (quante discussioni: più su il lenzuolo, più giù il lenzuolo...). Trovavo e trovo che sia molto più sensuale così. Come compenso chiesi una sfera di Arnaldo Pomodoro. Mi dissero che era troppo cara. Così Pomodoro rinunciò alla sua parte, purché potessi averla». 
Com’erano i rapporti con Mina? 
«Eravamo amiche, ci frequentavamo. Un giorno a pranzo suo marito, Alfredo Cerruti, mi propone una trasmissione tv con lei. Accetto e parto felice per le vacanze. A Paraggi mi raggiunge Gigi Vesigna: “Hai visto che Mina fa una trasmissione con la Carrà?”. La chiamo: “Sei una vigliacca”. “Allora è guerra?” risponde. Guerra no; ma avrei voluto saperlo da lei. Poi facemmo pace. Ma da quando si è rifugiata in Svizzera ci siamo perse». 
Celentano? 
«Ci siamo divertiti tanto. Nella casa di via Bigli avevo un biliardo enorme, che schiacciando un bottone diventava un letto. La cosa lo faceva molto ridere». 
Iva Zanicchi ha raccontato che lei la mandò in crisi a Sanremo, dicendole che il vestito le stava male. 
«Iva non ha capito. Cantava “Partirà, la nave partirà...” con un vestito ad ala che distraeva l’attenzione dalla sua voce, che è così bella. Era un complimento, non una critica». 
La Zanicchi ha vinto il festival tre volte. Lei mai. Non le dispiace? 
«Un pochino sì. In fondo però l’ho vinto quest’anno. Non ne trovi tante che cantino così a 86 anni...». 
Orietta Berti? 
«La adoro: intelligente, spiritosa. La sua voce scaturisce come uno zampillo». 
Luigi Tenco? 
«Mi è sempre parso un soccombente. Paoli dice di no. Entrambi hanno tentato il suicidio; Tenco però ci è riuscito. Gino invece vive con una pallottola nel cuore. Sarà stata una pistolina». 
Fellini? 
«Adorabile bugiardo. Pareva ti stesse aspettando da una vita; in realtà di te non gli importava nulla». 
Dicono che pure Lucio Dalla fosse bugiardo. 
«Bugiardissimo. Ma proprio per questo con lui non ti annoiavi mai. E poi io lo trovavo affascinante, quindi bello». 
Visconti? 
«Andai nella sua casa romana sulla Salaria. Tutti i suoi cani erano sul divano. Mi fece accomodare, ma senza far scendere i cani. Al primo posto venivano loro». 
Colapesce e Dimartino? 
«Tristi. Però la tristezza è la loro forza. “Toy boy” nasce da un’idea di Guadagnino, il regista. Mi sono divertita a interpretare il personaggio vestito di nero con la veletta. Ridere oggi è così difficile...». 
Chi la diverte? 
«Mi piaceva Fiorello, nei suoi spettacoli. Checco Zalone è geniale. Ma un comico non può lavorare senza il pubblico, senza il riscontro della risata». 
Si è offesa per l’imitazione che le faceva Virginia Raffaele? 
«Nooo! Ho fatto anche l’imitazione dell’imitazione: “Mi hai fatto passare per una maniaca sessuale, mi hai rovinato la vita...”». 
Nel film lei dice di non avere soldi da parte. Come mai? 
«Li ho sempre persi tutti. Hanno scritto che ho un patrimonio di 118 milioni di euro, più di Miuccia Prada. Se fosse vero non sarei qui con lei, sarei a nuotare in un’isola del Pacifico». 
Perché li ha persi? 
«Un po’ perché mi fregavano: a fine tournée talora mi davano solo una parte di quel che mi spettava; sapevano che non avrei controllato. E un po’ per un senso di solitudine. Ero sempre da sola nelle mie scelte; e gettavo via il denaro. Compravo una casa, la arredavo, poi vedevo che nessuno veniva a trovarmi, neppure mio figlio, e la rivendevo, magari a metà prezzo». 
Perché suo figlio non veniva? 
«Ci ho messo una vita a recuperare i rapporti con Cristiano. Da piccolo lo lasciavo ai nonni, per lavorare. Volevo restare con lui, ma mio marito mi disse: “Se non torni subito, sono rovinato”. Così feci “La fidanzata del bersagliere”. Un bambino tende a pensare che preferisci il lavoro a lui; e ci soffre. Così caddi nella mia prima depressione. La gravidanza però è stata il periodo più bello della vita». 
Perché? 
«Perché è l’unico momento in cui non sei sola. In cui si è davvero in due». 
Su Playboy 
Feci io la regia del set, non ero mai nuda: trovavo e trovo che sia più sensuale così Come compenso chiesi una sfera di Pomodoro 
Con gli uomini non le è mai successo? 
«Nei momenti di eros. Quando lo faresti in un portone, divoreresti la persona amata di baci, la mangeresti, vorresti infilartela dentro, essere un tutt’uno...». 
Lei ora vive sola. 
«Da 25 anni. Per scelta. Sono rimasta terribilmente delusa da un uomo. Colpa mia: mi sono ostinata a cambiarlo; ma gli uomini non cambiano, se non in peggio; e all’appuntamento lui alla fine non viene. Questa persona ebbe un infarto e le salvai la vita: non aspettai l’ambulanza, la portai al Niguarda in taxi. Il giorno dopo mi odiava. Così sono rimasta con Ondina, il mio cane. Siamo due ragazzine sole. E poi ho due nipoti». 
Come si chiamano? 
«Matteo è uno tsunami dolcissimo. È fidanzato con una ragazza stupenda, sono felici. Camilla ha il wanderlust, la gioia dell’andare, quella cosa che Virginia Woolf secondo la sua fidanzata aveva perso. Mia nipote non ancora. A 18 anni mi chiese i soldi per andare in Nuova Zelanda e si è fermata due anni. Ha fatto la cameriera, la baby-sitter, ha raccolto pomodori. Poi è andata in Cambogia e in India, ed è tornata rasta. Ora vive a Fuerteventura, alle Canarie». 
Lei Ornella cosa votava nella Prima Repubblica? 
«Socialista. Amavo Nenni». 
E Craxi? 
«Grande, grosso, forte. Aveva una certa allure fisica. E poi quel modo di parlare, con le pause che davano peso alle parole... Abbiamo litigato quando ho capito che il partito mi stava usando». 
Come andò? 
«Dissi che a Milano c’era un’overdose di socialismo, e Pillitteri rispose: se la Vanoni vuole disintossicarsi, non glielo impedisco. Craxi invece disse che non mi avrebbe né ostacolato, né aiutato. Ma quando mai mi aveva aiutata? Comunque nella disgrazia andai a trovarlo ad Hammamet. Un leone in gabbia». 
Chi voterà come sindaco di Milano? 
«Sala». 
Di Berlusconi cosa pensa? 
«Voglio il suo chirurgo estetico e il suo fotografo. Entra ed esce dagli ospedali, ed è sempre giovane e patinato...». 
Draghi? 
«Grande intelligenza e preparazione; ma è pur sempre un uomo delle banche. Come Monti. Mi sembra che gli abbiano promesso il Quirinale; però il nostro presidente non è Macron, non ha veri poteri. Dopo il fascismo ci siamo dati una Costituzione che non consente di dare il potere a nessuno; ma ora la politica è impotente. Noi italiani siamo così: poco seri. Sentiamo poco la patria. Noi non diciamo patria, diciamo paese». 
Salvini? 
«Molto intelligente. Fa di tutto per assomigliare all’uomo del popolo. Tutta la sua politica, dal Papeete in giù, è un modo per dire: io sono come voi. Nel suo campo, è bravissimo». 
Meloni? 
«È una donna, e come tutte le donne deve arrancare di più». 
Lei è stata amica di Dario Fo. 
«E di Franca Rame. Un giorno stavamo nuotando alle terme di Saturnia, e mi raccontò quanto fosse difficile tenere a bada tutte quelle ragazzine che stavano attorno al marito...». 
Nel film lei dice che la vecchiaia le piace. 
«L’ho accettata. Invecchiare vuol dire non essere morti, e avere la schiena a pezzi». 
Com’è stato il lockdown? 
«Non così duro, per noi che abbiamo vissuto la guerra. Avevo imparato la pazienza, a resistere chiusa in una stanza. I nazisti ci spararono in casa, davano la caccia a mio cugino partigiano, che poi fu ammazzato. Il Covid l’ho fatto. Sono stata malissimo, ma senza angoscia. Da ragazza ho avuto pure la tisi... E poi noi donne, che conosciamo il parto, soffriamo il dolore fisico meno degli uomini». 
Quindi lei è serena? 
«Per nulla. Come potrei esserlo, di fronte alle immagini di Kabul, alle madri che gettano i bambini oltre il filo spinato? Io sento dentro di me il dolore del mondo. È un periodo terribile della storia: il cambio climatico, la pandemia. La Terra non ci vuole più. Ci sta chiedendo di andarcene. Ed è tardi per tornare indietro». 
Crede in Dio? 
«Credo in Gesù. Pregò Gesù, figura meravigliosa. Ho letto tutta la Bibbia. A un certo punto entrai in un gruppo evangelico, guidato da una pastora brasiliana, che si rivelò una figura vampiresca. Mi svuotò, come fanno quegli aggeggi che tolgono il torsolo alla mela. Gliel’ho detto, che il meglio e il peggio della vita l’ho avuto dalle donne». 
Da chi altre ha avuto il peggio? 
«Una falsa amica cominciò a perseguitarmi con lettere anonime. Capii subito che era lei, si riconosce sempre il braccio peloso del tuo assassino, e glielo dissi. Provò a negare. Così andai in tv da Maurizio Costanzo, che lesse un brano di una lettera e poi disse: “Se succede anche a voi fate come la Vanoni: denunciate”. Non ne arrivarono altre». 
Una donna che le piace? 
«Dacia Maraini. Lieve anche nella tragedia». 
Cosa c’è dopo la morte? 
«E chi lo sa? Non lo sapeva neppure un uomo eccezionale come il cardinal Martini. Rilegga le sue lettere da Gerusalemme: sto per morire, la mia fede è forte, ma ho paura, perché sono un uomo». 
Il patrimonio 
Hanno scritto che ho 118 milioni di euro, più di Miuccia Prada Ma quando mai... se fosse vero sarei in un atollo 
In realtà ho perso tutto 
Lei ha paura? 
«Oltre una certa età non si può e non si deve andare. Mia zia visse 107 anni: un cervello lucido, purtroppo, in un corpo distrutto. Da diventare pazzi. No, a un certo punto bisogna morire».