la Repubblica, 28 agosto 2021
Catalogo dei delfini scaricati da Berlusconi
Di candidati alla successione ne sono passati molti, ma nessuno è mai riuscito a persuadere Silvio Berlusconi. Non è un tipo facile, il Cavaliere, pretende quella fedeltà che in politica è riuscito ad ottenere solo da chi non ha mai avuto istinti parricidi. Gli altri si sono sempre dovuti accontentare di qualche pranzo a Villa Certosa. Dall’ex missino Gianfranco Fini, passando per il breve ma intenso Stefano Parisi, fino al fuoco di paglia Giovanni Toti e senza dimenticare Angelino Alfano: tutti nomi che non sono riusciti scalzare il Cavaliere.
Nel ‘93 Silvio Berlusconi è ancora un imprenditore milanese. Il Cavaliere si trova nei pressi di Bologna per inaugurare un centro commerciale. Un cronista gli mette il taccuino sotto al naso e domanda: «Chi sceglierebbe a Roma tra Rutelli e Fini?». «Certamente Gianfranco Fini», risponde il presidente di Fininvest. Nella capitale alla fine vinse Rutelli, ma quella risposta si rivelerà il primo mattone del centrodestra inclusivo immaginato da Berlusconi. Inizia il flirt con Fini. Il rapporto tra i due durerà altri 17 anni. In mezzo c’è la vittoria del 1994,la nomina a presidente della Camera e la nascita del Pdl, fino all’epilogo del “Che fai mi cacci?”. La potenziale leadership dell’ex missino si sovrappone all’ascesa di Angelino Alfano che Berlusconi nomina ministro della Giustizia a soli 38 anni.
La crisi del 2011 costringe il Cav a passare il testimone al governo tecnico di Mario Monti. Decide di fare un passo indietro anche dentro Fi, e per Alfano arriva la svolta: sarà il nuovo segretario del partito, ma fino alla frase pronunciata da Silvio Berlusconi a margine di un incontro a Bruxelles: «Alfano è bravo, gli vogliono tutti bene, però gli manca il quid». L’ex premier si riprende la guida del partito e inaugura la stagione delle larghe intese. Una svolta che ad Alfano non dispiace affatto, tanto da abbandonare Berlusconi quando quest’ultimo romperà con il Pd. Il delfino, dal Viminale passa alla Farnesina, conclude la legislatura e lascia la politica. Ma non prima di aver battuto un primato: 1836 giorni consecutivi da ministro. Mentre Alfano si ritira, l’Italia inaugura la stagione del sovranismo. Un’ondata che travolge anche il candidato moderato Stefano Parisi, scelto prima per Milano 2016 e successivamente per sfidare Zingaretti nel Lazio nel 2018. L’ex manager è l’uomo giusto al momento sbagliato. Non come Giovanni Toti, che con l’immagine pragmatica di “uomo del fare” ha il profilo perfetto per affrontare la stagione sovranista. Il governatore ligure è considerato l’anello di congiunzione tra il centrodestra moderato e il sovranismo leghista. È attualmente al secondo mandato in Liguria, ma in passato ha fatto l’errore di mettere in discussione la leadership di Berlusconi chiedendo le primarie. «Mi pare non ci sia la volontà di cambiare alcunché», ha detto prima di lasciare Forza Italia per fondare un nuovo partito.