Tuttolibri, 28 agosto 2021
Sul pamphlet di Edoardo Albinati "Velo pietoso”
La prima impressione leggendo l’ultimo libro di Edoardo Albinati (Velo pietoso. Una stagione di retorica) è di un’operetta interlocutoria, scritta nella giocosa e incazzata attesa di un libro maggiore. È un diario, o meglio uno zibaldone, o forse un pamphlet, che comprende aforismi di poche righe o riflessioni più distese sul prevalere della retorica nel discorso giornalistico, politico e letterario; la «stagione» del sottotitolo è, ambiguamente, lo Zeitgeist che stiamo attraversando ma anche la letterale primavera 2021, da marzo a giugno. Né mancano qua e là, perché Albinati è lo scrittore che è, spunti che contengono veri e propri racconti in nuce, come quello della bambina di dieci anni uccisa in ospedale per una sequenza devastante di inadempienze ben oltre i limiti della cialtroneria. Ma in prevalenza sembrano note buttate giù alla rinfusa, secondo l’estetica del frammento significativo. Alcune dedicate alla insopportabilità degli stereotipi verbali, e lì è difficile non condividere il suo fastidio; anzi verrebbe da suggerirgli integrazioni (a «resilienza», «iconico», «silenzio assordante» perché non aggiungere «il combinato disposto» o «di una bellezza assurda»?). Altre su comportamenti e tic rivelatori: l’abuso di tricolore, la retorica funeraria per cui anche gli atei «ci guardano dal cielo», lo spreco di «eroi», la speranza nei «valori». Fin qui su un solco abbastanza facile, che va da Bianciardi ad Arbasino.
Ma Albinati, sotto la sua patina di placido ironico borghese, ha un’anima di fumantino attaccabrighe; per cui non ha paura di fare nomi, si sente che sotto la frase gli prudono le mani. Come quando sta con Fedez contro gli emissari dei partiti in Rai e pur esprimendo molte riserve sul cantante sbotta «solo le mazzate capiscono, quelli, non serve andarci con i guanti». O quando giudica «raccapricciante per volgarità e retorica la performance di Stefano Massini» a proposito della ragazza stritolata da una macchina per la tessitura a Montemurlo. In genere i suoi strali sono più contro la destra: il virilismo di Storace, le rodomontate del solito Salvini; ma nemmeno gli va giù «la garrula retorica gay» o la stupidità del «possiamo capirlo solo noi donne». In quanto distruttori di retorica, ama la comicità demenziale di Lillo e Greg, come riconosce che Rebibbia Quarantine, il fumetto di Zerocalcare, è stato il più intelligente racconto in diretta della pandemia. A proposito di stroncature alla garibaldina, la storia di Anna (la serie di Niccolò Ammaniti) gli sembra «un fumetto scritto quando io avevo 12 anni e l’autore stava all’asilo». Ma lo spessore della ribellione aumenta quando Albinati se la prende con «l’insensato e borioso dogma "sii te stesso"». Qui il lettore attento comincia a scorgere un filo, un motivo conduttore del libro. Forse sbaglio, ma non riesco a non connettere la frase appena citata con questa fulminante dichiarazione di Kafka (che arriva qualche pagina dopo): «lascio che i miei pensieri seguano il loro corso senza immischiarmi».
Albinati si chiede in esordio se davvero esista «uno specifico della letteratura», e sembra dubbioso; andando avanti, però, afferma che uno scrittore nasce quando «non riesce ad andare oltre» con la volontà e «si addolcisce»; privilegio e condanna dello scrittore, aggiunge, è che non deve convincere, ma solo esprimersi e mostrare. Altrove precisa che «il negativo del proprio tempo lo si combatte da cittadini, ma da scrittori non si può far altro che prenderlo su di sé, rappresentandolo». In altro punto ancora parte da una cattiva traduzione dell’Agnus Dei, là dove dice qui tollis peccata mundi – la traduzione esatta non sarebbe quella che tutti abbiamo imparato al catechismo «che togli i peccati del mondo», ma «che assumi su di te i peccati del mondo». Dunque è questo lo specifico della letteratura: nientemeno che una imitatio Christi, una testimonianza attraverso la densità e l’onestà della rappresentazione. Un lavoro di scavo interiore per arrivare all’esterno, esplicitamente contrapposto alla «smania di voler intervenire su tutto, di trarre spettacolo da tutto».
Un libretto apparentemente svagato, che dichiara di essersi ispirato a Blob; un libretto che non si nega alle minuzie, magari snobistiche, come quando proclama la propria preferenza per gli oggetti inanimati e suggerisce alla Conad di rovesciare il suo classico slogan trasformandolo in «cose, oltre le persone». Ma anche un libro che affronta di sbieco questioni centrali oggi, e che ci lascia un ritratto dell’autore in un suo momento di malinconia esistenziale («il piacere inestimabile della varietà», dice parlando dell’offerta di serie televisive, «quello che oggi manca nella mia vita»). Insomma un libro a strati senza farlo troppo vedere, letteratura a pieno titolo.