Tuttolibri, 28 agosto 2021
Marx spiegato (bene) da Berlin
Avvicinarsi a un pensiero misurandone la distanza. Così, apodittico, sembra esser il rapporto tra Karl Marx, titolo del libro, e Isaiah Berlin, autore del libro. Nulla di più lontano, si penserà. Il filosofo di Treviri, sotto il nome del quale rivoluzioni e pranzi di gala e arditi proclami sono stati fatti negli ultimi secoli; e il pensatore ebreo lituano, poi inglese d’adozione, scappato dalla Rivoluzione bolscevica (che proprio quel nome, Marx, aveva declinato a grido liberatorio del sol dell’avvenire) e distante dalle seduzioni progressiste e sovversive dell’uomo nuovo. Ma la grana non è mai troppo fine; e l’analisi non è mai troppo comoda, come un’autopsia. Per ben sei anni il futuro filosofo liberale studierà quel che forse è il pensatore più lontano dai suoi interessi: nel 1933 le edizioni universitarie di Oxford gli avevano commissionano la biografia intellettuale di Marx, che vedrà la luce per la prima volta nel 1939 (il suo primo libro). Subito, sin d’allora, fu riconosciuta – e lo è tutt’oggi – come una delle più appassionanti, coinvolgenti e riuscite ricostruzioni della vita e del pensiero di Marx (non è poco, considerando quante se ne sono affastellate: scaffali su scaffali, persino intere librerie!).
I motivi sono molti: l’autore stesso, la sua prosa elegante, l’assenza di tecnicismi, la capacità di restituire con grande libertà, ma allo stesso tempo precisione, un pensiero (quello di Marx) che in certi suoi passaggi è ostico e oscuro. Insomma, traduce concetti ermetici e astrusi in parole semplici, chiare, comprensibili – in filosofia la grandezza dei pochi, pochissimi grandi. Non solo: l’altro motivo è Marx stesso, il cui pensiero – scrive Berlin nelle sue pagine conclusive – è «la più potente tra le forze intellettuali che stanno operando una trasformazione permanente del modo in cui gli uomini pensano e agiscono». Valeva negli anni Trenta del Novecento, vale ancora oggi.
Berlin in queste pagine ha saputo strappare Marx alla notte del dogmatismo, ne ha bonificato l’isola dell’intelletto dall’ideologia – lo stesso Marx scriveva al genero Paul Lafargue che una sola cosa era certa, che lui non era marxista. A questo si aggiunga, per considerare la fortuna di questa biografia intellettuale, anche la fama del suo autore. Pochi tra filosofi e intellettuali del secolo scorso possono vantare un pubblico così vasto come Sir Isaiah. Specialmente nei paesi anglofoni, è considerato il più grande filosofo liberale del ventesimo secolo, nonché testimone d’eccezione e interprete del proprio tempo.
Un episodio per tutti: alla sua morte, nel novembre 1997, il New York Times pubblicò un necrologio in suo onore. Fin qui nulla di strano. Se non fosse però per la collocazione del necrologio. Oltre quattromila parole occupavano infatti metà della prima pagina. Di solito un trattamento riservato soltanto ai presidenti o ai grandi uomini politici americani.
Ebreo, nato a Riga, Lettonia, poi emigrato in Inghilterra, Berlin è stato uno dei rappresentanti più brillanti delle università inglesi. Alla carriera accademica in Inghilterra ha affiancato l’attività diplomatica – come inviato a Washington prima e addetto all’ambasciata inglese a Mosca poi – svolta durante la guerra e fino al 1950, quando si è stabilito a Oxford.
A questo periodo risalgono i suoi rapporti con Churchill, importanti perché lo hanno reso famoso – pochi lo sanno, ma in parte proprio qui ritroviamo l’origine di quella notorietà di cui si è detto. Berlin scriveva allora dispacci su cosa succedeva nella Washington di Roosevelt. Dispacci che, per la loro precisione e brillantezza, colpirono tanto Anthony Eden (allora ministro degli esteri) quanto Churchill; e alla richiesta di chi fosse l’autore il Foreign Office rispose: «Il signor Berlin, ebreo di origine baltica, di professione filosofo». Passò qualche mese e la signora Churchill disse al marito di aver letto che Berlin era a Londra. Perfetto, esclamò il primo ministro: e lo volle a tutti i costi a pranzo con sé. Voleva conoscere quest’uomo così acuto, i cui dispacci eguagliavano le opere dei memorialisti del passato. Così si incontrarono. Ma Berlin non era come se l’aspettava Churchill. Insomma, non sembrava niente di che, non diceva nulla di particolarmente intelligente. Così il primo ministro iniziò a interrogarlo, con pressanti domande, sulla situazione in America. Alle risposte evasive del commensale, Churchill volle spronarlo chiedendogli quale fosse la cosa più importante che aveva scritto. White Christmas, fu la risposta. Il primo ministro andò su tutte le furie, e il pranzo si concluse lì.
Quel Berlin era Irving, non Isaiah, il compositore statunitense autore di molte canzonette di indubbio successo. Scoperto lo scambio di persona, Churchill ne rimase talmente divertito che raccontò il caso al Gabinetto. E di lì finì sulla stampa, con un lungo articolo sulla rivista Time, che celebrava Isaiah Berlin come l’uomo che non incontrò il primo ministro. Fu così che, per errore, Berlin filosofo divenne una piccola celebrità!
Ma poi, il nostro, quella fama seppe mantenerla. Churchill lo incontrò, e spesso. Fra storici, filosofi e studiosi di letteratura russa, ma anche lettori comuni, si fece apprezzare per le sue ricostruzioni di filosofia e di storia delle idee. Alla frequentazione dei libri di filosofia unì quella del presidente Kennedy (erano a cena insieme la sera della crisi dei missili russi a Cuba), di Virginia Woolf, di Albert Einstein, o di Anna Achmatova (una storia d’amore di una sola notte e un giorno, e consegnata al meridiano della poesia – immortale).
Come questo volume su Marx, i migliori libri e saggi di Berlin sono quelli dedicati a figure a lui antitetiche: la sua genialità fu quella di identificarsi in menti a lui distanti e immaginare la realtà così come doveva apparire attraverso i loro occhi. Un emigrante del pensiero, libero, come dimostra in queste pagine di grande respiro. E stile.