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 2021  agosto 28 Sabato calendario

Intervista a Marco Malvaldi

Appena le fai, loro subito si rompono. La meraviglia è l’attimo in cui galleggiano trasparenti in aria. «Le bolle di sapone sono come le storie, mentre le racconti non ci sono più. Ma se sai come farle, puoi crearne altre e poi altre ancora, all’infinito»: Marco Malvaldi, giallista-umorista, è tornato a pescare nella cesta dei giochi per il titolo del suo nuovo romanzo sui logorroici, brillanti e imprecanti vecchietti del BarLume. Dopo l’esordio con le carte nel 2007, il biliardo, il telefono senza fili, la battaglia navale e, tre anni fa, le bocce, ora tocca alle bolle «che mi incantano ancora adesso: se capito a Torino, in piazza Castello c’è un giocoliere che ne fa di enormi, e resto lì a guardarlo anche quando mio figlio Leonardo vorrebbe andarsene». Pisano, ma tifosissimo del Toro, è forse la fede granata l’unico punto di contatto con Massimo, il «barrista» del BarLume, nipote di Ampelio: «Per il resto lui è tutto ciò che io non sono».
Chi è allora Marco Malvaldi? Definirlo scrittore sarebbe una sintesi ingiusta. Nato il 27 gennaio, lo stesso giorno (ci tiene molto) di Mozart, ma 218 anni dopo, in passato è stato sfiorato anche dalla carriera lirica di cui la sua voce teatrale conserva memoria. Oggi è un chimico, per passione, e pure un giocatore professionista di ping pong. Folgorato sulla via della scrittura ancora studente, ha imbastito la sua prima storia nell’estate del 2000 mentre scriveva la tesi di laurea: era l’embrione de La briscola in cinque e già faceva ridere. Malvaldi mette al mondo così i suoi mitici «Muppets» di provincia ultrasettantenni, Aldo, il Del Tacca, Rimediotti e il più vecchio, Ampelio, ispirato «a mio nonno Varisello: ne è il fedele ritratto». Scrive anche altri gialli, l’ultimo è Il borghese Pellegrino, in cui a indagare è l’Artusi, il famoso gastronomo, e ancora saggi e favole «per far restare svegli i bambini». Nella biografia annuncia un libro di cucina «poi il fantasy. Da lì al poema epico in otto volumi il passo è breve», scherza, ma non troppo.
Malvaldi, ha riaperto il BarLume proprio nell’annus horribilis del Covid quando i bar, quelli veri, chiudevano. Quale dei suoi vecchietti gli ha bussato alla porta?
«Il BarLume è la mia confort zone, mi diverto a scriverne. La serie tv poi ultimamente aveva preso una direzione diversa, per motivi indipendenti dalla mia volontà, tanto che ormai non c’entra più nulla con i romanzi. Volevo restituire quindi ai miei personaggi il loro autentico comportamento, tornare a sentire la loro vera voce».
Ci riporta al 9 marzo 2020, le mascherine, i contagi, i morti, il confinamento. Non sono tanti i romanzi ambientati in piena pandemia. Una scelta controcorrente, inevitabile o ragionata, la sua?
«Mi è venuto naturale, ho scritto durante il lockdown. Eravamo diventati tutti esploratori di casa nostra, ed era difficile separare quello che si voleva fare da quello che si poteva fare. Rispetto, ad esempio, ad amici che hanno locali e ristoranti, e che sono stati davvero travolti dalle conseguenze del Covid, io, che come scrittore gestisco un bar immaginario, mi sono sentito un privilegiato e mi sono detto: "Marco, vediamo cosa faresti tu in questa situazione". Ed io so scrivere, di quello che conosco, cioè riorganizzo la realtà che mi circonda».
Così nonno Ampelio & Co. hanno dovuto indagare su Zoom: è stato difficile far familiarizzare quattro ottantenni con tablet e smartphone?
«Più difficile è stato evitare di scadere nella macchietta. Ho visto esempi di pensiero laterale di vegliardi durante il lockdown che mi hanno lasciato allibito, come il tizio che dovendo inviare un lungo messaggio a un amico, invece di mandare il solito vocale da sei minuti, di quelli da martellate nelle vertebre, ha pensato bene di scriverlo a mano su un foglio di carta e poi fotografare il foglio e spedire la foto con il cellulare».
Invece la "banda della Magliadilana" se la cava bene, nonostante l’età: non sarà mica l’ultima indagine?
«Ehi! Mio nonno Varisello è morto a 97 anni, non vedo perché ucciderlo una seconda volta con Ampelio, che ne ha solo 90. In ogni caso non so quando finirà la saga, ma so che passerà del tempo prima che torni a scriverne. Il BarLume deve essere mio, ed ora non sono abbastanza lucido per riprendermelo come voglio, con tranquillità e senza senso di rivalsa».
Qundi sta scrivendo altro?
«Sì, un romanzo».
Ci anticipa qualcosa?
«Sto costruendo un nuovo personaggio seriale, molto rappresentativo: una mamma che ha perso il lavoro perché il suo locale è fallito».
Decisamente attuale, come il movimento e la coscienza femminista. Nel libro Tiziana, la socia di Massimo, rimprovera il Rimediotti per una sboccata osservazione sulle donne. Ha voluto lanciare un messaggio sulla discriminazione di genere o è verismo?
«In realtà, per quanto riguarda Tiziana, ci sono anche parecchi riferimenti alle sue puppe. Comunque un problema c’è: in tanti settori e a tanti livelli, dall’asilo nido al sindacato, le donne sono costrette a scelte forzate, perché prive di garanzie e tutele e non riescono a partecipare alla vita del Paese come vorrebbero e dovrebbero. Miglioramenti ce ne sono ma non abbastanza».
Torniamo alle battute, le più boccaccesche, e aggiungiamoci le parolacce: l’impressione è che il "politicamente corretto" tanto in voga non la condizioni affatto...
«Io sono un appassionato dell’umorismo politicamente scorretto: a ridere in questi casi sono le brave persone».
In che senso?
«Se ridi di una battuta politicamente scorretta vuol dire che credi che quanto ti viene detto non sia compatibile con la realtà, quindi hai compreso. Mi fa paura chi dice "non si scherza su certe cose", e invece, proprio perché si scherza vuol dire che si è capito che non si sta parlando sul serio. Ma c’è un ma...».
Quale?
«Se si fanno battute su donne o uomini in generale, su categorie astratte, è accettabile, ma non lo è se riguardano una persona reale e le sue caratteristiche. Quindi se sento dire "Rosy Bindi è più bella che intelligente" mi incazzo: quella non è una battuta, è un insulto».
In «Bolle di sapone» le attese sono lunghe, complici i tempi tecnici per le videocall dei vecchietti. Il lockdown ci ha insegnato la pazienza o ci ha resi più impazienti?
«Dipende da come abbiamo usato il tempo, io ad esempio ho cercato di imparare le cose più assurde».
Non le bastava il ping pong?
«Oltre a quello, mi sono iscritto a un corso di meditazione per arti marziali. Il confinamento ci ha fatto scoprire di avere tanto tempo libero ma anche di non sapere come usarlo senza persone intorno. Mi piacerebbe che fossimo diventati più pazienti, ma non lo credo: dopo la dieta chetogenica del lockdown ci faremo una grande abbuffata di lavoro».
Ai tempi del suo «La misura dell’uomo», in cui trasforma Leonardo in un detective, disse: «da Vinci non smette mai di imparare. E anche noi dovremmo fare uguale»: cosa deve ancora imparare oggi Malvaldi?
«Tutto. Io, ad esempio, che sono un nerd sempre seduto sulla seggiola, quando scopro qualche attività per migliorare aspetti del corpo o del cervello, voglio subito capire se ne sarei in grado. La curiosità è salvifica: se apprendi una cosa scopri che non ne sai altre dieci, ogni volta che si impara si allarga la consapevolezza della propria ignoranza. Il giorno che dici "so tutto", puoi aprire la finestra e buttarti di sotto».
A proposito di corpo, nel suo libro si mangia tantissimo: con il cuoco Tavolone c’è una dissertazione sul filetto di maiale marinato da acquolina in bocca e al BarLume sperimentano l’asporto: tutto bene con il cibo durante il lockdown in casa Malvaldi?
«Benissimo, un po’ meno bene dopo, quando mi sono reso conto di pesare 95 chili. Io e mia moglie (Samantha Bruzzone, ndr) abbiamo scoperto la cottura sotto vuoto, la pasticceria fine, e un sacco di altre leccornie. Solo che poi lei faceva attività fisica e io sono diventato un armadio a muro».
Samantha è co-autore anche di «Bolle di sapone»?
«Certo, ormai Marco Malvaldi è uno pseudonimo».
Sa, Malvaldi, che lei, almeno su carta, ha messo in salvo una generazione che il Covid invece ha falcidiato?
«Qui però gli anziani sono paradigmatici di una categoria intera: quelli che hanno già dato. Ma chi l’ha detto che a 70 o 80 anni il contributo che puoi dare alla società si limita nel portare i nipoti al parco? Quello che possono davvero fare gli anziani è raccontare, le loro esperienze ad esempio. E siccome gli esseri umani devono la loro potenza alla capacità di raccontare storie, dovremmo tenerceli buoni. Molti, per raggiunti limiti d’età, hanno pochi interessi personali a lungo termine, ma grande interesse verso le generazioni future».
Incontriamo Rimediotti, Del Tacca, Aldo e l’ex sindacalista Ampelio, tra le «Bolle di sapone»: risolvono un giallo, commentano il bollettino sulle vittime del Covid e imprecano, ma mai accennano alla politica. Un po’ insolito per un bar di paese, non crede?
«Non ho scelto di lasciare da parte la politica, ma i partiti, perché cambiano sempre, quelli di oggi tra quattro anni potrebbero non esserci più. Ogni tanto con mia moglie scherziamo sul Pd dicendo che tra poco si chiamerà solo "P": Partito. È l’unica cosa su cui vanno d’accordo. Al BarLume due dei miei vecchietti sono di sinistra e gli altri due di destra, perché questa è l’Italia».
Suo nonno Varisello - cito - era «socialista, anticlericale e notevole bestemmiatore», lei è di sinistra, ma non acritico..
«Perché credo che la sinistra commetta un errore, quello di attribuire alla destra posizioni spesso inesistenti. È abbastanza meschino e non fa bene al dialogo. Un tempo si diceva "i comunisti mangiano i bambini" e oggi "quelli di destra sono tutti razzisti". Ma magari non è vero, forse la pensano solo in maniera diversa».
Lei è un chimico e si è espresso in più occasioni sulle affinità elettive tra scienza e letteratura. Oggi, alla luce di questa stagione dominata dai numeri, il ruolo degli scrittori-scienziati è cambiato?
«Il più grande autore di sempre, secondo me, è Heinrich Böll, che faceva il controllore sui treni, questo per dire che lo scrittore è indipendente dal lavoro che fa. Tuttavia aver studiato la scienza ti dà un vantaggio per certe descrizioni, analogie e metafore. In Italia abbiamo l’esempio di Primo Levi: Il Sistema Periodico è il libro perfetto. Io sono orgoglioso di essere uno "scienziologo". L’importante è sapere anche quando tacere. Mi si aprirebbe il cuore, ad esempio, se a proposito di pandemia uno scienziato interpellato dicesse: "Guardi, io ho studiato biologia e non epidemiologia quindi non sono competente"».
Pensa ancora che «il bar sia l’unica istituzione italiana democratica»?
«Sì, resta l’unico posto dove l’avvocato deve aspettare il proprio turno per il caffè come il diseredato. Non sarai mai fuori posto in un bar, a meno che tu non chieda un cappuccino alle cinque del pomeriggio (ride)».
Ma esiste ancora il bar?
«È cambiato, non è più il Bar Sport, ma un bar dove si fa un pranzo veloce con il muratore, il professionista e il professore che si guardano in cagnesco per capire chi si aggiudicherà la prima porzione di roastbeef. Mi viene in mente il fumetto di Nathan Never, dove la città era divisa per livelli e nel primo la gente per bene non poteva andare. Ecco, il bar è un immenso hub cilindrico che i livelli li attraversa tutti».
Giochiamo: immagini che il BarLume sia chiuso per lavori, deve sceglierne un altro tra il Piano Bar di De Gregori e quello dei "quattro amici" di Gino Paoli...
«I quattro amici al bar, troppo facile. Canzone stupenda».