il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2021
Una classe su dieci è un’aula pollaio
In poco tempo, e perché è una definizione facilmente comprensibile, sono diventate “classi pollaio”. Parliamo delle aule scolastiche particolarmente affollate (anche oltre i limiti previsti dalla legge), ma pure di quelle che in generale potrebbero forse essere ridotte per garantire, in tempi normali, una migliore istruzione e, in tempi di pandemia, una maggiore sicurezza in termini di igiene e contagiosità. Giovedì, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha dato qualche numero cercando di ridimensionare l’allarme sollevato da presidi ed esperti preoccupati per le misure adottate in vista di settembre, con distanziamento solo dove possibile e impossibilità di sdoppiare le classi, non potendo utilizzare neanche il personale aggiuntivo.
Il ministro ha detto che il problema è riferibile a circa il “2,9% delle classi”, per lo più “istituti tecnici delle grandi città” e che, in realtà, il dilemma a cui guardare oggi è un altro: la tenuta demografica. “Quasi il 15 per cento delle classi primarie, le elementari, hanno meno di 15 studenti – ha detto – e c’è un forte problema di tenuta demografica”. Si sposta quindi l’attenzione provando a farle fare una prepotente inversione di marcia e si ricorre a una narrativa ormai diffusa da qualche anno. Molte richieste di finanziamenti e dei fondi alla scuola, a partire da quelli per nuovi concorsi e più personale, vengono da tempo rimbalzati dalla Ragioneria con la motivazione che il progressivo calo della natalità riuscirà, nel tempo, a colmare tutti i gap e a portare la situazione alla normalità. Un concetto che è stato finanche ribadito nel Pnrr, col conteggio del calo degli alunni (-1,1 milioni) e quindi di docenti (-64 mila) e di spesa sull’Istruzione, nei prossimi (indefiniti) anni.
Nell’attesa che tutto si sistemi secondo natura, però, proviamo a verificare quanto detto da Bianchi e diamo uno sguardo ai dati sulla distribuzione delle classi per numero di alunni aggiornata allo scorso anno per tracciare la dimensione di quello che ci si potrebbe trovare di fronte a settembre nelle scuole statali.
A ben guardare, è come dice Bianchi, per lo più nelle scuole primarie: su un monitoraggio di 131mila classi, se ne contavano 28 mila con meno di 15 alunni (più del 20%), quasi 100mila con 16-25 alunni e 4 mila con più di 26 studenti per classe. Circa il 3 per cento, effettivamente, è in soprannumero o quasi (per legge il range è 15-27 alunni per classe). Situazione un po’ diversa già nella scuola dell’infanzia dove (range 18-26), su monitoraggio di 41 mila classi, l’anno scorso 4.900 avevano meno di 15 alunni e circa 4.400 più di 26. Classi vuote e troppo piene, quindi, erano entrambe attorno al 10 per cento. Scuole medie: su 79 mila circa, il 9 per cento aveva meno di 15 alunni, l’8,3 più di 26. La legge permette di arrivare addirittura fino a 30. E le superiori? Il 16 per cento contava meno di 15 alunni, stessa percentuale di quelle con più di 26. Anche qui il limite, eccezionale, è 30: erano almeno 1.400 (1,2%) con più di 31 membri.
I numeri devono essere letti in proporzione e contestualizzati (e tener conto delle deroghe in caso di alunni con disabilità). La distribuzione di scuole dell’infanzia e primarie, infatti, è capillare: sul territorio ci sono, secondo gli ultimi dati disponibili, 22 mila sedi della scuola dell’infanzia e circa 16 mila della primaria, trattandosi di un servizio che deve essere garantito anche nei paesi isolati. Gli istituti secondari, invece, contano circa 8 mila scuole di primo grado e 7 mila per le superiori. La differenza, quindi, è naturale e la tenuta demografica al momento più che un problema appare come una promettente soluzione. Ma solo per i posteri e ammesso che non decidano di fare ulteriori tagli alla scuola. Neanche la pandemia, invece, è riuscita a risolvere i problemi di oggi. Almeno sappiamo che il 90 per cento del personale scolastico sì è vaccinato.