ItaliaOggi, 28 agosto 2021
Periscopio
Gli italiani nel 2006 nella regione di Herat,in Afganistan, avevano costruito dieci scuole per diecimila bambini. Ci portarono all’inaugurazione di un edificio con i muri candidi. I banchi odoravano di legno fresco, gli alunni vestiti a festa. E c’erano, sedute a quei banchi, anche le bambine. Meravigliatissime di avere un maestro e una lavagna davanti, anche loro, femmine. Avevano bellissimi occhi scuri, o, alcune, chiarissimi. Eredità, ti chiedevi, del passaggio dell’esercito sovietico? Penso oggi alle bambine di quel primo giorno di scuola del 2006. Hanno 21 anni, probabilmente già sono madri. Sanno leggere e scrivere. Qualcuna, poche, hanno studiato, forse sono andate all’Università. Quando ho visto ieri la bandiera dei Mujaddin sventolare sull’Università di Kabul ho pensato a loro, ai loro progetti, ai talenti cancellati. A quei begli occhi di nuovo imprigionati sotto a un burka. Marina Corradi, scrittrice. Avvenire.
Fuori dal paese entro il 31 agosto, come da accordi, «o reagiremo», attenti a voi. Agli Stati Uniti d’America di Joe Biden si può impunemente parlare così. Non accadeva dal tempo del peggior presidente democratico del Novecento, l’inqualificabile Jimmy Carter, che consentì alla Repubblica islamica dell’ayatollah Khomeini d’occupare l’ambasciata americana di Teheran e di tenere in ostaggio per oltre un anno, dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981, cinquantadue diplomatici americani. Come Carter nel 1979, e come Nixon quattro anni prima a Hanoi, quando l’esercito americano sgombrò dal Vietnam con la coda tra le gambe, Biden ha permesso che l’America diventasse lo zimbello dei fondamentalismi. Con l’aggravante che sull’orizzonte della politica globale non c’è un Ronald Reagan. Diego Gabutti. ItaliaOggi.
Saigon era stata conquistata dai regolari nordvietnamiti. Kabul da bande di fanatici in stracci e Kalashnikov. Sul Vietnam, dopo 12 anni, Nixon disse: basta sono fatti loro. Sull’Afghanistan la stessa cosa dissero Trump e Obama. Trump, quando l’anno scorso mandò una delegazione a Doha per ’’negoziare’’ una pace con un nemico che, nel suo fanatismo, non concepisce alcuna pacifica convivenza. Cesare De Carlo. QN.
A Roma Ciriaco De Mita passava per filosofo. Nella roccaforte di Avellino era invece il classico notabile di provincia, re delle preferenze e mani in pasta. Giovanni Agnelli, che amava le citazioni colte (il calciatore Del Piero paragonato a Pinturicchio) disse: «De Mita è un tipico intellettuale della Magna Grecia». Indro Montanelli chiosò: «Io non capisco cosa c’entri la Grecia», ovvero, se non c’entra la Grecia, resta il magna. Ciriaco se lo legò al dito e la volta che Indro lo definì “padrino” sul Giornale, lo querelò. In tribunale si dibatté se padrino andasse inteso come capobastone o innocuo mandarino. Il pm optò per la seconda, e chiese l’assoluzione. Il giudice invece condannò Montanelli a pagare un milione di lire. Pena simbolica che De Mita accolse come una medaglia. Giancarlo Perna: “Il Ring”. Guerini e Associati.
Papa Francesco lo ha ricordato un po’ accorato: la messa domenicale è il cuore della vita cristiana, saltarla non fa bene all’anima. Per questo la crescente disaffezione dei fedeli alla frequenza domenicale costituisce un segnale grave, forse un primo passo verso l’allontanamento definitivo. Lucetta Scaraffia. QN.
Tu sei stato più male di me, Domenico. Sì, ho sbagliato, in tutta buona fede, una comunicazione pubblicitaria con i cinesi , ma non volevo offendere nessuno, è stato un errore stupido, naïf. Ci hanno accusati di razzismo: io razzista! Mi ci vedi, Domenico, razzista? Se c’è una cosa che non sono, è questa. Nella storia e nella cultura degli italiani il razzismo non c’è. C’è l’accoglienza. Stefano Gabbana. (Daniela Monti). Corsera.
Ho scoperto da poco che il potere è agire come si dice di voler agire. Niente mi dà più soddisfazione della lealtà, non solo perché penso che sia la cosa migliore che posso riservare a chi amo, ma soprattutto perché mi dà una misura della mia solidità, di come sono riuscita, nel tempo, a smarcarmi dalla compiacenza, dal controllo mio sugli altri e degli altri su di me, dal giudizio. Riuscire a essere chiara, diretta, decisa: per me che sono cresciuta nella doppiezza è una conquista strabiliante. Teresa Ciabatti, scrittrice (Simonetta Scandivasci), il Foglio.
Mio padre è uno scrittore, ha avuto riconoscimenti e recensioni straordinarie, ha venduto. Ora c’è un film di Pupi Avati tratto dai suoi libri. Quando mio padre ha iniziato a scrivere. volevo che facesse la sua strada. L’ho affidato a Marco Vigevani, un agente letterario importante. Alcuni editori hanno rifiutato i suoi libri, Massimo Vitta Zelman e Eileen Romano ci hanno creduto. Lui mi chiedeva, pensieroso, ma perché non mi pubblichi tu? Io gli spiegavo che lo facevo per lui. Quando è nata La nave di Teseo, ha seguito ogni suo passo con trepidazione ed entusiasmo. Mi ha detto che avrebbe voluto che i suoi libri fossero pubblicati da una casa editrice che aveva visto nascere. Era orgoglioso di sua figlia. Così, dopo che anche i lettori e la critica hanno decretato il suo valore, ho deciso di chiedere una licenza a Skira per la pubblicazione. Elisabetta Sgarbi (Maurizio Cavezan). Panorama.
Nel 1922 Hammett ne ha abbastanza: va in sanatorio a curarsi, mette su famiglia, si trasferisce a San Francisco, si trova un lavoro dignitoso (copywriter pubblicitario) che non implichi sparatorie e linciaggi. Tutto bene, se non fosse per due problemi. Il primo: l’alcol, che continua a marinare i suoi giorni e il suo fegato. Il secondo: la nostalgia per l’odore della polvere da sparo, dell’azione. Per l’alcol non cerca neppure una soluzione, per la nostalgia la trova invece in "Black Mask", una rivista "pulp" (cioè fatta con carta ricavata dalla polpa del legno, di infima qualità, con storiacce truculente, da cui la "pulp fiction" tarantiniana) che va per la maggiore. Maurizio Pilotti, Libertà.
Vezio Bonera ha perso la vista d’improvviso, a 68 anni. Oggi ne ha 95, ma non smette di creare. È uno scrittore, Bonera. Dal 2005 ha pubblicato undici libri. Si adattò a stendere il suo primo romanzo, Lo scrigno di latta, settando sul computer il font Impact in corpo 90, quello che i giornali usano quando muore il Papa. Una nuova schermata di Word ogni 6-7 parole: da perderci il filo. Immaginarsi la caparbietà e la fatica per arrivare a mandare in libreria un volume di 444 pagine. «La mia misura è Guerra e pace». Stefano Lorenzetto. Corsera.
La gente non ama guardarsi dentro per paura di riconoscersi. Roberto Gervaso, scrittore.