il Fatto Quotidiano, 27 agosto 2021
Perché Frank Sinatra odiava la Spagna
Settant’anni fa, nel 1951, i rotocalchi e i quotidiani di mezzo mondo dedicarono innumerevoli articoli al matrimonio fra due star americane dello spettacolo. Lei si chiamava Ava Gardner (1922- 1990), bellissima femme fatale di Hollywood; lui era “The Voice”, ovviamente Frank Sinatra (1915-1998), al secolo Francis Albert Sinatra, nato da padre siciliano e da madre ligure. Sempre in quel ‘51, in ottobre, i fan di Ava poterono ammirarla sullo schermo, accanto a James Mason, nel film Pandora di Albet Lewin, una rivisitazione della leggenda dell’Olandese Volante. Il film era stato realizzato in Spagna, a Tossa de Mar, sulla Costa Brava catalana, fra la primavera del ‘50 e l’estate del ‘51.
Durante la lavorazione di Pandora, Ava si fece vedere spesso in compagnia del torero, attore e poeta Mario Cabré, suscitando la gelosia di Sinatra. Tanto che il cantante e attore si precipitò sulla Costa Brava. Innamorato e geloso, portò dagli Stati Uniti un braccialetto di brillanti da 10 mila dollari da regalare all’attrice. Fu probabilmente anche la passione per la protagonista di celeberrime pellicole come Mogambo e La contessa scalza, e soprattutto la rivalità con il torero, a cementare in Frank il suo forte sentimento antifascista contro la Spagna di Francisco Franco e l’odio per il “Caudillo”, che non lo avrebbero mai abbandonato.
Poco noto e del tutto ignorato in quegli anni, visto il legame fra gli Usa e la Spagna anticomunista di Franco, l’episodio è stato ricordato in queste settimane da Isabelle Piquer in un lungo articolo pubblicato da Le Monde, intitolato “Ava Gardner, sirène de Catalogne”. Sinatra, ha rievocato la Piquer, “è uno dei rari attori che non nascosero la propria ostilità al regime di Franco”. Lo ha rammentato Perico Vidal, assistente alla regia di Orgoglio e passione di Stanley Kramer, del 1957, un film che “The Voice” fu costretto a girare in Spagna. “Non sopportava”, narra Vidal, “di vedere la faccia del dittatore su tutti i francobolli”. E sulle lettere che Frank spediva dalla Spagna negli Stati Uniti, “invece di firmare con il suo nome e con il suo indirizzo, scriveva: ‘Franco è un maiale’”.
Nonostante le simpatie manifestate per Ronald Reagan, del resto, Sinatra fu a lungo un democratico impegnato. Si batté contro il razzismo, fu un grande sostenitore di John Kennedy. Durante il maccartismo aderì al Comitato per il primo emendamento, guidato da Humphrey Bogart, in difesa degli attori e degli intellettuali perseguitati perché ritenuti “comunisti”. Come ha osservato Giuliana Muscio su il manifesto qualche anno fa, “fece campagna per il presidente Franklin D. Roosevelt nel 1944 e registrò una serie di spot per il Democratic National Committe, facendo generose donazioni. (E chiamò suo figlio Franklin in onore di Fdr). Nel 1945 realizzò un cortometraggio contro l’anti-semitismo e l’intolleranza razziale, The House I Live In, scritto dallo sceneggiatore comunista Albert Maltz”, una delle vittime del maccartismo. Il “corto vinse un Oscar speciale, in riconoscimento dell’impegno politico del cantante. Nel 1956, in un’intervista con Ed Murrow, per prima cosa mostrò la foto autografa di Fdr e successivamente i suoi due Oscar, sottolineando che il primo, quello per The House I Live In, era quello che aveva amato di più. Sinatra, infatti, era davvero sensibile ai temi dell’uguaglianza e della razza”.
L’astio per il generalissimo Franco ebbe l’apice nel settembre del 1964. Accadde a Torremolinos. Stava girando alcune scene del film Il colonnello Ryan, cui partecipó una giovanissima Raffaella Carrá. Venne coinvolto in una rissa all’Hotel Pez L’Espad con un giornalista e una attrice cubana. Arrivò la polizia, tutti furono condotti in commissariato. Si racconta che Frank rispose a monosillabi agli agenti. Poi, quando tutto sembrava finito, il protagonista indimenticabile di Da qui all’eternità e di L’uomo dal braccio d’oro staccò all’improvviso una foto di Franco da una parete, e “la adornò con un tremendo escupitajo”: ci sputò sopra, insomma.
La polizia, scrissero i giornali spagnoli, “avrebbe voluto fucilarlo subito”, ma intervenne il console americano. La “gente del Gobernador Civil”, peraltro, “sapeva del prestigio di Sinatra”, perciò si chiuse con la sua immediata espulsione e 25 mila pesetas di multa. Salendo sull’aereo, Frank disse che non avrebbe mai più rimesso piede “in questo maledetto Paese”. Quando si seppe che Franco avrebbe festeggiato i 25 anni della sua dittatura, Sinatra dichiarò: “E allora che adesso muoia”.