Righi, come le era venuto di scrivere, lei 23enne di Torino, una canzone come "Vamos a la playa"?
«Ci vorrebbe uno psicologo per capirlo. Scrivere una canzone del genere in una città com’era la Torino di quand’ero ragazzino sembra strano. Non era una città che dava l’idea di essere particolarmente solare e allegra, ma proprio per questo le vacanze avevano un senso.
Finita la scuola andava via il grigio, arrivava l’estate e c’era la libertà».
L’Italia dei primi anni Ottanta era sotto la cappa degli anni di piombo.
«C’era chi lo chiamava "riflusso" ma era voglia di vita, di fare musica e divertirsi e io, da autarchico, volevo fare qualcosa che avesse delle radici italiane: mi piaceva l’idea del revival dei Sessanta in chiave punk.
Identificavo quell’ondata del surf, dei Vianello, Di Capri con il twist, come lo stacco con la musica italiana del passato, pensavo bisognasse partire da lì per una new wave italiana».
In salsa esotica.
«Il nome Righeira me l’ero dato giocando a calcio a scuola, faceva molto Brasile, magari mi piaceva l’idea di essere oriundo. Tutto questo è diventato una cifra stilistica, assieme al piacere per l’assurdo. Uno dei primi pezzi in questo senso era
Clonazione geghegè , cantavo "voglio un figlio uguale a me per ballare il geghegè", mettevo gli anni Sessanta in un contesto post-atomico».
L’estate del dopo-bomba c’era anche in un altro tormentone dello stesso periodo, "Tropicana" del Gruppo Italiano.
«Sono molto amico della cantante, Raffaella Riva, ha disegnato il marchio della mia nuova etichetta, la Kottolengo Recordings. Eravamo in sintonia, la paura "della fine" negli anni Ottanta la esorcizzavamo col disincanto di ventenni che non avevano le preoccupazioni degli adulti. Ci piaceva l’immaginario futuribile, fantascientifico, un po’ Blade runner e un po’ fumettistico, con un linguaggio postmoderno in chiave pop».
Come scrisse la canzone?
«Se sapessi come ne farei altre!
Mettevo insieme il twist, l’elettronica, il punk, sognavo di scrivere qualcosa come Sapore di sale di Paoli o Saint Tropez twist di Di Capri».
Quasi quaranta anni dopo però è ancora "gettonatissima".
«Le canzoni fortunate sono come figli, imparano a camminare e vanno avanti da sole. Magari i ragazzi oggi non sanno chi sono i Righeira, ma la canzone la conoscono eccome. È la forza degli evergreen».
L’estate è sempre al centro?
«È il periodo di massima intensità: per me luglio e agosto sono normali mesi di lavoro. Ho vissuto nei locali, club, discoteche, ma da due anni ovviamente tutto è fermo. Quando riprenderà magari non sarà come prima e della vecchia normalità probabilmente nemmeno ci ricorderemo. Non vedo l’ora che finisca questo terribile periodo e che ricominci, finalmente, l’estate».
E ora?
«Tanti anni fa c’è stata la separazione del duo ma io ho rimesso in piedi la baracca, ho rifatto le basi delle canzoni con la mia voce e dato spazio ad altri interessi. A un certo punto mi sono trovato a un bivio: ho affittato una casetta nel Canavese, a trenta chilometri da Torino, zona di castelli e di laghi, e sono rimasto lì. Ho aperto la mia etichetta "dance oriented", durante il lockdown, il che la dice lunga sulla mia follia. Ma ho anche preso una vigna. Così ora ho un’etichetta underground e una vigna underground: entre rò nel mondo del vino come sono entrato in quello della musica».