Corriere della Sera, 27 agosto 2021
Omar Pedrini in concerto dopo il quarto intervento cardiaco
Lo chiama un imprevisto tecnico. Omar Pedrini definisce così il suo quarto intervento cardiovascolare. «Stavolta l’ho potuto programmare, gli altri erano d’urgenza... anche se poi c’è stato un fuori programma che ha richiesto un ricamino finale». Il cantautore, 54 anni («ma i cinque di ospedale li voglio indietro, quindi dico che ne ho 49») è appena tornato sul palco, a cantare. Un portento reso possibile da una scelta non semplice: un’operazione al cuore in più. «Hanno scoperto un aneurisma all’aorta – spiega – e dopo l’intervento per sistemarlo, a giugno, mi han detto che se avessi fatto vita da scrivania eravamo a posto, ma se avessi voluto tornare sul palco avrebbero dovuto aprirmi di nuovo, per “mettere tutto in sicurezza”». Non ha avuto dubbi.
Come ha vissuto questo nuovo «imprevisto»?
«Convivo con questa situazione dal 2004 e non voglio la pietas di nessuno. Mi considero un miracolato. So di avere questo problema e il patto con i miei medici, i miei angeli, è fare ogni sei mesi dei controlli approfonditi. All’ultimo giro si sono accorti che dovevano intervenire. Di nuovo».
E lei?
«Ho detto: vi lascio il mio corpo, lo affido alla scienza. Vorrei che il mio fosse anche un messaggio di speranza: la cardiochirurgia ha fatto passi da gigante».
Ha dovuto operarsi per la prima volta a 36 anni. La sua vita è cambiata da allora?
«Il mio è un male congenito,l’ho scoperto nel 2004. All’inizio avevo immaginato mille cause: la mia vita era stata parecchio rock, sregolata, fatta di vizi e eccessi, non ne ho mai fatto mistero. Mentre mi tagliavano i vestiti per operarmi la prima volta, ho pensato che stessi pagando il conto. Poi però arriva la lezione magistrale che si può riassumere con Vonnegut: quando siete felici fateci caso».
Lei ora ci è riuscito?
«Beh forse ero predisposto, ma anche il mio cammino me lo ha insegnato. È come se avessi una spada di damocle sulla testa, ma in fondo tutti ce l’abbiamo. Magari il mio crine di cavallo è più sottile degli altri, ma mi è servito per cercare di non perdere tempo. Seneca nel suo De brevitate vitae ricorda che la vita è breve per l’uomo che spreca il suo tempo. Quindi vivo più intensamente ogni attimo. E non mi sento sfortunato».
A febbraio è diventato papà per la terza volta.
«Ho chiamato mio figlio Leone perché quelli della sua generazione dovranno esserlo, visto il mondo che troveranno. Difficoltà a parte, spero che i miei figli capiscano quanto è bello bere una limonata all’ombra di un albero».
Una filosofia di vita non semplice da insegnare.
«Eppure arriva da mia mamma. Aveva iniziato a lavorare in fabbrica a dieci anni, era una forza. Quando si è ammalata di cancro non ci ha fatto pesare niente. Lei sì che era una guerriera».
Lei non si sente così?
«Me lo dicono, ma io mi sento più un resistente. Però ogni volta che sono in ospedale penso che devo fare come mia mamma. Ho imparato la pazienza, ad ascoltare il fiume, come dice Hesse».
Come è stato tornare sul palco così presto?
«Mi sono fatto mettere uno sgabello. Alterno al rock il teatro canzone, che invecchiando mi piace quasi di più. In quelle parti sono rimasto seduto: non so se avrei resistito due ore in piedi, con la chitarra. Ho già fatto quattro serate: non salto come un grillo, ma magari qualche ballettino...».
Sanremo?
«Mi piacerebbe tornarci anche perché sento quasi di avere un credito nei confronti di quel palco. Ne sono uscito molto bene nel 2004 – la prima volta da solista dopo i Timoria – ma due mesi dopo ho avuto il primo stop per il cuore. Si è fermato tutto. Sono seguiti anni difficili, dove non lavoravo quasi più e sembrava che la discografia si fosse dimenticata di me. Poi tutto è ripartito, ma resto un cane sciolto, che è poi il titolo della mia autobiografia. Non ho chissà quanti manager, non faccio parte del “giro grosso”, ma i miei concerti sono sempre pieni e ho scritto un paio di canzoni, quindi sì, all’Ariston vorrei tornarci».
Uscirà un disco quindi?
«Ne faccio uno ogni quattro o cinque anni, anche per lasciar spazio ai giovani... quindi ora ci siamo con i tempi. Durante il Covid non ho scritto niente: mi ha paralizzato. Ero categoria a rischio, in un appartamento a Milano, con mia moglie incinta e nostra figlia: non avevo la minima ispirazione. Poi il mio lockdown si è prolungato in ospedale, ma paradossalmente in quei due mesi sono stato meglio e sono tornato a scrivere. A settembre andrò in studio a registrare e vorrei uscire a fine anno con un disco, vediamo. Ora devo cercarmi una casa discografica».
Fa musica da quando aveva 18 anni: perché non ha un contratto?
«Perché sono fatto così, ma capisco che ora mi devo attrezzare. Per fortuna ci sono tante persone che mi seguono, che mi vengono a cercare. L’onda emotiva che si è creata per questa mia ultima operazione, poi, è stata inattesa, di gran lunga superiore anche alla mia popolarità. Un affetto enorme che un po’ mi ha sorpreso. E mi ha fatto bene».