Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  agosto 26 Giovedì calendario

Quando c’era Lui: disfida tra “voi”, “fesso” e “cesso”

È noto che a dettare il primato del “Voi” sul “Lei” fu il fiorentino Bruno Cicognani con un articolo pubblicato sul Corsera il 15 gennaio 1938 e intitolato “Abolizione del Lei”. Così facendo, a suo avviso, la razza italica sarebbe tornata alle sue vere origini. Approvata l’idea da Mussolini, ne discesero precise disposizioni fiorite nella vulcanica, e a volte grottesca, mente dell’allora segretario nazionale Achille Starace, che provocarono più di un cambiamento.
Tra i più conosciuti quello del settimanale Lei che mutò il titolo in Annabella. In più di una città sorsero cosiddette mostre “Antilei”. In una di queste un cartello istruiva in maniera siffatta i visitatori: “A chi ti dà del lei ancora adesso, non dar il voi né il tu, dagli del fesso”. Successe che il segretario della sezione bellanese Secomanni Turibio, dopo aver preso visione della strofetta su una delle riviste femminili che la moglie acquistava, da lui dileggiate per poi leggerle nascostamente, ne rimase talmente fulminato da provare dispetto per non esserne stato l’autore. Riflettendo però che ben pochi tra i camerati, nessuno in pratica, potesse averne contezza, decise di farla sua e diffonderla come se davvero l’avesse scritta lui. Non perse tempo, e due sere più tardi, nel corso di una riunione di sezione, annunciò di avere avuto due idee geniali. La prima, quella rimetta che declamò. La seconda, che avrebbe fatto stampare manifesti da esporre nei locali pubblici e affiggere nei luoghi preposti in cui si ribadivano le disposizioni staraciane con, in chiusura, il singolare distico. Detto, fatto.
In pochi giorni il paese fiorì di manifesti e cominciò subito a girare qualche voce su questo o quello che s’era già preso del fesso per bocca del Secomanni che non si peritava di dichiarare che non avrebbe risparmiato nessuno, fosse stato il podestà, il prevosto e anche quel tal maresciallo Ernesto Maccadò che con provocatoria pertinacia continuava a usare l’aborrito Lei. La voce giunse all’orecchio del Maccadò grazie a una soffiata del suo appuntato Misfatti cui ben poco sfuggiva di ciò che si mormorava in paese, in ciò aiutato anche dalla moglie, vero carabiniere in pectore. Vedremo, aveva risposto il maresciallo. E in verità gli sarebbe proprio piaciuto trovarsi prima o poi faccia a faccia col Secomanni. Cosa che capitò una mattina. Il Maccadò, da giorni di umore lieto grazie alla notizia che la moglie Maristella era in attesa del sesto figlio, era alla finestra dell’ufficio del Misfatti quando vide il segretario entrare al bar dell’Imbarcadero.
L’occasione gli parve imperdibile e, chiamato l’appuntato per condividere l’evento, lo invitò a scendere con lui per un caffè con l’intenzione dichiarata di rispondere al saluto del Secomanni con un esplosivo, Buongiorno a Lei! La delusione gli si dipinse in viso quando, entrato, del segretario non c’era più traccia. Non era lì fino a un secondo prima?, chiese a Gnazio Termoli, gestore del locale. Sì, confermò questi. Ma all’improvviso, dopo un’occhiata alla strada, gli aveva detto di aver bisogno del luogo comodo. I due carabinieri si guardarono sorridendo. Sarà per un’altra volta, commentò il Maccadò muovendosi per ritornare in caserma. La raggiungo tra un istante, disse invece il Misfatti. Rimasto solo chiese al Termoli carta e penna e scrisse: “Se chi ti dà del voi sta chiuso in cesso, come si fa a capir chi è il più fesso?”. Poi richiuse il biglietto e lo allungò al Termoli. Da consegnare, disse, appena esce.