Corriere della Sera, 26 agosto 2021
Il set-reality russo durato tre anni per 13 film
«Si è detto di tutto: che sono un dittatore, un sadico. Che il mio sarebbe un esperimento perverso, con i partecipanti coinvolti in chissà quali efferatezze…». Al telefono da Mosca, Ilya Khrzhanovsky, 46 anni, ha bene in mente l’infinito elenco di polemiche e accuse che hanno accompagnato dal nascere il suo progetto Dau.
Dau, soprannome di Lev Landau, scienziato premio Nobel, uno dei padri della bomba atomica sovietica e della fisica dei quanti, punto di partenza di questo percorso temerario. Che mette in pratica la teoria delle stringhe dando vita a un mondo parallelo dove 400 esseri umani vengono catapultati in un passato distopico, ricreato su un set di 13 mila metri quadri a Kharkiv, in Ucraina. Dove tutto, dai vestiti al cibo, dalla biancheria intima agli oggetti e al modo di parlare, era esattamente come quando c’era lui, il baffuto e temuto Stalin.
«Trent’anni di Urss racchiusi in una bolla spazio-temporale dove vivere e recitare sono la stessa cosa – spiega Ilya —.Un viaggio in una macchina del tempo da cui, come accade nei buchi neri, nessuno, me compreso, è uscito uguale a come era entrato. Tre anni insieme giorno e notte hanno cambiato le vite di tutti. Ci si è amati e odiati, sono nate relazioni, bambini… C’è stato sesso vero sul set? Sì. Violenze? No. Del resto, chi accetta di entrare mondo Dau, è consapevole di quel che fa, può tirarsi indietro in ogni istante».
E adesso, che di questo fluviale puzzle narrativo che mette insieme cinema e teatro, scienza e religione, filmato per 700 ore da Jürgen Jürges sta per uscire il primo dei 13 film realizzati, Natasha, da oggi nelle sale distribuito da Teodora, Khrzhanovsky suggerisce a chi andrà a vederlo di stare al gioco, immergendosi senza tema nei gorghi oscuri di questo Truman Show Sovietico.
Come tutti gli interpreti, Natasha, la protagonista di questo primo capitolo, non è un’attrice. Natalia Berezhnaya era una guardarobiera. «L’ho scelta per il suo viso bello, il suo sguardo doloroso. Le selezioni sono state lunghe e complesse, hanno partecipato oltre 300 mila abitanti di Kharkiv, artisti, camerieri, studenti, poliziotti, tutti disposti a lasciare vita e lavoro, cellulare e internet, per traslocare in un altro universo».
Con loro, un gruppo di veri scienziati, veri sciamani e rabbini, veri ex Kgb, verissimi criminali neonazi specialisti in atti vandalici, qualcuno finito in galera. In questo Istituto claustrofobico, Natasha è la responsabile della mensa. Con la collega Olya serve a tavola ricercatori geniali e bislacchi, scherza con loro, con loro si ubriaca. Con uno, Luc Bigé, teorico dell’energia orgonica di Wilhelm Reich, ci va a letto. Quel che si vede non lascia dubbi sulla veridicità. «Chi entra in Dau rinuncia alla responsabilità sociale. Sei te stesso e non lo sei, ma se ti specchi in un altro sei più libero di guardarti».
La scena incriminata però è un’altra. Durante un violento interrogatorio di un agente Kgb, Natasha subisce violenze poco riferibili. «Nei momenti più crudi – assicura Ilya – è subentrata la fiction». Il maiale sgozzato nel finale di un altro dei film evidentemente non era stato informato.
D’altra parte Vladimir Azhippo, il torturatore sadico di Natasha, che davvero faceva parte del Kgb ed era noto nell’ambiente per i suoi metodi poco urbani, grazie a Dau ha avuto una sorta di conversione. «Dopo il film ha cambiato vita, fino alla sua morte, nel 2017, è stato presidente di Amnesty International in Ucraina». Miracoli di un esperimento ai confini con la realtà, la cui follia visionaria e voyeuristica ha coinvolto nelle istallazioni realizzate a Parigi e Berlino artisti come Isabelle Huppert, Gérard Depardieu, Isabelle Adjani, Marina Abramovic, Brian Eno, Peter Sellars, Romeo Castellucci. E tra gli scienziati, il premio Nobel per la fisica David Gross, Nikita Nekrasov, Shing-Tung Yau, Carlo Rovelli.
Quanto a Landau, che in questo primo capitolo non compare, lo scopriremo nei prossimi film con il volto estatico di Teodor Currentzis, direttore d’orchestra noto per aver creato a Perm, in Siberia, una comunità di musicisti legati da un’intesa mistica.
A finanziare tanta impresa un oligarca russo, Sergei Adoniev, condannato negli Usa a 20 anni per frode e traffico di cocaina. A abbonargli la pena pare ci abbia pensato Putin. Che non è certo Stalin, ma in fatto di censure, violenze, ricatti, non va per il sottile. L’occhio del Grande Fratello è sempre lo stesso? «Succedeva nella Russia sovietica e succede anche oggi. Nulla è cambiato, la bolla totalitaria esiste ancora nella testa della gente. Allora gli ideali rendevano quel contrasto più forte, oggi il cinismo lo rende più oscenamente accettabile».