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 2021  agosto 26 Giovedì calendario

Françoise Gilot, la donna che piantò Picasso

«Non si lascia Picasso». Lui, il genio, l’aveva avvertita. Ma, dopo dieci anni di vita in comune e due figli, Claude e Paloma, Françoise Gilot, donna libera e pittrice fantasiosa, se ne andò: fu l’unica che osò abbandonare Pablo Picasso. Tutte quelle che l’avevano preceduta (Fernande, Olga, Marie-Thérèse e Dora) morirono disperate: nella miseria, in preda alla pazzia o suicide. Jacqueline, che sostituì Françoise, si tolse la vita dopo la morte dell’artista. Lei, invece, si è salvata. La Gilot è ancora viva, spera di compiere i cent’anni il prossimo novembre. Vive dalla metà dei Sessanta a New York e dipinge ancora nell’appartamento-atelier di Manhattan. Negli Stati Uniti ha avuto successo con i suoi dipinti (colorati ed emotivi), è esposta nei principali musei. Mentre in Francia è stata ostracizzata, prima da Picasso, furioso per quell’abbandono, e poi da tutto un gotha culturale che non le perdonò il suo atto di libertà.
Oggi si prende la rivincita. Al museo Estrine, a Saint Rémy-de-Provence, nel Sud, le viene dedicata una prima mostra sulla pittura dei suoi «anni francesi», condivisi con Picasso. E la tv Arte ha appena trasmesso un documentario, Pablo Picasso e Françoise Gilot, la donna che dice di no: così la chiamava il pittore. Insomma, viene riabilitata anche su questa sponda dell’Atlantico. Lei era figlia dell’alta borghesia di Neuilly, ancora oggi il sobborgo parigino dei ricchi. Entrata in rotta con un padre autoritario, veniva sostenuta nella sua vena artistica dalla madre, appassionata di acquarelli. Conobbe Pablo in un ristorante catalano, una sera del maggio 1943, nella Parigi occupata dai nazisti.
Aveva 21 anni, lui 61. Quasi ogni giorno la giovane donna cavalcava al Bois de Boulogne. E Picasso, nella sua auto guidata dall’autista Marcel, la cercava tra gli alberi, pazzo di un amore malato. La Gilot lo racconta nel documentario realizzato da Annie Maillis, amica e biografa: «Pablo aveva una paura atavica dei cavalli. Quando voleva denigrare Dora Maar, la compagna precedente, la paragonava a un equino. Fu quella una delle ragioni del suo amore per me, quasi una forma di sadismo. C’era un desiderio di morte nei miei confronti». Il pittore iniziò a ritrarla, come nella Femme fleur, radiosa e solare. O altrove, con un corpo morbido, rassicurante, tutto curve. Però, a lungo una cicatrice sul viso di lei ricordò il momento in cui lui, furioso, le spense una sigaretta sulla pelle. All’inizio la relazione si svolse a distanza. Ma nel 1947 Françoise cedette, accettò di andare a convivere con Pablo. Si trasferirono in Costa Azzurra, a due passi dalla spiaggia.
Claude nacque nel 1947, Paloma nel ’49. Furono anni di condivisione artistica tra i due, che si ritraevano a vicenda nei propri dipinti. E di passioni comuni, come quella per le corride. Nel 1949 Henri Matisse portò a casa loro alcuni piccioni, che aveva preso a Milano. Françoise li mise in una gabbia, in giardino. Pablo ne ritrasse uno, tramutandolo nella sua fantasia in colomba. Ne fece il simbolo della pace. In varie sue opere il viso della donna si confonde con quella colomba, eterea e liberatoria. Ma, nella realtà della vita di ogni giorno, Picasso, invecchiando, diventava intrattabile. E la donna faceva resistenza. Un suo dipinto del 1952 la mostra con Claude accanto, che scrive la parola «libertà» alla lavagna, e Paloma che gioca coi fiammiferi, ribelle piromane in erba. Liberté il titolo della tela. Voglia di libertà. Sì, la Gilot fuggì nel 1953 con i due figli, direzione Parigi, per poi frequentare Londra e in seguito New York, dove andrà a vivere. Si sposò con il pittore Luc Simon, dal quale ebbe Aurélia. E la nascita di quella figlia (senza di lui) fece imbestialire ancora di più Picasso. Nel 1970 la donna si unì a Jonas Salk, pioniere del vaccino della poliomielite. Visse con lui fino alla sua morte, nel 1995. Nel frattempo si è imposta lì come pittrice.
Nel 1964 aveva scritto un libro, Vivere con Picasso, racconto relativamente intimo di quell’ostica convivenza con il Minotauro (lei lo chiamava così). Ricordava come Pablo glielo avesse detto chiaro e tondo: la donna è «una macchina da far soffrire». Ma a Parigi ottanta personalità, tra artisti, galleristi e intellettuali, firmarono una petizione per protestare contro la pubblicazione del libro. Douglas Cooper, collezionista e storico dell’arte, organizzò addirittura un autodafé pubblico, bruciandone alcune copie. Intanto il pittore si rifiutava di vedere Claude e Paloma. Come ripicca. Dei loro amici comuni, solo Jean Cocteau decise di non voltare le spalle a lei. La gauche (e in particolare il Partito comunista, al quale Pablo era iscritto dal 1944) si chiuse intorno al genio e boicottò la donna. Come dice oggi la sua amica Annie Maillis, «Françoise Gilot è il MeToo. Dice: non sono una creatura, sono una creatrice. Non sono un oggetto della pittura, sono una pittrice». L’ha pagata. Ma alla fine è l’unica a essere sopravvissuta.