La Stampa, 26 agosto 2021
Xi Jinping entra in classe
Dopo il mao-ismo, bisognerà studiare il xijinping-ismo. A cominciare da quest’autunno, 300 milioni di studenti cinesi dovranno sapere che la superiorità cinese deriva dal sistema a partito unico e che c’è bisogno di un leader forte affinché al Paese sia riconosciuto il ruolo che gli spetta nel mondo. A tutte le scuole della Repubblica popolare cinese spetta il compito di «piantare nei giovani cuori il seme dell’amore per il Partito, per la nazione e per il socialismo. Insegnare che il segretario generale Xi Jinping è la guida dell’intero Partito e del popolo cinese». Così si legge nella circolare emanata ieri dal ministero dell’educazione.
Di fatto si introduce in tutti i curriculum scolastici «il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era», quello che nel 2017 è stato inserito nella costituzione del Partito elevando l’attuale presidente alla statura del padre fondatore della patria Mao Zedong. Alle elementari ci si concentrerà sullo sviluppare l’amore per la propria nazione, il Partito comunista cinese e il socialismo. Alle medie si comporranno studi ed esperienze pratiche per aiutare la formazione di giudizi e opinioni politiche per poi essere pronti, con il progredire degli studi, a porre la giusta enfasi sul pensiero teorico del socialismo con caratteristiche cinesi. E, considerando il metodo altamente mnemonico del sistema educativo cinese, siamo certi che gli studenti cresceranno sapendo recitare a memoria almeno cento citazioni dai discorsi del Presidente.
Per carità niente di nuovo. Più o meno dalla fine del 2012, cioè da quando Xi Jinping è stato insignito della carica più alta dello Stato cinese, che poi coincide con il vertice del Partito e dell’Esercito, il presidente si è comportato come se il suo compito fosse quello di riportare il Partito alla purezza delle origini.
Come il grande timoniere aveva raccolto le sue massime nel Libretto rosso, sono ormai almeno otto i volumi con i discorsi e gli scritti di Xi di cui uno, “Governare la Cina”, è già tradotto in tutto il mondo. In cinese c’è un’applicazione per smartphone il cui nome, XueXi, gioca sull’omonimia del secondo carattere del verbo studiare e il cognome del presidente. E poi ci sono le decine di cartoni animati e canzoni che la nuova propaganda ha confezionato per far arrivare il pensiero e le parole dello “zio Xi” alle nuove generazioni. E infine l’educazione patriottica dei giovani pionieri che dovranno imparare come «la qualità della vita odierna deriva dalla corretta guida del Partito e dalla superiorità del nostro sistema socialista» e che «i geni rossi si trasmettono da una generazione all’altra».
La circolare di ieri, inoltre, arriva a poche settimane dalla stretta di Pechino sull’istruzione privata, un settore economico valutato oltre 120 miliardi di euro. Le aziende che se ne occupano non potranno più finanziarsi con investimenti esteri e, in alcune circostanze, saranno obbligate a trasformarsi in non profit. Il ministero, si legge, ha condannato l’industria dell’educazione privata anche perché sarebbe «ostaggio del capitale» e non permetterebbe il medesimo accesso all’istruzione a tutte le classi sociali. Una decisione che appare nel solco della nuova linea sulla «prosperità condivisa» per cui sarà necessario «regolamentare i redditi eccezionalmente alti e incoraggiare i gruppi ad alto reddito e le imprese a restituire di più alla società». Ma che nasconde anche la volontà di limitare al massimo le cosiddette influenze straniere. Infatti ci sono nuove regole che non permettono l’apprendimento online con i tutor stranieri, mentre molte collaborazioni con le università estere sono state interrotte senza ulteriori spiegazioni e i libri di testo stranieri sono stati nuovamente vietati nelle scuole primarie e secondarie. Gli esami di lingua inglese poi sono stati ridotti, e si fanno sempre più forti le voci polemiche al suo insegnamento.
Questo avviene un anno dopo che la pandemia ha ulteriormente isolato i giovani cinesi: niente più viaggi né università all’estero. Il tutto mentre le democrazie occidentali, prima tra tutte quella statunitense, perdono smalto. Una gestione troppo libertaria della pandemia, l’abbandono di Hong Kong prima e dell’Afghanistan in tempi più recenti, sono tutti argomenti che la propaganda fa propri per giustificare la sua teoria: il declino dell’Occidente a fronte dell’inarrestabile ascesa cinese. Ogni altro punto di vista verrà stroncato sul nascere.