la Repubblica, 26 agosto 2021
Sul giallo di casa Montino-Cirinnà
Se l’Italia non fosse l’Italia – e Capalbio una sua minuscola, suggestiva porzione rinomata a gauche; se 24 mila euro non fossero, in tempo di crisi economica o peggio, più o meno quanti ne guadagna un impiegato lavorando in un anno; se la coppia in politica, in carriera e in produzione di vino bio formata da Esterino Montino e Monica Cirinnà, lui ex sindacalista dei braccianti di Maccarese divenuto sindaco di Fiumicino e lei alfiera dei diritti lgbt; se, se, se...
Ecco, anche priva di tutti questi se, la storia dell’enigmatico tesoretto ritrovato casualmente durante certi lavori nella loro tenuta avrebbe destato lo stesso una certa curiosità. Ma siccome qui da noi tutto sempre accade non tanto ai limiti, ma all’insegna dell’inedito, dell’inaudito e dell’incredibile, la circostanza che i quattrini fossero nascosti nella cuccia-casetta del cane di famiglia assegna senz’altro al ritrovamento un tratto impervio e fantasmagorico; e ancora una volta l’ala nera della commedia cala sulla vita pubblica smistando in ragionevole proporzione altisonanti lamenti da parte dei Montino-Cirinnà, che hanno chiamato i carabinieri e si ritengono vittime di «ingiurie, insulti, veleno, una vera e propria gogna mediatica e social», ma anche una ventata di sospettosa allegria che il comune sentire estende e giustifica in proporzione alla credibilità della classe politica.
Di questa satira che in egual misura promana dall’alto e dal basso e che si riflette nello specchio incandescente dei social come negli ideali corridoi del Palazzo in smart-working, tocca qui segnalare al primo posto, con necessitato arbitrio, la sassata tweet di Calenda: «Quando vuoi veramente bene agli animali»; poi quell’altra di un tipo che, rispetto al luogo del ritrovamento, l’ha messo dadaisticamente in relazione con l’immagine del fantasmatico banchiere Cuccia; e infine una vignetta di Osho che scagiona il cane in quanto – vecchia battuta di Cacciari a De Michelis – “ricco di famiglia”.
Poco o nulla purtroppo si è venuto a sapere dell’animale, cui in accentuata antropomorfizzazione toccherebbe la titolarità del denaro che i Montino-Cirinnà intenderebbero destinare a «fini di pubblica utilità». Ciò detto, la recente vita pubblica italiana, nella sua straniante euforia, ha visto diversi cani guadagnarsi una loro visibilità, dal celebre Dudù berlusconiano, che giocò pure a palletta con Putin, al carlino Puggy che l’onorevole Biancofiore fece latrare in radio al suono di “Meno male che Silvio c’è”; dal beagle di Santanché, che nel recente suo primo compleanno è stato ammesso a tavola e su Instagram a un pastore tedesco, Gunther si chiamava, che misteriose vicissitudini societarie ed ereditarie avevano portato a divenire azionista della poveraUnità in abbandono.
Delegata ai diritti degli animali nella giunta Rutelli, durante la calda estate del 2013 l’ignara Cirinnà venne seguita da un pelosissimo terrier all’interno del Senato, fino all’ufficio postale; ma è escluso che il padroncino della cuccia di Capalbio sia lui perché proprio la senatrice, via microchip, lo restituì ai legittimi proprietari.
Non si ha notizia, d’altra parte, di segugi specializzati in bigliettoni da 500 arrotolati dentro cunicoli e interstizi. La storia, come da poesia di Montale, “lascia sottopassaggi, cripte, buche/ e nascondigli. C’è chi sopravvive”. Assai più modesta, ma insistente, la cronaca offre in Italia una spiccata varietà di luoghi che, al netto dell’odierno episodio, sarebbero dovuti sfuggire allo sguardo: dallo sciacquone di Mario Chiesa (erano 35 milioni di lire) al pouf di Poggiolini (banconote, titoli e gioielli), dalle fioriere gelliane di Villa Wanda (150 kg di lingotti d’oro) a diversi e più scontati controsoffitti. Si registrarono in passato anche un paio di casi di refurtive depositate nelle mutande di un consigliere circoscrizionale e, per pari opportunità, nel wonderbra di una funzionaria delle Infrastrutture. Molto, forse troppo lascia pensare che il mistero della cuccia del cane di Capalbio resterà tale.