il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2021
Breve guida a Dazn
Le partite della Serie A, il bene più prezioso che ci sia per l’italiano, per i prossimi tre anni sono nelle mani di un ex oligarca russo, che ha costruito la sua fortuna partendo dalle macerie dell’Urss e cavalcando le onde del capitalismo occidentale, e ora si è messo in testa di costruire la Netflix dello sport, progetto che in Italia, per volontà del grande alleato Tim, significa catapultare dall’oggi al domani un Paese con un digital divide imbarazzante nel futuro dello streaming. Per gli avidi patron della Serie A, che di fronte al malloppo non ci hanno pensato troppo a consegnargli le chiavi del campionato, stiamo in una botte di ferro. Per i tifosi riottosi al cambiamento, per cui si stava sempre meglio quando si stava peggio (il monopolio di Sky e le urla di Caressa sono ricordati praticamente come l’età dell’oro), siamo rovinati.
L’era di Dazn, cioè del pallone in streaming, è cominciata come tutti si aspettavano: disagi, proteste, addirittura interrogazioni parlamentari. Sembra di essere tornati al 2018, con l’aggravante di tre anni di inutili prove generali, all’esordio balbettante nel campionato italiano di Dazn, entità astratta che ancora non è entrata nel cuore degli italiani. Lev Blavatnik è convinto che ci riuscirà presto, e non per caso è diventato uno degli uomini più ricchi del pianeta.
Dazn è una sua creatura, la sua scommessa: 64 anni, originario di Odessa, patrimonio personale di 32 miliardi di dollari, è il prototipo del magnate russo che ha studiato in America (master alla Columbia e ad Harvard) e poi è diventato miliardario nel passato torbido della disgregazione dell’Urss, in particolare nella “guerra dell’alluminio” da cui sono emersi alcuni uomini dalla ricchezza sconfinata (non tutti vivi attualmente). Solo che, a differenza dei compagni, lui ha tagliato i cordoni con la madrepatria. Il suo core business è stato a lungo nel settore chimico e petrolchimico, poi nell’entertainment (con Warner Music), ma il futuro sono i diritti tv dello sport. Cioè Dazn.
In principio era una costola di Perform, azienda specializzata nella raccolta di dati per le scommesse sportive. Poi è arrivato Blavatnik e ha deciso di buttarsi sulla trasmissione di eventi. Lanciata per la prima volta come servizio streaming nell’agosto 2016 in Germania, sbarcata nel 2018 in Usa e Italia, Dazn vive una crescita vorticosa. Negli ultimi anni è aumentato tutto: Paesi raggiunti (oltre 200), diritti acquisiti, abbonati, ricavi, soprattutto costi però, tanto da non far quadrare mai i conti. Nel 2019 nonostante 8 milioni di abbonati globali, il gruppo ha perso circa 1,4 miliardi di dollari. È frequente per startup che cercano di imporsi in un nuovo mercato, ma viene da chiedersi come possa permettersi di pagare il corrispettivo del suo intero fatturato (oltre 800 milioni) per la Serie A.
La risposta riporta all’inizio della storia: la ricchezza di Blavatnik e la linea di credito miliardaria che la sua holding Access Industries garantisce a Dazn. Di fronte agli investimenti non ancora ripagati (oltre 4 miliardi per il lancio), Dazn poteva sbaraccare o rilanciare: ha scelto la seconda, in grande stile, per provare a imporsi sul mercato, grazie proprio alla Serie A, e magari in futuro quotarsi in Borsa. Il resto l’ha fatto una congiuntura tanto favorevole quanto decisiva: l’entrata a gamba tesa di Tim, che ha deciso di puntare sul pallone per convertire il Paese alla fibra e al contempo stroncare un potenziale rivale come Sky (che aveva iniziato pericolosamente a buttarsi sulla telefonia).
L’alleanza con Tim (che contribuisce con 340 milioni l’anno per l’esclusiva dei match Dazn) è la vera chiave di lettura di quanto sta accadendo in Italia, delle partite in streaming a ogni costo, prima ancora che il Paese fosse pronto. Dazn in Germania ha appena firmato un accordo con Comcast per avere due canali su Sky, come avveniva fino all’anno scorso in Italia e magari sarebbe potuto avvenire ancora, se di mezzo non ci fosse Tim, per cui l’affare sta proprio nel portare sulla fibra (possibilmente, la sua) il maggior numero di utenti. Non a caso l’ad Gubitosi ha escluso categoricamente ogni relazione con Sky: l’obiettivo potrà essere raggiunto solo se il tifoso non avrà alternative.
La “Netflix dello sport” con l’originale ha poco a che spartire: offrono entrambe servizi in streaming, ma il vero punto forte di Netflix è l’on demand che lo sport, evento live se ce n’è uno, non potrà mai offrire. E infatti questa è la grande difficoltà per cui Dazn non ha ancora sfondato, oltre ai costi altissimi dei diritti. Prendiamo Dazn Italia, per esempio, la divisione affidata alla manager Veronica Diquattro: secondo quanto rivelato da MF, attualmente sarebbe sotto il milione di abbonati, meno dell’anno scorso quando ormai i big match superavano stabilmente i due milioni di spettatori (anche se i numeri erano drogati dall’accordo con Sky che regalava il pacchetto ai suoi clienti). A queste cifre, l’investimento non si ripagherebbe mai. Ma Blavatnik ha tempo e soldi sufficienti per vincere anche questa sfida: ai tifosi italiani non resta che sperare che ci riesca.