la Repubblica, 25 agosto 2021
La storia clandestina tra la contessa di Castiglione e Costantino Nigra
Nell’inverno del 1856, giovani, belli, eleganti, erano partiti entrambi dal Piemonte per andare alla scoperta di Parigi, e per tramite di Cavour erano diventati amici. A Torino sarebbe stato impensabile. Nella capitale sabauda, dove la nobiltà arroccata nei suoi privilegi formava ancora un mondo a parte, un funzionario di modesti natali come Nigra non avrebbe mai avuto modo di frequentare una dama dell’alta società come la contessa di Castiglione. Ma tra di loro si era ben presto stabilita un’intesa a tutta prova, ed era lui a trasmetterle le istruzioni in codice che arrivavano dal ministro.
Pochi anni dopo Virginia lo avrebbe ritrovato a Parigi, dove Nigra era stato promosso inviato straordinario e ministro plenipotenziario, per poi diventare, a soli trentatré anni, nell’agosto del 1861, il primo rappresentante del re d’Italia in Francia. Uscito dall’ombra di Cavour, il giovane piemontese sarebbe rimasto nella capitale per ben quindici anni, dando prova di una capacità e di una tenuta professionale destinate a farne un vanto della diplomaziaitaliana… Ora era Nigra a godere della benevolenza di Napoleone III e del favore dell’imperatrice, a essere ospite di riguardo alle Tuileries e a Compiègne e conteso dal bel mondo parigino. Toccò quindi a lui offrire il suo appoggio all’affascinante compagna d’avventura caduta in disgrazia, cogliendo anche l’occasione per farle la corte. Estesa alla sfera erotica, la loro complicità si rafforzò, giacché entrambi praticavano l’amore come un gioco e non ne facevano mistero. Ma il libertinaggio rispondeva a esigenze diverse per ciascuno di loro. Nigra se ne serviva come di un euforizzante che gli faceva dimenticare l’infelice situazione familiare; viceversa, per Virginia, che di regola si concedeva agli uomini solo se potevano esserle utili, ed era pronta a punirli per averla costretta a concedersi, le partite di piacere erano il diversivo da una faticosa strategia che la vedeva impegnata su molti fronti nello stesso tempo. Non era facile incontrare giocatori all’altezza – ne avrebbe trovato uno in Estancelin – ma nessuno più del bel Costantino aveva le carte in regola per tenerle testa. Pochi erano in grado quanto lui di giudicarla con occhio equanime. Di Virginia, al suo acume di scrittore e al suo talento di diplomatico non sfuggivano l’audacia intellettuale, l’intuito politico, la fierezza di servire una nobile causa, ma neanche la capricciosità, l’arroganza, la fiducia illimitata nella propria bellezza. E aveva subito indovinato la natura del tarlo che la rodeva. Fin dai primi tempi del loro sodalizio, nella primavera del 1857, dopo averne celebrato i successi, Nigra coglie l’inquietudine che non la abbandona neppure nella sua avanzata trionfale: «Mia bella Signora» le scrive «non lasciatevi nel nome di Dio pigliare dalla nera malinconia, che traspare da una frase della vostra lettera cara». E con altrettanta sagacia, constatandone la verve epistolare, le rivolge, sia pur scusandosene, una piccola predica: «Voi avete spirito e cultura. Voi scrivete bene, e potete scrivere beni ssimo con un po’ d’attenzione… Ebbene con tutti questi dati voi potete scrivere delle eccellenti memorie».
Della sensibilità artistica dell’amica, Nigra avrebbe avuto un’indubbia conferma ammirandone le pose davanti all’obbiettivo fotografico. Scelte appositamente per Nigra, le fotografie – a tutt’oggi il solo album della Castiglione giunto intatto fino a noi – sono una cronaca per immagini del primo soggiorno parigino di Virginia e documentano il suo camaleontico talento. Scatto dopo scatto, la vediamo impersonare aspetti diversissimi della femminilità: la maternità, la spiritualità, il raccoglimento, la seduzione, la giocosità. «Vi ringrazio dell’album che è veramente magnifico. I ritratti son lungi dal rappresentare tutta la vostra bellezza divina, ma indicano che chi ha immaginato le pose, è artista nell’animo. E poi quanta espressione in quello sguardo! Dio! Dio!» si estasia lui nel riceverlo.
E non sarà l’unico a restare colpito dallo sguardo della modella nel più notevole di questi ritratti, che il barone Robert de Montesquiou battezzerà proprioLe regard e che è considerato a giusto titolo uno dei più belli della storia della fotografia. Emergendo seminuda da una corolla di tulle, seducente ma al tempo stesso distante, la contessa fissa lo spettatore. Emana quell’erotismo glaciale, quell’effetto di “fuoco freddo”, di “inverno tropicale” che ha tanto colpito i suoi contemporanei. Offerto all’ammirazione, il braccio sembra un frammento di marmo antico. L’incredibile capacità della contessa di “reggere” l’obiettivo dipende in gran parte dalla potenza espressiva dello sguardo, che è in grado di modulare a suo piacimento.
Sia pur diversamente impegnati – Virginia in relazioni simultanee con Poniatowski, La Tour d’Auvergne e Laffitte, Nigra in una situazione politica intricatissima e in continua evoluzione – i vecchi complici sembravano trovare il modo di vedersi sovente. E lei gli rivolgeva le richieste più disparate, compresa quella di un consiglio sulla mise da indossare a un ballo. «Cara e bella contessina» protestava Nigra «che diavolo mi pigliate a giudice del colore delle vostre vesti?». E, attingendo ai Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci raccolti da Niccolò Tommaseo, la canzonava giocosamente: Siete la più bella giovinetta che in cielo e in terra si possa trovare e colorita più che rosa fresca e chi vi vede fate innamorare se venite alle 4 discorreremo. Vi bacio la mano bella… Presto Nigra non avrebbe più avuto bisogno dell’autorizzazione per andare a trovarla: «Verrò da voi questa sera alle 11. Non fatemi fare troppo lunga anticamera. Senza frasi inutili, mi dico vostro N.». O, ancora più spiccio: «Verrò a vedervi domani sera, a condizione però che non vi vestiate niente». Ma poteva anche bastare un: «A stasera, alle 9, Senza». E se lei si faceva desiderare, lui non ne faceva un dramma: «Verrò a vedervi quando potrete darmi una serata intiera per me e che non siate affaticata, e non vestita e non di cattivo umore. Se per domenica tanto meglio».
In attesa che riaffiorino da un archivio o da qualche collezione privata le «lettere appassionate» che Virginia gli avrebbe mandato, abbiamo indizi sufficienti per supporre che a partire dall’estate del 1862 i due compatrioti giocassero, in libertà e in allegria, una partita erotica finalizzata al solo piacere.
Ma l’intesa continuò anche a partita conclusa, e Nigra avrebbe sempre riservato a Virginia un’amicizia affettuosa e un’estrema pazienza.