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 2021  agosto 25 Mercoledì calendario

All’asta le reliquie di Al Capone

Alphonse Gabriel Capone. Per tutti Al Capone. Il re dei gangster finito in prigione non per i crimini – come ripete il ritornello – ma per aver evaso il Fisco americano. Un reato grave, ma minore rispetto a quanto ha combinato prima a New York e poi a Chicago. Anni ruggenti, anni di piombo, con i nemici falciati a colpi di mitra. Bocche da fuoco, potenti. Ne servivano tante e affidabili, le organizzazioni si sparavano per il controllo del territorio, per regolare i conti, per minacciare rivali. Al aveva il suo «ferro» preferito, una Colt 45, un pezzo rimasto agli eredi. Che ora può passare di mano. 
La famiglia del boss ha deciso di mettere all’asta in ottobre molti oggetti appartenuti al fuorilegge. Non una novità, visto che già in passato hanno venduto – guadagnando bene – altre «reliquie»: i media ricordano un orologio con diamante piazzato per 84 mila dollari quattro anni fa. 
Se uno ha passione per questo genere di cose può mettere le mani sull’arma storica, usata per la sua difesa personale, anche se era il nemico numero uno protetto da un cerchio di sicurezza. Per averla bisogna essere pronti a pagare una cifra discreta: potrebbero servire anche 100 mila dollari, dipende dalle offerte. È legittimo attendersi una gara, una sfida tra acquirenti. Siamo in America, gli appassionati e i collezionisti non mancano, specie per cimeli come questi. 
Nell’elenco dell’asta compare poi una lettera che il criminale ha scritto con una matita al figlio Sonny, risale al 1931 prima di un trasferimento in un carcere, dove il padrino usa termini affettuosi. Il valore del testo, composto di tre pagine, è di circa 50 mila dollari. Ne serviranno meno per un prezioso orologio da tasca Patek Philippe con 90 piccoli diamanti o per una foto di Al. Nulla di speciale, conta il soggetto. 
Poco importa che siano appartenuti ad una figura legata ad episodi sanguinosi, ad un passato violento, ad un’epoca dura, al massacro di San Valentino. Del resto se la Legge non avesse imposto dei limiti anche serial killer statunitensi più recenti avrebbero potuto lucrare sui loro delitti. Il crimine rischiava di pagare due volte. 
Alphonse Gabriel Capone, dopo aver scontato il periodo di detenzione, tornerà in libertà, in condizioni di salute pessime. Morirà nel gennaio del 1947, all’età di 48 anni. La sua leggenda nera durerà a lungo, il suo nome resterà il simbolo del male, sorgente inesauribile di racconti, diventando protagonista ma anche caricatura di un certo mondo riveduto dai registi di Hollywood. 
Nella Storia del crimine sono entrati altri «attori», con una fama sinistra globale, portati davanti ad un giudice a rispondere di delitti gravi, di traffici imponenti. Pensate a Joaquim Guzman, detto El Chapo, leader del cartello di Sinaloa. Se Al è stato rinchiuso sull’isola di Alcatraz, la prigione-fortezza, al capo narcos è toccato SuperMax, in Colorado, penitenziario dal quale non si evade. Analogia. Non l’unica. Per far soldi lo Stato messicano ha pensato di mettere all’incanto una delle case usate dal bandito.