Corriere della Sera, 25 agosto 2021
Racconti sui politici al Meeting di Rimini
Fosse ancora vivo Jader Jacobelli, mitico moderatore delle Tribune politiche degli anni Sessanta e Settanta, avrebbe invidiato quel palco. Nemmeno a lui riuscì mai di mettere a confronto contemporaneamente cinque leader (Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giuseppe Conte, Enrico Letta, Antonio Tajani) e due figure di primo piano della politica (Ettore Rosato e Maurizio Lupi). E invece, eccoli sotto i riflettori del Meeting di Comunione e liberazione.
Un inedito assoluto come inconsueto, e sorprendente, è stato il livello e il tono del dibattito. Niente urla, nessuna interruzione, tanto fair playreciproco e varie strizzatine dialettiche strappa applausi per la platea. Senza per questo venir meno, anzi, alle proprie posizioni.
Ma che sensazione vedere Salvini e Letta applaudirsi reciprocamente, che sorpresa sentire gli esponenti della maggioranza lodare Meloni, e che garbo nel lanciarsi stoccate evitando con cura gli attacchi frontali. Tutto il contrario di ciò che vediamo ogni giorno in tv, nelle piazze come in Parlamento. Poi, certo, ognuno si è giocato la sua partita. Salvini, l’uomo dei rosari, ripudiato una volta tanto l’abbigliamento casual per indossare l’abito grigio e la cravatta delle occasioni solenni, si è giocato il debutto nella tana dei ciellini al meglio.
Prima del dibattito, protetto da un servizio d’ordine da far impallidire la Cgil anni Settanta, si è infilato nello stand di Radio Maria e si è messo al microfono. E poi dal palco ha piazzato lì due-tre argomenti cari alla platea (dalle radici giudaico-cristiane dell’Europa alle battaglie del Movimento per la vita) che gli sono valse battimani a scena aperta (solo accennati, invece, quando ha ricordato che il 15 settembre sarà imputato a Palermo per sequestro di persona per il caso Open Arms).
Ma nell’intensità e nel numero degli applausi, escluso Maurizio Lupi che come ciellino doc giocava in casa, forse è stato battuto dalla sua alleata-concorrente Meloni (e anche questo, un tempo, sarebbe stato impensabile). Sorridente, pacata, in collegamento esterno con bandiera tricolore alle spalle, ha strappato una mezza standing ovation dicendo, in evidente contrasto con l’organizzazione del Movimento Cinque Stelle confermata da Conte, che «i partiti esistono solo se sono pesanti, quando hanno le sezioni e c’è il contatto con le persone». E quando si è verificato un black out audio, ha corretto il moderatore Michele Brambilla (direttore del Qn) che scherzava paventando una manovra «ai danni dell’opposizione» rassicurando con uno sdrammatizzante «ho fatto tutto da sola» che ha divertito il pubblico della Fiera.
Buona la dose di applausi anche per Letta che al Meeting è venuto diverse volte («Mi sento a casa mia»), specie per l’impegno a lavorare per mettere uno stop ai cambi di casacca e per ripristinare le preferenze. E accoglienza più che amichevole pure per Tajani e Rosato.
Ma il test vero era per Conte, visto che da anni i rapporti tra Movimento Cinque Stelle e Meeting sono piuttosto freddini. E per l’ex premier era anche la prima uscita pubblica da leader. Si è trovato praticamente tutti contro, dall’Afghanistan al reddito di cittadinanza (Letta non si è espresso, lasciando campo aperto alle critiche degli esponenti del centrodestra), ma sfoggiando la sua immancabile pochette non si è scomposto, guadagnandosi l’attenzione e il rispettoso dissenso dei ciellini.
Un signore di mezza età all’uscita gli ha chiesto un autografo. Conte ha risposto pronto – «Guardi che le costerà almeno 50 euro» – strappando un sorriso ai presenti che ha addolcito una evidente, e per ora incolmabile, distanza.