Corriere della Sera, 25 agosto 2021
La mappa delle strutture che ospitano i rifugiati
Sembra una sciocchezza, ma ad aggravare il quadro psicologico dei profughi afghani ospiti di due alberghi a Roma Sud c’è anche l’aver perso il caricabatterie dei telefonini. Così non possono avere contatti con i parenti rimasti a Herat e Kabul, oltre a non aver bagaglio al seguito. Niente cambi vestiti per i bambini, niente medicine per i malati. Giancarlo Santone, direttore del centro Samifo (Salute migranti forzati) della Asl Roma 1, ha iniziato ieri a visitare 200 degli oltre mille afghani fuggiti dal loro Paese e arrivati nella Capitale e nel Lazio grazie al ponte aereo organizzato dal ministero della Difesa. «Sono persone molto provate: in Afghanistan hanno lasciato tutto», spiega Santone.
Questo è il numero maggiore di profughi ospitati in quarantena dall’inizio dell’evacuazione il 17 agosto scorso con il primo C-130 dell’Aeronautica. Da allora, e fino a ieri sera, i voli sono stati 25. Dei 2.659 cittadini afghani giunti in Italia 420 sono usciti dall’isolamento fiduciario: su ordine del Viminale in 230 sono stati destinati a strutture della rete Sai (Sistema accoglienza integrazione) in Campania (90), Puglia (80), Calabria (40) e Molise (20), mentre altri 190 sono stati sistemati nei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria. Gli ultimi 60 ci andranno proprio oggi, in Lombardia e in Sardegna, altri già si trovano da giorni in luoghi analoghi in Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio: ci potranno rimanere per un tempo limitato, poi sarà necessario un trasferimento in un posto meno precario.
In quarantena sono invece in circa 1.300, ospiti di strutture per le vacanze dello Stato maggiore della Difesa, gestite dall’Esercito: 170 a Camigliatello Silano (Cosenza), con la Marina, 80 a Colle Isarco (Bolzano), un centinaio a Edolo (Brescia), 75-80 a Roccaraso (L’Aquila), 200 a Sanremo (Imperia), oltre 500 presso alberghi, pensioni, centri di accoglienza con volontari di onlus e ong, ma anche appartamenti di famiglie, parrocchie e associazioni, come Centro Astalli e Sant’Egidio, che forniscono generi di prima necessità. Ci sono poi i 100 sfollati dall’Aeronautica a Montescuro di Celico (Cosenza) e i 140 nella base Usa di Sigonella (Siracusa) che potrebbero almeno in parte rientrare nel circuito dell’accoglienza italiana o essere poi trasferiti negli Stati Uniti.
La maggior parte comunque entro una settimana, al massimo 10 giorni – a seconda se siano vaccinati o meno —, entrerà nella rete Sai e Cas, oppure troverà ospitalità da amici e parenti che già risiedono in Italia. L’ordine è comunque che i nuclei familiari non vengano mai divisi. La Prefettura di Roma ha già disposto ad esempio il trasferimento, per ora, di 48 profughi nel territorio del Comune di Roma e di altri 20 in provincia, ma ci sono amministrazioni locali, come Castelnuovo di Porto, che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere famiglie di afghani fin da subito.
Il quadro è in evoluzione. Le storie di chi sbarca a Fiumicino sono sempre più drammatiche, anche di genitori partiti con i bambini senza moglie o marito persi nella calca a Kabul. Lì, in aeroporto, sono rimasti in 1.082, protetti dai soldati italiani: devono partire entro il 31 agosto. Ma si cerca di portar via anche chi è ancora a Herat: centinaia di persone che lavoravano per gli italiani. Fra loro anche addetti alle pulizie e alle mense, e i loro parenti, per anni visti frequentare le nostre strutture. E quindi con il futuro segnato.