Il Sole 24 Ore, 24 agosto 2021
Raddoppiano in Italia le donne criptotrader
Un giovane, per intenderci appartenente alla Generazione Z, intento a smanettare sul pc le proprie complesse strategie di trading. È l’idea che molti hanno dell’investitore in criptovalute. Una rappresentazione che, però, non corrisponde alla realtà. Almeno non in Italia. Almeno secondo l’analisi condotta da una delle principali piattaforme di scambi centralizzate del Belpaese: The rock trading. La società ha analizzato i propri dati ed è saltato fuori che i nati fra la seconda parte degli anni ’90 e il 2010 (la Generazione Z, per l’appunto) sono più propensi ad utilizzare strumenti semplificati, senza l’inserimento di ordini di mercato per investire in criptovalute. Certo: l’attitudine coinvolge anche i cosiddetti Millenials. Vale a dire: soggetti un po’ più attempati, venuti al mondo tra la metà degli anni ’80 e il 2000. Ciò detto, tuttavia, la suggestione di fondo resta. Anche perché, al contrario, i meno giovani hanno maggiore voglia di sfruttare la piattaforma di trading. Gli ultra settantenni, i Baby Boobers (57-75 anni) e l’X generation (41-56) sono, infatti, abituati ad utilizzare strumenti e strategie più complesse.
«È un dato che sorprende – confessa Andrea Medri, direttore di The Rock trading-. Una spiegazione può essere che, vista l’alta volatilità delle quotazioni delle cryptocurrencies, la tipologia di investitori in oggetto, da una parte, non faccia troppo caso alle più alte commissioni degli strumenti semplificati»; e, dall’altra, si affidi a questo tipo di soluzioni per raggiungere, nel medio periodo, un unico obiettivo: la plusvalenza.
Obiettivo guadagno
Già, la plusvalenza. Proprio la specifica finalità del profitto può costituire, seppure indirettamente, un’altra interpretazione del fenomeno. Di recente un working paper della Bis ha mostrato che chi compra o vende bitcoin non è spinto da atteggiamenti anti-sistema o anarco-capitalistici. Semplicemente cerca il guadagno. Un approccio il quale si adatta (anche) al profilo di investitori giovani, non troppo interessati ad approfondire la materia della cryptoeconomy, che si “adagiano” su strategie semplificate.
Ma non è solo una questione di “pigrizia” o meno. Altro spunto interessante dell’analisi sul criptoinvestitore italiano è quello riguardante il rapporto tra i criptoasset e le donne. «Appena 3 anni fa -riprende Medri – il genere femminile rappresentava circa il 5% del totale. Oggi il dato ha raggiunto 11,1%». È vero: i maschi la fanno ancora da padrone! E, però, «non può che accogliersi positivamente l’incremento dell’interesse per criptosfera da parte delle donne».
Una questione di cultura
Quelle donne poi che, seppure la differenza con gli uomini non sia elevata, hanno un maggiore livello di scolarità. Tra i trader femminili il 43,09% ha conseguito la laurea, a fronte del 40,3% degli uomini. Al di là di ciò, in generale, gli investitori italiani in criptovalute hanno comunque un buon grado di scolarizzazione: il 40,6% è laureato mentre il 46% vanta un diploma di maturità. Scendono, invece, le percentuali man mano che diminuiscono gli anni passati sopra ai libri. L’11,1% dei criptoinvestitori ha completato le scuole medie e, infine, solamente l’1,5% si è fermato alle elementari. Insomma: quello in crypotocurrencies, almeno finora in Italia, pare un settore nel radar soprattutto di chi ha più studiato.
Un’età da criptoasset
Dalle (presunte) competenze tecnico-culturali all’età. Qui, sempre analizzando i numeri degli utenti di The Rock Trading -«un campione certamente rappresentativo- sottolinea Medri- della situazione in Italia»-, si rileva, in primis, come il 50% degli investitori sia compreso nella fascia dai 32 ai 48 anni. E, poi, che: da un lato l’età media risulta essere pari a circa 43 anni; mentre, dall’altro, quella modale -vale a dire quella maggiormente attiva nell’operatività- si aggiri intorno alla quarantina. Questo, quindi, pare l’attuale identikit dell’investitore in Italia in criptovalute.