Il Sole 24 Ore, 24 agosto 2021
A Berlino referendum per espropriare i big del mattone
Il 26 settembre sarà un big bang nelle urne di Berlino. Quel giorno i berlinesi saranno chiamati a votare per le elezioni generali, per le elezioni della città-Stato e per un rivoluzionario referendum che mira a espropriare gli appartamenti residenziali posseduti dalle grandi società immobiliari: una nazionalizzazione a favore del social housing per calmierare il caro-affitti e per affrontare la carenza abitativa che colpisce le classi meno agiate. I tre voti sono interconnessi e sono sorvegliati speciali da tutta la Germania perché possono avere una rilevanza nazionale: Berlino è attualmente governata da una coalizione rosso-rosso-verde (Spd, Die Linke, Die Grünen) e, sebbene questa combinazione sia tra tutte quelle ipotizzate a livello federale la meno probabile, vale per dimostrare sul campo che un governo a tre partiti si può fare, e che quindi per la prima volta potrebbe essere sperimentato su scala nazionale. Se i berlinesi dovessero aumentare i voti a sinistra e ai Verdi e se contemporaneamente il “sì” dovesse vincere al referendum, allora la confisca degli appartamenti – finora un’opzione poco credibile – potrebbe realizzarsi: se i colossi del real estate, quelli con un portafoglio oltre i 3.000 appartamenti, dovessero subire una confisca a prezzi sotto il livello di mercato, questo sarebbe un terremoto con epicentro a Berlino. Le scosse della nazionalizzazione farebbero tremare la Germania perché il mercato immobiliare su scala nazionale in qualche misura soffre lo stesso problema che attanaglia i berlinesi: prezzi delle abitazioni in vendita e in affitto in continuo aumento, con picchi che rendono appartamenti e case irraggiungibili dai più con qualche punta da bolla speculativa, e offerta strutturalmente bassa rispetto alla domanda.
«La confisca degli immobili residenziali a Berlino sarebbe un duro colpo per il mercato e per l’economia: chi vuole costruire in un mercato dove si rischia la nazionalizzazione? La confisca farebbe scappare gli operatori privati. E non migliorerebbe la situazione perché quando lo Stato diventa proprietario, gli immobili iniziano a deteriorarsi», ha commentato Konstantin Kholodilin, economista esperto di immobiliare del think tank DIW interpellato dal Sole 24Ore. Inoltre la spesa per acquistare gli immobili post-referendum sarebbe indigesta per le finanze di Berlino: nel mirino del referendum sono entrati 243.000 appartamenti a un costo totale stimato tra i 28,8 e i 36 miliardi che appesantirebbe il bilancio della capitale da 100 a 340 milioni l’anno.
C’è però un’altra chiave di lettura di questo big bang berlinese, meno allarmistica. Il referendum che porta il nome dell’espropriazione dei beni del colosso tedesco Deutsche Wohnen (Deutsche Wohnen und Co. Enteignen) non ha numeri altissimi e non riflette fedelmente l’umore della città. Per procedere alla consultazione, servivano 171.000 firme (7% dei 2,5 milioni con diritto al voto e cittadinanza tedesca), ne sono state conteggiate 183.711 a favore e valide, contro le 359.063 firme raccolte delle quali il 32,7% non valido. Anche a livello politico, portare avanti una confisca di beni immobiliari è una mossa rischiosa: l’Spd di Berlino non si è sbilanciato più di tanto. I problemi del mercato immobiliare sono una patata bollente per tutti i partiti impegnati nelle elezioni generali a livello federale e la gamma delle soluzioni per il caro-affitti e l’impennata dei prezzi delle case in vendita è molto variegata. Tutti puntano sul social housing che in Germania è diventato un diritto acquisito. L’Unione Cdu/Csu ha un approccio più vicino al mercato, con incentivi per la costruzione di nuovi appartamenti da parte dei privati, agevolazioni fiscali per la prima casa, riconversione di siti industriali; l’Spd punta sul freno al caro-affitti e ad allentare le regole per la riconversione di immobili in uso abitativo nei centri urbani; i Verdi hanno le politiche immobiliari più aggressive, con limiti all’aumento dei prezzi, incentivi e sovvenzioni per il cambiamento climatico, tagli pesanti dei costi fissi di acquisto.
Berlino tuttavia ha una storia che la rende un caso politico e immobiliare unico. Jochen Möbert, senior economist at Deutsche Bank Research intervistato dal Sole24 Ore, ricorda che i prezzi delle case a Berlino sono più che raddoppiati dal 2009. Ma la capitale risulta al 66° posto nella classifica delle città più costose al mondo risalente al gennaio 2021. «Molte famiglie berlinesi sono a basso reddito e dopo la Seconda guerra mondiale, il socialismo nell’Est e i sussidi nell’Ovest della città spaccata hanno soffocato gli imprenditori. Nell’ultimo decennio Berlino si è risvegliata e ora attraversa un boom. Questo suo sviluppo da redditi bassi a redditi alti è un super-ciclo economico caratterizzato da un mercato del lavoro dinamico, il contesto innovativo di R&S, molte giovani imprese di successo. Berlino sta diventando una metropoli globale e i prezzi degli immobili in vendita e in affitto saliranno in maniera considerevole». Per questo, Möbert non è preoccupato dal referendum, che non è vincolante: se anche il governo dovesse procedere con la confisca, questo non sarebbe mai forte abbastanza da far deragliare il boom economico dal quale dipende il boom dell’housing a Berlino. «Nell’ultimo decennio, a Berlino sono state costruite 117.000 abitazioni per dare casa a 210.000 abitanti. Ma intanto il numero delle persone in cerca di abitazione è cresciuto a quota 343.000. Questo vuol dire che mancano 74.000 immobili residenziali: basterebbe una politica orientata all’offerta per eliminare questa carenza entro il 2030». Il referendum invece mira a trasferire 240.000 immobili dai privati all’istituzione di diritto pubblico AöR non orientata al profitto per perseguire la politica degli affitti popolari.
Altri fattori vanno presi in considerazione. La pandemia e il calo dei flussi degli immigrati hanno ridotto la domanda in eccesso, mentre i recenti colli di bottiglia sulle catene di approvvigionamento delle materie per costruzioni hanno rallentato l’offerta. «Nelle grandi città l’immigrazione è rallentata e questo ha frenato la domanda di abitazioni», ha detto Konstantin Kholodilin. Non esiste tra l’altro una bolla speculativa immobiliare a livello nazionale: in alcune zone i prezzi delle case in vendita sono saliti molto di più rispetto al caro-affitti. Ma i tedeschi non sono visceralmente né speculatori né possessori di immobili: i risparmi sono schizzati alle stelle ma non per questo è scattata la corsa al mattone in Germania. I tassi dei mutui per le case sono ai minimi storici ma gli acquisti delle abitazioni, anche prima casa, non sono saliti come alcuni prevedevano perché i prezzi sono alti, troppo. L’85% dei tedeschi è in affitto. Solo il 47% della popolazione possiede la prima casa, su scala nazionale: a Berlino meno del 15%.