ItaliaOggi, 24 agosto 2021
In Germania donne escluse dal comando delle navi
Il mare è degli uomini o, meglio, i timoni. Negli Anni Settanta comparvero le prime donne pilota alla cloche degli aerei di linea. A quel tempo c’era ancora la cloche, oggi è uno stick. Ma i passeggeri sobbalzavano quando sentivano una voce femminile che annunciava: è il comandante che vi parla. Oggi, spero, nessuno ci fa più caso. Le donne devono ancora conquistare il comando su un transatlantico, una petroliera, o un semplice traghetto. Sul Reno i ponti sono rari, da una sponda all’altra si è spesso costretti a usare un traghetto, e quando abitavo nella vecchia piccola capitale sul fiume, non vidi mai una signora al timone.
Domenica scorsa nel porto di Amburgo e lungo l’Elba si è svolta la prima Seefrauenparade, una parata delle donne di mare, per tradurre fedelmente. «Il 99% dei capitani sono uomini», denunciano le organizzatrici. Le donne lavorano al porto, nei cantieri, e sono imbarcate sulle navi da crociera, ma come cameriere, organizzatrici di spettacoli, o medico di bordo, sono responsabili dell’accoglienza come padrone di casa, ma la sala di comando è sempre vietata.
Da secoli, le donne sono accettate a bordo come passeggere. Sono gradite come simboli, nelle polene, come dee, o come sirene, o sante. Si dovrebbe ricordare l’antico detto che le donne in navigazione portano sfortuna? Non ho trovato alcuna ricerca, saggio storico o etnologico che spieghi questo convincimento. Nel novembre del ’78, l’Amoco Cadiz, allora la più grande petroliera al mondo, lunga 313 metri, quanto tre campi di calcio, che batteva bandiera libanese. finì contro gli scogli in Bretagna. Erano tutti colpevoli, l’armatore che si trovava negli Usa, che non autorizzò il traino perché secondo le leggi di navigazione avrebbe dovuto pagare per il salvataggio metà del valore del carico. Colpevole la società del rimorchiatore di Amburgo, che non aiutò l’Amoco finchè non fu garantito il compenso. Il meno colpevole era il capitano italiano che attese gli ordini, ma se avesse deciso di testa sua, come fece in ritardo, non avrebbe più avuto un ingaggio. Colpevole perché si era portata a bordo la moglie. Andai a Brest per il servizio e sentii l’accusa che gli veniva rivolta dalla gente del posto, pescatori e allevatori di ostriche e di cozze, rovinati dalla marea nera. Le donne a bordo portano sfortuna.
Ad Amburgo alla parata hanno partecipato 13 equipaggi, tutti femminili, ha riferito Sybille, una delle organizzatrici. Poche? «Oggi le donne sono escluse dalla marineria, denuncia, il mare è dominato dagli uomini, le donne per secoli venivano ammesse a bordo come merce, come schiave da vendere, o come condannate che venivano deportate in Australia o Nuova Zelanda. Ad Amburgo ci sono appena due donne che hanno ottenuto la patente di capitano».
«In Germania la situazione è ancora peggio che altrove», ha aggiunto Esther, la compagna di lotta, «ad esempio, in Nigeria esiste la Females Seefares Association, cui sono iscritte oltre duecento donne, qualificate come ufficiali di navigazione, o come tecniche di bordo, ma che di rado trovano un posto». Le colleghe nigeriane sono state invitate a Amburgo, ma nessuna è riuscita a venire: hanno registrato il loro saluto per le compagne anseatiche.
«Si rende impossibile anche il lavoro a terra, nel porto», ha dichiarato Sybille, «Heike Röhrs ha cercato di lavorare a orario ridotto quando ha avuto un bambino, ma il datore di lavoro si è opposto. Heike avrebbe dovuto accettare turni di sette giorni alla settimana, anche di notte, impossibile per una giovane madre. Ha denunciato la sua azienda, ma ha ottenuto ragione dopo otto anni. É l’unica che ci è riuscita». «In quanto ai diritti siamo ferme al 1910», ha detto Esther, «e anche gli uomini sono vittime. Alla parata ha preso parte una nostra amica, che da bambina negli Anni Settanta venne tolta al padre e data in affidamento. Anche lui era costretto a turni massacranti e non poteva badare alla figlia, non aveva alcuna assistenza da parte delle organizzazioni sociali. Fu giudicato un cattivo padre». I lavoratori portuali non avrebbero dovuto avere una moglie, e una famiglia.