La Stampa, 24 agosto 2021
L’estate della grande siccità
Sono due mesi che non piove. Il mais non è cresciuto. Sei ettari su dieci, di questo campo di pianura, sono completamente bruciati. «Ormai è tardi», dice Giovanni Bedino rovistando con le braccia scure fra le foglie secche del granturco. Ha 59 anni, lavora la terra da quando ne aveva quindici. «Dal giorno in cui è mancato mio padre, non ho fatto altro. Amo questo lavoro, ma un’annata così ti toglie l’amore e ti lascia triste. Il granturco è morto, nato piccolo è rimasto piccolo, fermo, senza acque e neppure un po’ di umidità. Non abbiamo potuto irrigare il campo e dal cielo non è venuto giù niente. Ricordo l’estate del 2003 come un’estate molto difficile, ma non era come questa. Non ho mai visto tanta siccità».
Il Piemonte è arido. La terra si sta crepando. Soffrono le colture e le bestie, soffrono le donne e gli uomini che hanno cercato inutilmente «di accudire l’acqua». Dice proprio così Giovanni Bedino: «Noi l’accudiamo. Accudiamo l’acqua perché sappiamo bene quanto sia preziosa. Abbiamo turni prestabiliti e orari precisi per bagnare, cerchiamo di non sprecarne neppure una goccia. Ma questo nostro canale di irrigazione, il naviglio di Bra che parte da Castelletto di Stura, dovrebbe avere una portata fra i 70 e i 90 centimetri a agosto. Ieri ce n’erano 10, oggi 9. L’acqua sta finendo. Non basta per tutti». Torrente Varaita: -56%. Stura di Demonte: -45%. Il Tanaro misurato alla stazione di Farigliano: -34%. La signora Lori Bastonero, con la figlia Evelin, prende il sole al centro dell’alveo del torrente Gesso, sdraiata su sassi bollenti: «Fa un caldo feroce».
In Val Maira, a 1900 metri di altitudine, i prati sono gialli. Significa che i pascoli sono già tutti bruciati. I malgari stanno scendendo dagli alpeggi prima del tempo, perché non c’è più cibo per le greggi e per gli allevamenti di mucche. Così anche in Val Varaita e in Valle Stura. Questa è l’estate che allinea le notizie sul riscaldamento globale alla realtà davanti alla porta di casa. Succede in tutto il Piemonte, senza distinzione. Ma la zona più sofferente è la provincia di Cuneo. «È un’estate molto preoccupante» dice Livio Quaranta, il presidente del consorzio che gestisce l’acqua in 108 comuni. «Ecco cosa vediamo. Ormai mancano nevai permanenti su tutto questo tratto dell’arco alpino. È cambiato l’innevamento. Non tanto nella quantità di neve, quanto nella durata. È neve che resta poco sul terreno, non filtra, dilava. La temperatura è mediamente più alta. Non c’è riserva d’acqua d’inverno e non c’è pioggia d’estate. Magari una bomba di grandine localizzata, poi settimane di niente, come queste settimane di luglio e di agosto. Il risultato è che due fonti sono asciutte. Ne risentono l’agricoltura e il turismo. Per questo motivo è stata necessaria l’ordinanza che vieta gli sprechi. Io la chiamerei l’ordinanza del buon senso». A Mondovì e Borgo San Dalmazzo, a Cuneo e Boves, sono dieci comuni per adesso: vietato riempire le piscine private, vietato lavare le automobili, vietato usare l’acqua potabile per i giardini e per gli orti. È un tentativo di risparmiare ogni goccia. Per salvare il granturco e le ultime prugne, le pere e le prime mele della stagione nuova.
La signora Elisabetta Cagliero gestisce con il marito un villaggio sportivo a Gaiola, sulle sponde del fiume Stura. Una delle principali attrazioni è il rafting: «Potevamo mettere otto persone a bordo dei gommoni, adesso al massimo cinque. Il livello del fiume è troppo basso, serve meno peso a bordo. A parte una pioggerellina di inizio agosto, siamo all’asciutto. I prati sono gialli, fa male al cuore vederli così. Quando svuotano gli invasi della zona per servire la centrale elettrica, che ha bisogno di cubature costanti, il livello del fiume si riduce ulteriormente e i gommoni tornano indietro completamente infangati». Uno dei primi a lanciare l’allarme, quando ancora la situazione non era così grave, è stato Giorgio Bergesio, presidente dei Consorzi irrigui cuneesi: «I cambiamenti climatici stanno colpendo in modo drammatico la nostra agricoltura. Fiumi e torrenti ormai sono in secca, di conseguenza anche i canali di irrigazione. Serve una politica di programmazione per realizzare degli invasi, l’unico modo che abbiamo per salvare l’acqua. Devono essere sburocratizzare le pratiche per gestire i momenti di emergenza. Occorre utilizzare le risorse del Pnrr per opere di contenimento, fondamentali per il futuro dell’agricoltura. I nostri pozzi quest’anno hanno visto le falde abbassarsi ulteriormente. Se continuerà così, nell’arco di cinque anni, saremo investiti da una siccità che renderà impossibile produrre molte coltivazioni». La Coldiretti ha appena presentato il conto di questa estate italiana. L’estate degli incendi e delle tempeste di pioggia. Della temperatura più calda mai registrata in Europa: 48,8 gradi a Floridia, in provincia di Siracusa, Sicilia. Gli eventi meteorologici definiti «estremi» sono stati 1.200 (+56% rispetto al 2020). Bombe d’acqua e rovesci che provocano disastri e non nutrono la terra. I danni ammontano a un miliardo. Meno 10% nel raccolto del grano, meno 30% per le ciliegie, meno 40% per le pesche nettarine. Anche le coltivazioni di pomodori e mais hanno subito perdite pesanti. Il Piemonte sta attraversando l’agosto più difficile per la sua agricoltura.
«Dalle montagne, alle colline delle Langhe e del Monferrato, fino alla pianura, riceviamo continue segnalazioni», dice Roberto Moncalvo della Coldiretti di Cuneo. «È un anno particolarmente complicato. Il mais e la frutta, proprio adesso, erano al punto di maturazione e c’è una forte perdita delle rese. Tutto quello che sta accadendo è la prova del cambiamento climatico in atto. Fortissime piogge, brevi e circoscritte. E poi lunghi periodi di siccità. Servono invasi sicuri e sostenibili, nuove politiche energetiche, dobbiamo pensare adesso ai cambiamenti necessari per salvaguardare la nostra agricoltura del futuro».
Tre anni fa era stato il Veneto. Adesso è il Piemonte. Quale sarà la prossima regione italiana martoriata? Ancora nessuno lo sa. Sono scatti avanti e ritorni, picchi e cadute. Ma sono tutti pezzi della medesima storia. «Come facciamo per accudire meglio l’acqua?», si domanda l’agricoltore Giovanni Bedino. Intorno a lui, nella zona fra Cervere e Cherasco, la terra è arsa. Non è sufficiente il sistema di irrigazione a scorrimento, non può bastare quello a ciclo continuo con turni assegnati. Manca l’acqua. «L’unico modo è immagazzinarla di inverno per averla d’estate», dice. «Questo mais dovrebbe essere verde e rigoglioso, invece sta morendo».