La Stampa, 24 agosto 2021
Maternità e lavoro, i numeri dell’Italia
L’Italia non è un Paese per madri che lavorano. Ancora nel 2021 una donna con una vita professionale e ambizioni come la sindaca di Torino Chiara Appendino, arrivata alla soglia del settimo mese di gravidanza, uno spartiacque nella capacità di essere ancora al massimo dell’efficienza, ha affidato al suo profilo Facebook un lungo sfogo sulle difficoltà di coniugare maternità e lavoro, soprattutto se non si ha uno stipendio elevato né l’aiuto de i genitori. Uno sfogo che ha raccolto una lunga serie di commenti da parte di donne che si riconoscono nell’amarezza delle sue parole. Sarebbe bello poter liquidare questo sfogo come un calcolo elettorale o un problema generazionale. Chiara Appendino non si è candidata alle elezioni comunali e la maternità resta un problema comune alle donne. I dati lo confermano. L’Italia è quell’incredibile Paese dove cinque anni dopo aver preso la laurea magistrale, gli uomini vedono il loro reddito aumentare quando diventano padri (in media di 57 euro), mentre le donne lo vedono diminuire quando diventano madri (in media di 45 euro).È l’inizio della fine, una spirale da cui le più tenaci e fortunate riescono a riprendersi quando i figli crescono, le altre si rassegnano a lavori precari, di nicchia, o al loro ruolo di madri senza alternative.Nel 2019 sono state 51.558 le persone che hanno dato le dimissioni o che sono arrivate a una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72, 9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi abbandonavano per la difficoltà di conciliare lavoro e figli, secondo i dati dell’Ispettorato del Lavoro ricordati anche ne il rapporto “Le Equilibriste” presentato da Save The Children lo scorso maggio. Equilibriste è la parola scelta per definire le madri italiane che vivono in una perenne corsa a ostacoli. E non è un caso che siano sempre meno quelle decidono di trasformare la propria vita in uno slalom senza uscita. Le italiane sono le madri più attempate del continente: il nostro Paese detiene il primato delle più anziane d’Europa alla nascita del primo figlio (31,3 anni contro una media di mamme in EU di 29, 4).La pandemia ha ulteriormente peggiorato una situazione già compromessa. Il tasso di natalità ha registrato un calo del 3, 8% rispetto all’anno precedente per un totale di 16 mila nascite in meno. E sono in totale 456 mila i posti di lavoro evaporati (-2% rispetto al 2019), ma anche in questo caso, le più colpite sono le donne che rappresentano 249 mila unità (-2,5%) rispetto ai 207 mila uomini (-1,5%). E tra le madri che lavorano, il saldo delle occupate fa segnare un calo di 96 mila donne tra il 2019 e il 2020, di cui in particolare 77 mila in meno tra coloro che hanno un bambino in età prescolare. «Siamo un Paese che fa ancora fatica a superare il modello patriarcale», avverte Valeria Valente, senatrice del Pd, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. «Bisogna approfittare della crisi creata dalla pandemia – dice – per costruire una società in cui il lavoro non sia organizzato su misura per i maschi. Bisogna arrivare a un lavoro valutato sui risultati e non sul numero delle ore lavorate e dove la flessibilità sia determinante ma senza diventare precarietà». «Il Next Generaton Eu deve diventare l’occasione per investire in infrastrutture sociali – sostiene anche Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna – Crediamo che le donne che riescono a conciliare maternità e lavoro siano più realizzate e consapevoli ed è interesse dell’intera società che questo avvenga».