la Repubblica, 24 agosto 2021
Storia delle onde
Che cos’è un’onda marina? La risposta più ovvia è: una massa d’acqua in movimento. Se si osservano le onde stando su una barca, ci si accorge tuttavia che, passata l’onda, la barca torna al punto di partenza. La risposta giusta, scrive Gavin Pretor-Pinney in Wave Watching è: energia. L’acqua è solo il mezzo attraverso cui l’energia si sposta da un punto all’altro, ovvero è il “medium” mediante cui viaggia l’energia dell’onda: la superficie dell’acqua viene posseduta dall’energia così come si suppone che un individuo venga posseduto dagli spiriti dell’aldilà.
Willard Bascom, un ingegnere, che ha dedicato tutta la sua vita all’osservazione delle onde che si frangono sulle spiagge, in un libretto, Onde e spiagge. Dinamica della superficie marina, pubblicato nel 1964, scrive che «le onde sono forme dal profilo oscillante che si muovono lungo la superficie del mare». Bascom ha studiato le onde che si creano sulla superficie di separazione tra oceano e atmosfera, tra aria e acqua. Immaginiamoci una superficie marina tranquilla. Comincia a soffiare il vento: le variazioni di pressione dell’aria sulla superficie e l’attrito dell’aria in movimento lungo il pelo dell’acqua producono delle increspature, quindi delle onde; nell’oceano, poi, per via della mancanza di rive verso cui le onde s’infrangono, non vi sono limiti allo sviluppo delle onde, che si trasformano in breve tempo in cavalloni.
Le onde del mare non hanno proprietà regolari; la lunghezza di ciascuna cresta – il punto più alto dell’onda, mentre il quello più basso è detto cavo – e la profondità dei cavi sono irregolari. Ogni onda si muove indipendentemente dalle altre, per cui i confini di ciascuna sono indefinibili. Da questo si comprende come l’impresa del signor Palomar, inviato dal suo alter ego Italo Calvino a cercare di descrivere un’onda su una spiaggia del Mar Tirreno, è destinata al fallimento. L’intento di Palomar è quello di afferrare tutti i movimenti di un’onda e poi di estendere la sua conoscenza da questo oggetto semplice all’intera complessità del mondo. Praticamente impossibile. L’idea di scrivere il racconto Lettura di un’onda, che apre Palomar (1981), è venuta a Calvino proprio dalla lettura del libretto di Bascom, dove si raccontano i vari tentativi di formulare una “teoria delle onde” a partire dal ceco Franz Gerstner, che nel 1802 descrisse il moto circolare delle particelle d’acqua che formano le onde, per arrivare a Vaughan Cornish, un britannico che passò mezzo secolo viaggiando in nave per raccogliere dati sulle onde e nel 1911 pubblicò Onde del mare e altre onde d’acqua.
Le cause delle onde in natura sono tre: il vento, i terremoti e l’attrazione di gravità esercitata dalla Luna e dal Sole. La parola tsunami ci è diventata consueta dopo il 26 dicembre del 2004, quando un maremoto colpì il sud-est dell’Asia causando oltre 230mila morti e tantissimi feriti e senza tetto.
Le maree sono invece un tipo di onda molto lunga e sono determinate dalla rotazione della Terra e dall’azione combinata dei campi gravitazionali di Luna e di Sole. Ma per tutti noi le onde sono solo quelle che osserva il nervoso signor Palomar su una spiaggia estiva. Vedere un’onda è difficile perché le onde non viaggiano mai da sole, ma in compagnia, per cui il termine “onda” è usato per riferirsi sia a una sola cresta sia a una successione di cresta e di cavo.
Nonostante la lettura del volumetto di Bascom, il signor Palomar non riesce a misurare un’onda. Avrebbe dovuto prendere nota della “frequenza”, ovvero del numero di creste che ogni secondo passano per un punto fisso, ad esempio un palo piantato nel mare che esce dall’acqua. Si sarebbe accorto che esistono onde sinusoidali, quelle basse, e trocoidali, quelle ripide, e che bisogna calcolare il “periodo”, il punto di passaggio da una cresta a quella successiva, usando quel punto fisso. Forse Palomar avrebbe potuto provare a studiare le onde nei mari calmi dell’equatore, quelli descritti da Coleridge nei versi della Ballata del vecchio marinaio : «Senza un soffio di vento, un movimento; / fermi come nave dipinta / in un oceano dipinto».
Solo imbarcandosi su una nave il signor Palomar avrebbe potuto esperire che due onde marine di lunghezze leggermente diverse, che si muovono nella medesima direzione, possono sovrapporsi e, se creste e cavi coincidono, si sommano creando onde più grandi; se invece sono sfasate si annullano e rendono la superficie più calma. Si possono avere tre situazioni: tratti di onde agitate separate da tratti di acque più calme; onde che procedono come vagoni del medesimo treno; creste che attraversano i gruppi di onde come fantasmi. Insomma un bel caos, non meno di quello che si produce in cielo per via del vento, ma almeno lì le goccioline in sospensione, che creano le nuvole, hanno forme immaginifiche, le onde no: affascinano ma sono difficili da discernere le une dalle altre. Tutto muta nell’acqua. Pretor-Pinney sostiene che le onde «sono gli stati d’animo del mare». Per questo il confronto tra gli esseri umani e il mare è stato sempre difficile, affidato al capriccio degli dei. Bascom racconta di quanto accadde a una nave in uno dei grandi maremoti mai registrati, quello del 1868 nei pressi delle coste del Cile. La nave Wateree fu sollevata da un’onda eccezionale sopra la città di Iquique, sfiorò i tetti delle case più alte, poi fu deposta in una zona sabbiosa e incolta a un miglio dal mare. Grazie alla chiglia piatta rimase in equilibrio. Non potendola riportare in mare, i marinai continuarono imperterriti la loro vita a bordo, sostituendo le scialuppe per andare a terra con gli asini, fino a che la nave non fu venduta come rottame.
Colpito da questa storia, Calvino scrisse una delle storie del signor Palomar, in cui il suo personaggio ragiona sulla capacità d’adattamento degli uomini ai maremoti e altre catastrofi. Un buon modo per far stare il suo alter ego con i piedi piantati sulla terra, ben lontano dal mare e dalle onde pericolose degli oceani. Studio sicuro, anche se fallimentare. Attenti alle onde.