la Repubblica, 24 agosto 2021
L’Inghilterra cerca camionisti europei
Cercasi urgentemente 10 mila camionisti europei per consegnare merci da qui a Natale nel Regno Unito. Non è un vero annuncio di lavoro comparso sui giornali inglesi, ma la richiesta presentata al governo di Boris Johnson da Logistics UK, l’associazione che rappresenta le aziende dei trasporti. Tra la Brexit e il Covid in questo paese si è creato un deficit di 90 mila autisti di veicoli pesanti, afferma una lettera della lobby del settore, chiedendo a Downing Street di concedere un visto speciale temporaneo di sei mesi a camionisti dell’Unione europea per permettere alle compagnie locali di offrire loro contratti a tempo.
Per il momento il governo ha rifiutato, incoraggiando le società di trasporti e di ogni altro campo a cercare di “assumere e addestrare” lavoratori tra i cittadini britannici. Ma il training per imparare a guidare un camion richiede mesi, risponde l’associazione di categoria, e i corsi per la speciale patente necessaria sono stati fermati a causa della pandemia: per questo è partita la proposta di assumerne almeno 10 mila dal continente, facendo un’eccezione alle norme introdotte dalla Brexit, che proibiscono di fatto la libera immigrazione dalla Ue, a meno di non appartenere a professioni qualificate che forniscano un salario minimo da 27 mila sterline (circa 30 mila euro) l’anno in su, pari al reddito medio nazionale.
La carenza di autotrasportatori è uno dei motivi che hanno recentemente fatto scomparire alcuni prodotti alimentari e d’altro tipo da supermercati e negozi di Londra e altre città, costringendo anche qualche catena di ristoranti a chiudere momentaneamente perché a corto di personale o, come nel caso dei fast food Nando’s, di pollo fritto per i suoi clienti perché i rifornimenti ritardano. Si tratta di un problema di ampie proporzioni: un rapporto dei giorni scorsi dell’Office for National Statistics ha rivelato quasi un milione di posti di lavoro vacanti in tutta la Gran Bretagna, un livello senza precedenti, imputabili almeno in parte all’uscita dall’Europa unita. I posti liberi erano 850 mila un anno e mezzo fa, prima che scoppiasse la pandemia – ma gli effetti della Brexit si sentono ormai dal risultato del referendum del 2016, diventato realtà nel gennaio 2020 al termine dei negoziati con Bruxelles su condizioni del “divorzio” e futuri rapporti, dopo la fase di transizione. Eppure, il governo risponde ostinatamente di no perfino ai visti temporanei, suggerendo come alternativa di arruolare i detenuti delle carceri se non si trovano lavoratori disponibili.
La Brexit doveva servire a dare maggiore occupazione e dignità ai lavoratori britannici. Sta invece rivelando che l’economia nazionale non riesce a soddisfare la domanda, in particolare nella ristorazione, nell’edilizia, nell’agricoltura, ma pure nella sanità e nei trasporti, come indica la richiesta di “importare” 10 mila camionisti da oltre Manica. L’economia del Regno Unito corre lo stesso, con una crescita fra le più solide in Europa dopo lo spaventoso calo del Pil causato dai lockdown. Ma potrebbe andare ancora meglio se Bor is Johnson non avesse deciso di chiudere la porta ai lavoratori europei, sulla base di motivazioni populistiche che poco o niente hanno a che fare con la realtà.