la Repubblica, 24 agosto 2021
In Giappone un museo per i suoni delle pulsazioni
Nella ricchissima onomatopea del giapponese doki doki racconta del cuore l’emozione, baku baku ne spiega invece l’ansia; toku toku si usa quando il cuore fa un piccolissimo rumore, come quello di un bambino che pulsa sottovoce. Il suono si fa accelerato in un neonato, in un cagnetto; qualcuno perde un battito, qualcun altro nel cuore ha un soffio.
Sull’isola di Teshima, nell’arcipelago della prefettura di Kagawa a sud-ovest del Giappone, nasce e cresce un museo che raccoglie i battiti del cuore di decine di migliaia persone: Les Archives du Coeur, gli Archivi del Cuore. Sono ormai più di 74,000 e provengono da ogni parte della terra: Australia, Italia, Grecia, Honk Kong, Polonia, Giappone, Francia. Lo ha creato Christian Boltanski, artista francese morto a luglio, il cui lavoro si è concentrato per 60 anni sul binomio presenza/assenza, sul concetto di memoria, su luce e buio.
L’isola di Teshima non è stata scelta a caso. È un luogo che ha sofferto tanto: dal 1975, per 16 anni, è stata vittima dello smaltimento illegale di rifiuti industriali che ha danneggiato le risorse del territorio, rovinato la salute dei suoi abitanti e devastato i terrazzamenti per la coltivazione del riso. Dopo un braccio di ferro durato decenni con le istituzioni, nel 2010 Teshima ha vinto la sua battaglia in tribunale, e piantato decine di ulivi per commemorare l’accordo. È stata tuttavia l’Arte a salvarla: venne inserita in quel programma di rivalutazione artistica dell’arcipelago che fu inaugurata nel 1992 con la creazione del Museo Benesse House – Naoshima Contemporary Art Museum a Naoshima, e che ne ha fatto il luogo per eccellenza dell’arte contemporanea, sede di una triennale (Setouchi) che raccoglie consensi e presenze da tutto il mondo.
Per raggiungere Teshima prendo un aereo, poi una nave, salgo su un autobus, l’ultimo pezzo lo percorro a piedi: assomiglia a un “pellegrinaggio”, esattamente come lo intendeva Boltanski. Perché, per fare esperienza profonda del mondo, serve tutto lo spazio e il tempo di un viaggio. Vale l’idea di doversi perdere per trovarsi, esattamente come spiegava il custode di un altro luogo magico del Giappone, quel Telefono del Vento a Iwate dove le persone alzano la cornetta di un apparecchio scollegato per parlare con i defunti.
Ci si avvicina agli Archivi del Cuore percorrendo strade sterrate, il tunnel verde di un bosco che ha l’oceano a sinistra, a strapiombo. Il suono, dapprima lievissimo come un frullare d’ali di uccellino, mi raggiunge dopo aver superato un santuario che si arrampica sulla collina, e pare in rovina tanto è muto. Già da fuori si sente lieve il rimbombo dei cuori, onde che superano le pareti dell’edificio che ospita l’istallazione fatta di specchi neri (che si narra mostrino l’anima e non il volto), una lampadina che – in una sala immersa nel buio – pende dall’alto e si accende e spegne in sincrono con i battiti. Si espandono fino al grumo di case che si sviluppa in cerchio attorno a distese di verdissime risaie. Lo scoprirò tra poco, ma nei giorni in cui il vento non strazia la costa, il battito cardiaco si fa più definito e la collina, tutta, pare che pulsi.
Nella seconda sala del museo è possibile accedere agli archivi, poggiare le cuffie sulle orecchie, selezionare un nome sullo schermo, un numero, un luogo, una data. «Potete cercare qualcuno che ha il vostro stesso cognome. O ascoltare il battito del cuore di chi abita in una città che avete visitato» suggerisce la giovane donna della reception.
Dei tanti cuori che ascolto quello che mi commuove alle lacrime è di Arima Hanane, cui si mischia forte il suo pianto dopo pochi secondi dall’inizio. È il numero 42797, registrato il 2021/08/15 in questo stesso luogo dove io adesso siedo, con il mare di fronte. «Ho zero anni, e sono venuta con mamma e papà» recita il messaggio di accompagnamento. Il mio numero sarà il 42818 ma io ancora non lo posso sapere. Perché resto ad ascoltare il battito di Neil Charm Calub che scrive che è venuto «Con Celine Joly, per cui batte questo cuore» (2021/08/10, n. 42749) o Wakaba Tanaka che registra il suono dei suoi 24 anni. Mi riprometto di cercare su Facebook Anna Bernini che ha lasciato il proprio battito all’Hangar Bicocca a Milano nel 2010/09/26. Chissà in questi 11 anni cosa le è accaduto, se era giovane o anziana, se è ancora in vita, che fa. Chi è.
Un cuore afghano, un cuore talebano, un cuore giapponese, un cuore italiano. Ci affatichiamo a farci diversi tutta la vita, ma restiamo identici al piano originario. Tutto si appiattisce nel dato sonoro. Esco che sono trascorse due ore. Ho lasciato – letteralmente – il cuore indietro. Sia perché l’ho registrato, sia perché il kanji di ai, l’ “amore”, lo racconta. L’ideogramma di amore in giapponese narra graficamente la forma di un cuore che resta indietro e che fa esitare il passo di chi cammina. Una persona che si allontana ma il cui cuore viene, in qualche modo, trattenuto alle spalle. Chissà che rumore faceva.