il Giornale, 22 agosto 2021
Ritratto al veleno di Gad Lerner
Narra una leggenda metropolitana che negli anni duri e puri della giovinezza Gad Lerner ebreo di sinistra con un rapporto tormentato, diciamo così, con le proprie origini – in una delle tante manifestazioni dell’epoca sotto il consolato di Israele a Milano, si ritrovò a urlare per ore, assieme ai suoi compagni filopalestinesi, «Israele, Israele sarai distrutto!». Dalle finestre del consolato assistevano alla scena il console Daniel Gal e la sua segretaria: l’imbarazzatissima mamma di Gad. «Lo so, è mio figlio, ma non posso farci niente», ripeteva sconsolata.
Gad è così. Non possiamo farci niente Irredimibile, impronunciabile. Gast Leicester, Gas Lester, Gar Lerder. Beppe Grillo lo chiama Gad Vermer, o Gad Merder, pessima battuta dalla quale ci dissociamo. E comunque si dice Gad Eitan Lerner, giornalisticamente semplicemente «Gad».
Pietista più che buonista (e forse è peggio), elitario ma non elitista (per quanto la sua cantina in Val Cerrina, Basso Monferrato e alto tasso alcolico, produca ottimi Nebbiolo e Barbera), più che moralista matrimonialista (due mogli, cinque figli), aziendalista più che operaista (nel senso che si trova meglio coi padroni che con quei pezzenti di salariati che gli rinfacciano persino un orologino da 15-18mila euro), semiologo più che semita (richiestissimo nei corsi di laurea in Scienze della comunicazione), Gad Lerner bersaglio incolpevole del peggior nazileghismo etnico e del più spietato berlusconismo mediatico è stato per anni vergognosamente accusato di colpe tanto spaventose quanto inconsistenti. Esempi. Di avere una casa a Portofino, quando ci andava solo per vacanza, e neanche gli piaceva: «Ci sono i Bevlusconi, che pacchianata Guavda, vengo qui, ma contvovoglia». Di essere di casa a Capalbio, dove invece è stato pochissime volte, e semmai sotto gli ombrelloni degli altri, i suoi amici, Ultima spiaggia e sempre primi della classe. E soprattutto di vestire di tweed «Che volgavità» – quando d’estate al massimo sceglie costosissimi abiti di lino. E tacciamo delle pretestuose critiche di faziosità.
Ma questa Italietta cattiva, livorosa e reazionaria non può durare a lungo! Infatti resisterà molto meno della fulgida, lucrosa e sefardita carriera di un incrollabile intellettuale, apolide e poliedrico, prestato al giornalismo («Non si presta nulla, semmai si vende» è un antico insegnamento ebraico). Che poi, è curioso: i massimi splendori mediatici, e incarichi e direzioni e programmi tv, Lerner li ha avuti sia dalla sinistra tronfia di sentirsi superiore sia dalla destra che gode nel sentirsi inferiore, durante il liberticida ventennio del Cavaliere. Mai sotto una dittatura sono fiorite così tante redditizie carriere d’opposizione.
Recita un proverbio yiddish: «Sulla porta del successo troverai due scritte: ENTRATA e USCITA». C’è chi s’imbatte solo nella prima. Gad, in ebraico, significa «buona sorte».
L’infinita biografia di Gad Lerner nato a Beirut da famiglia ebraica ma residente a Milano sin dall’età di tre anni, una diaspora ma anche una disperazione (qabalah, kibbutz, liceo Berchet e un unico ghetto: quello interista) è più corposa del Talmud. Ebreo, laico e di sinistra (tre cose molto utili in Italia, soprattutto l’ultima) Gad Lerner è indubitabilmente una delle firme nobili del giornalismo e uno dei conduttori più apprezzati della televisione – e per chi lo nega invochiamo la legge Mancino – inventore di format che hanno fatto la storia dell’informazione italiana. Ovunque lui porta rivoluzione e passione. Sturm und Gad.
Più portato alla contestazione che all’osservanza, più osservante dei Quaderni di Avanguardia operaia che della Torah, antisionista il giusto, il giovane Gad – detto Gaddino dai compagni di lotta e falafel – si avvicina al giornalismo grazie alla formativa esperienza di Lotta Continua, una sorta di Master in Comunicazione sociale dell’epoca, molto esclusivo. Lettera 22 per dettare ideologicamente la linea e Hazet 35 per educare chi non la segue. Ragazzi che volevano fare la rivoluzione e finirono tutti nei giornali dell’establishment Piombo, ciclostile e contratti d’oro. Da lì la scalata alle testate Salonkommunist: Il Lavoro di Genova, Radio Popolare, il manifesto, L’Espresso.
La gioventù è un errore, la mezza età una battaglia, e la vecchiaia un rimpianto.
La mezza età Gad Lerner la combatte in tv. Negli anni ’90, tempi di Lega, federalismo e terùn, su Rai3 affronta la questione settentrionale con Profondo Nord e Milano, Italia, poi passa alla Stampa degli Agnelli la nomina a vicedirettore arriva il 1° maggio, festa dei lavoratori: falce e occhiello – quindi al Corriere della sera, di nuovo alla Rai dove nel 2000 è nominato direttore del Tg1, da cui deve dimettersi per un infortunio professionale ma – ex malo bonum subito dopo partecipa alla fondazione di La7: dirige il tg, fa da sparring partner a Giuliano Ferrara a Otto e mezzo e conduce per dieci anni L’Infedele. Intanto collabora con Repubblica e Vanity Fair. E per favore non tiriamo fuori le vecchie storie dei giri in elicottero con l’Avvocato Agnelli e le gite sullo yacht dell’Ingegnere De Benedetti. Una volta ha detto: «La razza padrona la si riconosce a pelle». Nel suo caso di Louis Vuitton. La Sinistra migliore è sempre quella senza operai.
Azionismo torinese e azionariato diffuso, esclusivo «Toscano del Presidente» tra le labbra e idee populiste bene in testa, oltre a un consolidato rapporto di stima reciproca col padre Moshé, Gad Lerner – chutzpah e spigolosità – ha un pregio indiscusso. Sentirsi sempre dalla parte giusta, senza mettersi mai in discussione. Che è molto consolatorio. Puerile, ma consolatorio.
Walter Veltroni ha detto di lui: «Che sia cattivo non credo sia una novità, credo sia la sua prevalente natura». Beffardo in video, stizzito sulla carta, Gad Lerner affronta i grandi temi dell’attualità – i conflitti religiosi, la questione dell’immigrazione, la Shoah ma soprattutto il razzismo di Matteo Salvini, Armageddon e origine di tutti mali dell’umanità offrendo soluzioni sempre radicali. Lerner ricorda un po’ – al netto degli «occhi affossati e infocati» e il «sogghigno di compiacenza diabolica» – il Vecchio malvissuto di manzoniana memoria che vuole inchiodare alla porta lo sventurato Vicario di Provvisione. Contro coloro che si ritengono causa di ingiustizie, così ha insegnato il Sessantotto, non si deve andare troppo per il sottile. E per quanto riguarda il tema del garantismo, è indubbio che ultimamente Lerner, il Moshe Dayan del giornalismo italo-israeliano, si sia fortemente intravaglito.
A proposito. A lungo firma tanto prestigiosa quanto costosa di Repubblica, Lerner ha lasciato il quotidiano per due volte. La prima nel 2015 perché l’editore non gli riconosceva «compensi adeguati alle prestazioni professionali». Lo pagavano troppo poco insomma. #largoaigiovani. La seconda, definitiva, nel 2020, formalmente per protesta contro il passaggio della testata da De Benedetti alla nuova GEDI degli Agnelli-Elkann, in realtà per migrare al quotidiano di Marco Travaglio, house organ dei Cinque Stelle. Qualcuno lo ha accusato di tradimento. Per noi, è assolto. Il Fatto non sussiste.
E per il resto editoriali, Nigrizia, podcast, bestseller, blog e Laeffe alla fine Gad Lerner è sempre in prima fila. Immarcescibile. Come ha scritto uno che lo ha conosciuto bene, il suo amico arcinemico Giuliano Ferrara: «Gad lo trovo opportunista, vile, corrivo, obliquo, venato di una certa infamia da primo della classe e delatore del vicino di banco, ma anche intelligente, colto, curioso, vitale».
Il guaio è che non si tratta di un pregiudizio. Ma di un complimento.