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 2021  agosto 22 Domenica calendario

A tu per tu con l’archeologo Mounir Bouchenaki

«L’unità culturale del Maghreb? L’ho sperimentata in Italia, tanti anni fa. Pensi, ero in Sardegna, tra Fluminimaggiore e Sant’Antioco, 1967 e 1968, con Sabatino Moscati e Ferruccio Barreca, per una campagna di scavi nell’ambito di un progetto di cooperazione culturale tra Italia e Algeria. Avevo meno di trent’anni. Ero il primo archeologo algerino. Insieme con me un archeologo tunisino, M’hamed Hassine Fantar e Naima Boujibar, direttrice di musei in Marocco. Così, come dicevo, abbiamo sperimentato grazie all’Italia, l’unità culturale del Maghreb». Con un ricordo semplice ma assai efficace Mounir Bouchenaki, archeologo di fama mondiale ed alto dirigente dell’Unesco e dell’Iccrom, sottolinea il ruolo chiave della cultura, e dell’archeologia in modo particolare, per la crescita dell’umanità.
Nato a Tlemcen, in Algeria, nel 1943, Bouchenaki si specializza in storia, storia antica ed archeologia tra Algeri ed Aix-en Provence. Ha la ricerca sul campo nel sangue. «Ero al liceo e partecipavo con un mio professore alle ricerche su un sito di epoca romana, Sigus – ricorda – venuto alla luce a pochi chilometri da Tlemcen durante la costruzione di una strada, nel 1959». 
Da quel momento in avanti la vita di Bouchenaki si è snodata tra ricerca, difesa del patrimonio, promozione della cultura storica ed archeologica con una forte proiezione sull’Italia. Il Nord Africa è stata una palestra assai ricca per la formazione. «Ho fatto ricerca nel sito punico di Kerkouane, in Tunisia, e con Paul-Albert Février nel sito romano di Tebessa e poi nella necropoli di Sétif – racconta -. Poi mi sono occupato del sito di Tipasa. Ho scoperto una necropoli paleocristiana (che attirò l’attenzione di specialisti vaticani e francesi) che custodiva l’iscrizione “In Christo Deo – Pax et Concordia sit convivio nostro”», al centro di numerosi e importanti studi internazionali sulle tradizioni funerarie nel mondo antico.
Con Andrea Carandini, tra il ’74 e il ’76, Bouchenaki lavora sui siti romani di Tipasa, Cherchel e Nador. Con l’Istituto archeologico tedesco di Roma l’attenzione è focalizzata su Lambése (Numidia militare). Intanto arrivano gli incarichi al vertice delle Belle arti, monumenti e siti archeologici dell’Algeria. Da quel momento in avanti Bouchenaki si muove tra incarichi e attività di ricerca ai vertici di Unesco e Iccrom, organizzazione intergovernativa con sede a Roma per la conservazione del patrimonio culturale.
«Alla fine degli anni 90 – ricorda- ho promosso d’intesa con Alfonso Andria, l’iscrizione del Patrimonio Unesco di Paestum e della Costiera amalfitana e la realizzazione della Borsa mediterranea del turismo archeologico, con Ugo Picarelli». Turismo fattore chiave per promozione e sviluppo dell’archeologia e viceversa.
Il filo conduttore dell’impegno di Bouchenaki, tra Unesco e Iccrom, si è snodato poi intorno al tema della protezione del patrimonio con particolare riguardo per aree e siti colpiti da conflitti «dal Libano alla Cambogia, dall’Iraq all’Afghanistan – ricorda – passando per Siria e Yemen».
Intorno all’archeologia e alla difesa del patrimonio archeologico si gioca la sfida della promozione culturale senza confini o barriere. «La conoscenza delle civiltà antiche era appannaggio di una élite in Germania, Francia, Inghilterra ed anche Italia. Oggi – dice – ha un ruolo emancipato rispetto alla storia e con un apparato scientifico che consente di avere una visione ampia dell’evoluzione delle società dalla preistoria alla rivoluzione industriale. Vedere e comprendere le testimonianze archeologiche costituiscono elementi fondenti della cultura contemporanea. Ricordo sempre che la visita dei siti archeologico è come la lettura di un libro. E che su un sito non si finisce di imparare. È un bene che l’archeologia faccia parte integrante dei circuiti turistici e che intorno a questo binomio si sia correlato un sistema economico».
Come dire: protezione, difesa per rendere accessibili le testimonianze del passato, fattori chiave di confronto interculturale, la cui linfa è costituita dall’accesso, dalla disponibilità di fruizione. Le visite, e quindi i flussi turistici, sono energia vitale per il patrimonio archeologico, artistico e storico.
«Musei e siti archeologici fanno parte delle infrastrutture culturali che tutti i Paesi hanno sviluppato – sottolinea Bouchenaki – e costituiscono i fattori chiave di crescita. Queste strutture sono collegate alle Università che portano avanti programmi di ricerca. Riflettiamo sul tema del Museo, non è più come un tempio (anche se tanti musei sono stati realizzati prendendo a modello i templi di epoca egiziana o greca), ma dobbiamo considerarlo come un Forum, se vogliamo come un “souk” aperto a tutti».
E la tecnologia ha fatto cadere barriere fisiche e culturali. «Lo sviluppo della digitalizzazione nei musei e nelle aree archeologiche non è una minaccia ma una grande opportunità – ammonisce – una straordinaria possibilità di ampliare la conoscenza. Le opportunità offerte dall’innovazione digitale costituiscono un grande valore aggiunto per promuovere la conoscenza. Mi riferisco poi in particolare alle giovani generazioni che possono accostarsi all’arte o ai siti archeologico maturando una esperienza di conoscenza assai attrattiva ed emozionante». «Mi piace ricordare – sottolinea – le riflessioni di Rébéca Lamay-Perreault sugli spazi museali in continua trasformazione, che riprendono le considerazioni del filosofo Habermas sulla importanza di luoghi dove le varie componenti sociali di una popolazione si incontrano, dialogano, e discutono».
Dal modello di museo-souk dell’umanità, della memoria, del dialogo e della cultura, al ruolo del nostro Paese. «Decisivo intento l’interesse dimostrato dall’Italia per cultura e patrimonio culturale con l’offerta di una sede per l’Iccrom, istituzione creata dall’Unesco – sottolinea Bouchenaki -. All’inizio degli anni 60 i primi corsi sono stati dedicati alla conservazione di ville e siti storico d’intesa con l’Università di Roma e l’Istituto centrale del restauro. Non dimentichiamo che difronte ai conflitti scoppiati alla fine del XX secolo l’Italia è stata il solo Paese che ha proposto un impegno con i Carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale. C’è stato un accordo tra Governo di Roma e Unesco per un corpo militare a protezione di musei e siti archeologici. L’Italia ha così un ruolo particolare. Fa parte dei grandi Paesi donatori in favore del patrimonio. Con l’Unesco l’Italia ha sempre accordato sostegno tecnico e finanziario a prescindere dalla situazione economica. Molti progetti sono stati finanziati con risorse extra budget in compensazione ai tagli sui programmi ordinari. Le riunioni a più alto livello tra i Paesi più ricchi i favore della cultura e del patrimonio culturale mondiale sono state organizzate in Italia. Firenze ha ospitato il G7 Cultura nel 2017. A fine luglio 2021 a Roma c’è stato il G20 cultura con la direttrice generale Unesco Audrey Azoulay. Ricordo, come ha specificato l’Unesco, che il G20 ha indicato nella cultura la leva di un duraturo rilancio socio-economico per superare gli effetti della pandemia da Covid 19. Una dichiarazione di peso epocale visto che il G20 per la prima volta ha adottato una risoluzione sulla cultura».
E per l’archeologia si aprono nuove opportunità. «L’Italia – conclude Bouchenaki – offre numerose opportunità di collaborazione nel settore archeologico grazie alla presenza, fatto pressoché unico a livello internazionale, di numerose Accademie a Roma che sono realtà secolari. Penso all’École française situata nel cuore di Roma e che continua a collaborare con i cantieri di ricerca archeologica con le Sovrintendenze italiane. Ma c’è un elemento ancora da sottolineare. In favore dei Paesi emergenti l’Italia resta uno dei centri di eccellenza per la formazione nell’ambito dell’archeologia e della conservazione del patrimonio».
L’impegno per la conservazione è oggi più che mai attuale ricorda Bouchenaki. «Sono entrato all’Unesco nel dicembre del 1981 come capo delle campagne internazionali di salvaguardia da Venezia alla Media di Fès in Marocco, da Sanaa e Shibam nello Yemen, alla città vecchia dell’Avana a Cuba, da Axum e Laibela a Tyro in Libano. Come direttore del patrimonio culturale Unesco ho promosso i grandi progetti per Angkor in Cambogia e Gerusalemme. Questa la strada, un grande impegno internazionale condiviso, come indicato dalla Convenzione del 1972».