La Stampa, 22 agosto 2021
Biografia di Len Blavatnik (il signor Dazn)
Gli altri oligarchi ogni tanto si comprano una squadra di calcio, per divertirsi con un Pallone d’Oro o una Champions League. Leonid "Len" Blavatnik invece ha deciso di prendersi tutto il calcio. Campionato dopo campionato, con il progetto di fare della sua Dazn la Netflix del pallone. Ora la battaglia per rivoluzionare il calcio in tv passa per la Serie A e per l’alleanza con Tim. Sky battuta all’asta per i diritti triennali con un investimento da un miliardo e mezzo di euro per Dazn attraverso Perform e di un miliardo per l’ex monopolista, format inediti, la partita sul telefonino, solo con la connessione internet e in esclusiva: nulla sarà più come prima, per 33 milioni di tifosi italiani il futuro lo disegna Len.
In silenzio e senza farsi troppo vedere in giro, come sempre: un paio di interviste in tutta la sua vita, rarissime comparsate alle inaugurazioni dei musei finanziati con decine di milioni di dollari all’anno, solo un blitz una notte a San Siro per un derby di Milano visto in tribuna, naturalmente senza che nessuno lo riconoscesse tranne l’amico Paolo Scaroni, ex competitor nel mondo dell’energia e ora presidente del Milan. A Blavatnik l’operazione Dazn sta costando molto (un miliardo e mezzo perso nel 2019 a livello mondiale) e rendendo nulla, ad oggi.
Gli era già successo agli inizi di molti dei suoi progetti finanziari e industriali: dalla partenza a ostacoli nell’ex Urss allo scetticismo degli analisti quando rilevò Warner Bros, fino alle partecipazioni in Zalando e Spotify. Nel lungo periodo però Blavatnik, l’uomo più ricco del Regno Unito e 45° al mondo con un patrimonio di 25 miliardi di dollari, ha sempre vinto. La partita che gli cambia la vita la gioca al tempo della guerra delle privatizzazioni, al tramonto dell’Unione sovietica. Un successo finanziario, politico e d’immagine: fa fortuna e si smarca da quei legami ingombranti con la politica russa che gli altri oligarchi porteranno sulle spalle. Non ci sono sospetti per il filantropo che finanzia musei, ospedali e università. Un’operazione così riuscita che Blavatnik nel 2017 viene nominato Cavaliere della regina Elisabetta. L’inserimento nell’establishment è pieno, i sospetti riguardano altri.
Le origini
Blavatnik nasce a Odessa, allora sotto bandiera sovietica, nel 1957. Il primo incontro decisivo della sua vita lo fa da adolescente: al liceo di Yaroslav, la città a 300 chilometri da Mosca dove si è trasferito con la famiglia di origine ebraica, diventa amico di Viktor Vekselberg, futuro signore dell’energia. Siamo nella prima metà degli anni ‘70. Len e Viktor sono due compagni di banco che quindici anni dopo, poco più che trentenni, diventeranno alleati nella guerra delle privatizzazioni.
In mezzo, ci sono il trasferimento a Brooklyn, gli studi in Informatica alla Columbia University, la cittadinanza americana (poi arriverà anche quella britannica) e la fondazione della Access Industries, tuttora holding di un gruppo con partecipazioni per 20 miliardi di dollari, dall’alluminio all’acciaio, dal petrolio alle app. La prima preda dei due vecchi amici si chiama Tnk, colosso dell’energia che sta soffrendo i guai di tutta l’industria sovietica. Blavatnik e Vekselberg la rilevano insieme ad un terzo socio e da lì svoltano. Pochi mesi e tocca alla concorrente Sidanko, partecipata da British Petroleum, che scivolerà nella bancarotta e verrà così spogliata a prezzi irrisori. Finirà che nel 2003 sarà la stessa Bp a offrire 7 miliardi di dollari per far nascere la Tnk-Bp: 2 di questi miliardi, secondo il Financial Times, costituiranno il profitto netto di Blavatnik. Negli anni Duemila, con interessi ormai lontani dalla Russia e trasferito a Londra nella sua residenza di Kensigton, Blavatnik piazza colpi pesanti soprattutto in America. Nell’industria tradizionale, con l’acquisizione da 1,8 miliardi di dollari del big americano della chimica LyondelBasell, che ora ne vale 9: «The greatest deal in Wall Street story» secondo Forbes. E nell’industria del divertimento, con Warner Music. Un’operazione, quella per la terza casa discografica del mondo, tutta controvento. Se scegliere il digitale - da Spotify a Dazn a Snapchat - vuol dire scommettere sul futuro, puntare 3,3 miliardi di dollari su un’azienda che nel 2011 iniziava a patire i colpi dello streaming e della pirateria online era considerato un azzardo dagli analisti. Com’è andata a finire? Warner Bros è quotata al Nasdaq dal giugno 2020 e oggi vale 19 miliardi di dollari, sei volte l’investimento di dieci anni fa.
Finanza e politica
Il potere finanziario si intreccia con la politica, sempre nello stile silenzioso da cui Blavatnik non si è mai scostato. Per anni finanzia sia i democratici che i repubblicani, da Barack Obama a John Mc Cain, da Hillary Clinton a Mitt Romney. È durante l’era Trump che l’asse si sposta con decisione verso destra: donazioni più generose e uscite pubbliche in eventi elettorali del presidente, di nuovo insieme a Vekselberg. Con una sostanziale differenza: il vecchio amico sarà colpito dalle sanzioni contro la Russia, Len no. La strategia per stare con i piedi dentro l’élite, anche se lontano dai riflettori, corre anche sui binari della filantropia: 800 milioni di dollari donati in dieci anni dalla sua Fondazione a 250 enti nel mondo, tra cui 65 alla Tate Modern, 200 a Harvard, 115 a Oxford, 10 al sistema sanitario del Monte Sinai. Potere silenzioso e capacità diplomatica, relazioni occidentali e amicizie russe.
L’ultima sfida
Ora la partita delle nuove tecnologie è l’ultima frontiera dell’ex studente di Informatica della Columbia. Sono i successi ottenuti con Deezer, Spotify e Snapchat a spingere Blavatnik nell’avventura di Dazn. La app arriva in 200 paesi, soprattutto con la boxe, ma il business della over the top dello sport è ancora in fase di lancio. In Italia il percorso è partito nel 2018, con qualche intoppo nella qualità dello streaming che ha fatto storcere il naso a molti utenti. Intoppi, appunto, se questa è l’alba della grande transizione digitale. L’alleanza con Tim, che ha investito un miliardo per fare del calcio il cavallo di troia per portare internet veloce nelle case degli italiani, chiarisce i contorni di un progetto di lungo periodo.
La partita della serie A, intanto, si vince con tre milioni di abbonati. Siamo solo al fischio d’inizio.