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 2021  agosto 22 Domenica calendario

La star del quiz insultata perché lesbica

«Mancano delle leggi che puniscano certi comportamenti. Il mio caso è un esempio: se il Ddl Zan fosse stato approvato, avrebbe costituito un’aggravante». Sara Vanni, 29 anni, si racconta come «un’attivista». Professoressa di Lettere in un liceo torinese, nel lavoro come nella vita si batte per insegnare il rispetto dell’altro. Un rispetto che passa anche attraverso il linguaggio. Concorrente con le compagne Giovanna e Valentina, «Le Sibille», al quiz «Reazione a catena» di Rai 1, è finita nel mirino degli hater. Denigrata per l’aspetto fisico e per il tono della voce, insultata per il suo orientamento sessuale.

Cosa è successo?
«Insieme a due amiche abbiamo partecipato a undici puntate del programma. Siamo campionesse in carica. E qualcuno ha iniziato a prenderci di mira».
Perché?
«Può capitare, quando si diventa un minimo popolare, che, oltre ai commenti positivi e di sostegno, arrivino anche critiche e giudizi negativi. Ma c’è modo e modo. Un conto è dire "Quel concorrente non mi piace", un altro minacciarlo, scrivergli "Ammazzati" e cose simili».
Come è successo a lei e alles ue amiche?
«Io sono più attiva di loro sui social e sulle mie pagine Facebook e Twitter, quattro profili diversi, probabilmente dei profili fake, hanno pubblicato una ventina di post denigratori. C’è chi ha chiesto "perché non mi tagliassero le corde vocali", chi mi ha detto "lesbica di merda. Se ti incontro, ti do quello che ti manca"».
L’hanno presa di mira per il suo orientamento sessuale?
«Anche. In una fase del gioco bisognava trovare una definizione a partire da tre parole e in rete ha iniziato a girare un meme legato a quella definizione intesa in modo un po’ ambiguo. Io ho risposto ironicamente con un altro meme. Il significato era: È inutile che facciate queste vignette visto che non sono neanche etero. Da lì qualcuno mi ha scritto "Lesbica di merda" e cose simili. Ho denunciato il tutto alla polizia postale, ma da educatrice e attivista Lgbt questo episodio mi fa riflettere».
Il Ddl Zan sarebbe stato un passo in avanti?
«È una legge fondamentale. Penso alla mia esperienza. Avrebbe dovuto essere un gioco, un momento bello e si è scatenato tutto questo odio. Ma penso anche alle aggressioni di cui sono vittime tante persone Lgbt. C’è ancora molto da fare».
Quale, secondo lei, la strada da percorrere?
«La chiave è l’educazione. Io insegno a dei ragazzi delle superiori e li educo a pesare bene le parole. Se invece di prendere di mira me, donna adulta, se la fossero presa con un’adolescente? Ci sarebbe stato forse l’ennesimo suicidio. Anche io mi sono sentita ferita. Mi sono chiesta il perché di tanta cattiveria. Perché criticare? Perché denigrare? Ognuno ha un passato che non si conosce. Chi lascia certi commenti credo provi tanta rabbia. Bisogna sensibilizzare su certi temi, potenziare, ad esempio, gli sportelli psicologici. Spero che la mia vicenda porti ad alcune riflessioni».
Quali?
«C’è l’idea che una persona sia omosessuale perché non ha incontrato ciò che cerca: è una convinzione bigotta, offensiva. E non è l’unica. Io sono nata in un paesino della Calabria e ho avuto delle relazioni di nascosto. Poi ho fatto coming out con un amico che mi ha fatto capire che non c’era nulla di male ad essere come si è e i miei genitori mi hanno sempre sostenuta. C’è poi la riflessione sulla società della perfezione».
In che senso?
«Io e le mie amiche abbiamo ricevuto anche commenti dispregiativi sull’aspetto fisico. Giovanna, ad esempio, era molto dispiaciuta. Siamo abituati a credere di dover essere infallibili, senza difetti. Si promuove un concetto di bellezza che non esiste. Tutti abbiamo delle magagne, nessuno è perfetto. È un messaggio che deve essere trasmesso».