Dal “Fatto quotidiano”, 21 agosto 2021
LA PASSIONE DI DINO RISI PER LA BATTUTE (E LE BELLE DONNE) - I RICORDI DEL FIGLIO MARCO: “LE RIPRESE DI “PANE, AMORE E...” SI SVOLGEVANO A SORRENTO, IN UN CLIMA RILASSATO. A RALLEGRARE DI PIÙ L'ATMOSFERA, UN GIORNO ARRIVÒ NELL'ALBERGO DOVE ALLOGGIAVA LA TROUPE UN PULLMAN DI PATTINATRICI SVEDESI. PAPÀ NON SI LASCIÒ SCAPPARE L'OCCASIONE. EBBE UN'AVVENTURA CON UNA DELLE SVEDESINE E CI PASSÒ LA NOTTE. IL MATTINO DOPO SI SVEGLIÒ ALLE 11, QUANDO LA CONVOCAZIONE PER LE RIPRESE ERA ALLE 8. SI VESTÌ IN UN LAMPO. CORSE COME UN MATTO. ARRIVÒ SUL SET TRAFELATO E…” -
Pubblichiamo un estratto dal libro "Forte respiro rapido" scritto da Marco Risi
La dedizione di papà alla battuta è sempre stata totale. Aveva assoluta precedenza su tutto. Gli piacevano al punto da non calcolarne le conseguenze. C'è da dire che ne sbagliava poche. Al mio terzo film con Jerry Calà, che andò piuttosto male rispetto ai precedenti, sentenziò: "Levategli l'accento!". E quella volta che c'incontrammo per caso al cinema Roxy a vedere La passione di Cristo di Mel Gibson, dove il povero Gesù prendeva un sacco di botte dall'inizio alla fine del film, all'uscita, dopo qualche minuto di silenzio, disse: "Sai qual è il problema di questo film? Non ti appassioni al protagonista!".
Arrivavano come frustate. Te ne accorgevi, o meglio, io mene accorgevo, dallo sguardo, che aveva un'intensità nuova, viva e affilata. Di lui potrei anche dire che non era attentissimo alla forma né alle apparenze per tutto quello che lo riguardava; con se stesso, diciamo, era piuttosto tollerante, era attentissimo invece alle sfumature, anche le più insignificanti, degli altri. Non gli sfuggiva una risata falsa o un gesto o un affanno improvviso e se aveva la luna storta poteva diventare spietato.
Durante le riprese di Profumo di donna passai una settimana con lui a Napoli a fargli da aiuto regista perché mio fratello Claudio, da qualche anno suo aiuto ufficiale, aveva avuto problemi con il servizio militare. Una sera, sulla terrazza dell 'amico di Gassman, cieco anche lui, come il protagonista del film, bisognava girare la scena di una festicciola con un paio di ragazze amiche di Agostina Belli, che dovevano correre e ridere allegre e sguaiate giocando a moscacieca. Il vantaggio con Gassman, in questo caso, era che non si doveva bendarlo...
Secondo papà una delle ragazze non era abbastanza allegra e sguaiata e, forse perché qualcosa delle riprese non lo soddisfaceva e aveva bisogno di ritrovare la tensione giusta con il cast e con la troupe, cominciò ad aggredire la poveretta che se ne stava immobile, la testa bassa, umiliata. La insultò pesantemente e a lungo, tanto che a un certo punto mi sentii in dovere di intervenire, rischiandomela grossa perché avrebbe potuto insultare anche me, duramente. Era quello che mi aspettavo: come mi permettevo io, piccolo stronzo, di intromettermi?
Invece ci fu qualche secondo di silenzio assoluto, il set sembrava sospeso. Gassman, che stava prendendo appunti per il Kean da portare a teatro di lì a poco, alzò un sopracciglio quando sentì la mia voce sovrastare quella del suo amico. Era successo qualcosa alla quale non aveva mai assistito. Il regista, mio padre, non reagì. La sera dopo andammo a cena da Ciro a Mergellina e incontrammo Vittorio De Sica, elegantissimo, camicia bianca immacolata e completo beige di cotone chiaro.
I due, con le loro belle chiome candide, si abbracciarono e parlarono di cinema, dei giovani colleghi che incalzavano, Bertolucci, Bellocchio, Samperi, Faenza. Lo fecero con attenzione e considerazione: erano anni di tensioni politiche, di contestazioni dure, bisognava tenerne conto. Quello era bravo, quell'altro meno, quell'altro sarebbe diventato famoso. Ma la sentenza finale in napoletano di De Sica, lucida, sincera e soprattutto allegra, fu: "Ma diciamoci la verità, Dino: 'sti giovani ci stann' scassand ' 'o cazz'...".
E se la risero beati. Una ventina di anni prima di questo incontro, erano sul set di Pane, amore e..., il terzo film della serie che era iniziata con la coppia in bianco e nero Lollobrigida-De Sica, diretta da Luigi Comencini, e ora passava a quella De Sica-Loren con il colore del grande Tonino Delli Colli. Le riprese si svolgevano a Sorrento, in un clima disteso e rilassato. A rallegrare ancora di più quell'atmosfera, un giorno arrivò nell'albergo dove alloggiava la troupe un pullman di pattinatrici svedesi. Che cosa ci facessero delle pattinatrici svedesi a Sorrento nell'estate del 1955 rimane un mistero.
Papà non si lasciò scappare l'occasione. Ebbe un'avventura con una delle svedesine e ci passò la notte. Il mattino dopo si svegliò alle 11, quando la convocazione per le riprese era alle 8. Che fare? Immaginava che fossero tutti lì ad aspettarlo, con il direttore di produzione furibondo. Si vestì in un lampo. Corse come un matto. Arrivò sul set trafelato. E che vide? De Sica che aveva già girato un paio di inquadrature e stava impostando quella successiva come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mio padre si fermò ai bordi del set a osservarlo, incantato. Quando De Sica si accorse di lui, gli si avvicinò e, nel passargli le consegne, gli chiese in un sussurro, complice, all'orecchio: "La svedese?".