La Lettura, 21 agosto 2021
Che 180 anni, Giunti!
Fuma una sigaretta dopo l’altra Sergio Giunti, riservato editore al centro di una costellazione di marchi che ha il suo cuore sulla collina fiorentina. Per parlare con lui bisogna venire qui, nella sede della casa editrice, a Villa La Loggia, sontuosa magione dallo stile eclettico realizzata nel XV secolo sulla residenza di campagna di Brunetto Latini, poi acquistata dai Pazzi che costruirono la loggia della famigerata congiura. Classe 1937, Sergio Giunti ha preso le redini nel 1983 alla morte del padre Renato e, come lui, ama starsene lontano dai salotti intellettuali milanesi e romani, fedele a una visione pragmatica, per niente snobistica, della cultura. «Vengo in ufficio tutti i giorni, l’ho fatto anche durante la pandemia, sto volentieri qui, vedo la mia gente» sorride mentre si appresta a raccontare questi 180 anni di un gruppo che ha radici profonde, nato dalla gloriosa tradizione libraria Paggi-Bemporad-Marzocco. Nella vecchia limonaia l’archivio conserva preziosi carteggi ereditati dai marchi storici che compongono il bouquet: le corrispondenze con De Amicis, d’Azeglio, Cavour, Carducci; le schede di lettura di Montale; le lettere di Pirandello e Verga, le prime edizioni di Pinocchio.
«Tutto comincia nel 1841 da una libreria di proprietà dei fratelli Paggi che diventa subito editrice – riassume Giunti —. Uno dei fratelli ha una figlia che si sposa con il suo segretario, Roberto Bemporad. E lui, quando muore Paggi, decide di cambiare il nome mettendoci il suo. Il figlio Enrico, grazie anche a scrittori come Collodi, si espande fino a diventare forse l’editore più importante d’Italia con una produzione significativa, soprattutto nel settore scolastico. Bemporad cerca anche di trovare ambiti nuovi, apre una collana di letteratura straniera, i gialli». Pubblica anche un consistente gruppo di scrittrici, come Annie Vivanti, Sibilla Aleramo, Amelia Rosselli. Renato Giunti entra in azienda nel 1935: «Nel ’38 il regime impone di cambiare il nome, di origine ebraica, quindi la casa editrice diventa Marzocco, come il leone simbolo di Firenze. Nel ’56 mio padre compra la maggioranza dalla famiglia Orzalesi, quella del borotalco Roberts. Io comincio a lavorare in quel periodo, i libri con la striscia nera incollata su Bemporad in copertina li ho visti».
L’editoria per il giovane Giunti non è la prima scelta: «Mio padre mandò un amico a parlarmi per capire che cosa volessi fare. Gli dissi che avrei voluto fare il bookmaker perché amo le corse dei cavalli, giocare, scommettere, vincere, perdere. Mio padre mi chiama, sereno, mi mostra una pagina del “Corriere” dove ci sono le dichiarazioni dei redditi dei più facoltosi e mi dice: “Leggi un po’: il primo è Angelo Rizzoli. A te interessa guadagnare e, come vedi, un editore guadagna più di tutti. Poi ti piace giocare e non c’è mestiere più rischioso di questo. Se vuoi fare l’università falla, ma mi raccomando non devi perdere nemmeno un mese, altrimenti vieni a lavorare da me e ti pagherò lo stipendio”. L’idea di avere questa cifra per me enorme – 27 euro al mese, ho fatto il calcolo – mi piacque molto. Pensavo di poter continuare a giocare, a godermi la vita. Ma il piacere dei libri è diventato passione e poi malattia».
Nel Dna della casa editrice c’è da sempre l’apertura alla diversità dei campi del sapere e delle forme di produzione culturale. Oggi il gruppo integra manualistica, letteratura per ragazzi (da Pinocchio a Peppa Pig), narrativa, ma anche distribuzione e librerie: a Sergio Giunti si deve l’impetuosa serie di acquisizioni e partecipazioni cominciata a metà degli anni Ottanta, seguito di una politica avviata dal padre. Nel corso degli anni sono arrivati nella costellazione marchi come Barbera, Martello e poi Disney Libri: «Ci siamo sempre allargati, sperimentando. Quello della psicologia, per esempio, per noi è un settore importante, siamo stati i primi a portarla in Italia, negli anni Quaranta, favoriti dal fatto che durante il fascismo non era parte dei programmi universitari. Così abbiamo potuto acquisire il copyright di tutti i libri anglosassoni più importanti». Fino al 2016 mancava un marchio di pura letteratura, poi è arrivata Bompiani con le sue firme, da J.R.R. Tolkien ad Albert Camus, da John Steinbeck alle Nobel recenti Svetlana Aleksievic e Olga Tokarczuk: «Il suo catalogo è una cosa meravigliosa, serviva un editore che lo distribuisse, che lo mantenesse vivo. Anche perché adesso escono talmente tanti libri che dopo tre mesi diventano vecchi e spariscono – spiega Giunti —. Noi abbiamo tirato fuori moltissimi titoli di catalogo in questi ultimi anni. C’è ancora tanto da scavare, anche se questo piace poco alle redazioni che vogliono trovare cose nuove. Sono molto contento che Bompiani sia nella nostra famiglia e me la tengo stretta. Adesso il gruppo ha un mazzo di fiori variegato».
Tra le sperimentazioni ci sono anche le riviste: «Venticinque anni fa ho cominciato con questi periodici meravigliosi, chiamando come direttori le persone più esperte di quel settore, da Rita Levi Montalcini per la scienza fino a Roman Vlad per la musica, la persona che ha capito più di tutti il tipo di divulgazione che volevo fare. Alcune riviste sono ancora vive, come “Archeologia Viva”, “Arte Dossier”, altre ho dovuto chiuderle perché ci ho rimesso parecchio. Ogni rivista costava un palazzo, però erano bellissime e mi davano grande soddisfazione». Scherza: «Un giorno ho chiamato Bruno Mari, che è il mio consigliere (nonché vicepresidente del gruppo, ndr), e gli ho detto: se ti chiedo di fare un’altra rivista compra un fucile e sparami».
Nel corso degli anni Giunti ha superato momenti difficili e affrontato imprese epiche come l’alluvione di Firenze, il 4 novembre 1966, o l’edizione facsimilare delle opere di Leonardo: «La casa editrice si era ripresa bene dalla guerra quando l’Arno straripò – ricorda Giunti —. Con l’alluvione, siamo stati la società più colpita. Abbiamo perso tutto: sei milioni di libri, lo stabilimento grafico, buona parte degli archivi. Però ci siamo ripresi molto velocemente, il primo dicembre abbiamo stampato un cataloghino con titoli per un milione di libri. Non so come, ma è successo. Abbiamo chiamato tutti gli stabilimenti d’Italia per andare a stampare da loro. Se uno oggi me lo raccontasse non ci crederei». Giunti ricorda bene quei momenti drammatici: «La mattina dopo, l’acqua non c’era più, avevano rotto le paratie e si era sparsa nella campagna. Con mio padre andammo a vedere cos’era successo in sede. Nel tragitto assistetti a cose senza senso: sotto la mia auto c’era il corpo del fioraio, annegato; poi quattro macchine una sopra l’altra; un negozio con tre auto dentro. Insomma, cose del genere. Quando arriviamo allo stabilimento in via Gioberti, saliamo, ci affacciamo e vediamo i tavoli della nostra legatoria nei giardini delle altre case. Però non ci siamo persi di coraggio, mio padre era un uomo di grande personalità e la prima cosa che fece fu lasciare sulle scrivanie di tutti i dipendenti, una trentina, un biglietto con quello che dovevano fare. Insomma ci mettemmo tutti al lavoro e alla fine me lo ricordo come un periodo clamoroso, di grande entusiasmo. Devo dire che i concorrenti non sono stati molto carini, andavano dai nostri rappresentati a dire: che disastro povero Giunti, se vuole può venire da noi». Sorride: «Ricordo anche chi lo diceva, ma non sono una persona che serba rancore...».
Nel catalogo Giunti si trovano i libri più economici, ma anche i più costosi che esistano sul mercato, cioè l’edizione nazionale di tutte le opere e i manoscritti di Leonardo da Vinci. «Quella è stata l’impresa più strana, durata cinquant’anni – spiega Giunti —. Una mattina, era il 1966, andai con mia moglie a sentire una conferenza di Eugenio Garin, grande filosofo, amico di famiglia. Era una domenica e, come sempre, poi andai a pranzo da mio padre dove scoprii che anche lui era all’incontro ed era rimasto, come me, molto colpito. Da quel momento ci venne l’idea di stampare tutto ciò che esiste di Leonardo. Se avessimo saputo che cosa significava naturalmente non l’avremmo mai fatto. I manoscritti sono sparsi in tutto il mondo, sono di proprietà della Regina d’Inghilterra, del Victoria and Albert Museum, solo in Italia sono in quattro o cinque musei. Quindi la prima cosa è stata fare i contratti. I codici di Francia, per esempio, sono di proprietà dell’Istituto di Francia, conservati nel caveau della Banca nazionale, nessuno li può vedere, nemmeno gli studiosi». E come avete fatto? «Mio padre era molto amico del presidente Pertini che lo chiese direttamente a Valéry Giscard D’Estaing. Anche dal punto di vista tecnico è stata un’impresa, non c’erano i mezzi di oggi e ogni volta era un problema fotografare le pagine. Tutti gli studiosi di Leonardo del mondo hanno lavorato per noi, da Carlo Pedretti all’ingegnere Ferdinando De Toni a Paolo Galluzzi. Poi abbiamo fatto anche la trascrizione diplomatica e critica, migliaia di pagine. È stato un lavoro pazzesco: abbiamo iniziato a parlarne nel 1966 e l’ultimo volume è uscito nel 2010». Difficile pesare che un’opera del genere sia stata ripagata: «In qualche modo invece sì, anche se non abbiamo avuto finanziamenti da nessuno. Chi li ha comprati? Un farmacista di Venezia, per dirne uno. Qualche anno fa ci telefonò Francis Ford Coppola che è anche un importante collezionista di libri: voleva fare un’ispezione sugli originali di Pinocchio per un film che poi non realizzò. È stato qui 3 o 4 giorni, solo, tranquillo, senza dare noia. Andavamo a mangiare insieme, un giorno vede i volumi di Leonardo e rimane incantato. Mi dice: bellissimi, li voglio, mandameli assolutamente, quanto costano? Non ricordo bene, ma si trattava forse di 90 mila dollari. Tira fuori l’assegno e lo firma perché, dice, poi io parto e tu te ne dimentichi. Un altra volta mi scrisse l’ambasciata di Spagna chiedendo una serie. Era per il primo ministro Felipe González».
Se gli si chiede se ha qualche rimpianto, Sergio Giunti risponde con franchezza, sorridendo: «Mi sarebbe piaciuto fare tutti i libri più importanti. Poi ho sempre avuto un cruccio: con l’italiano sei confinato in un recinto molto angusto, siamo in una regione molto piccola del mondo dove, oltretutto, gran parte degli abitanti non legge. Finalmente nel gennaio dell’anno scorso ho avuto l’occasione di entrare nel capitale di una casa editrice inglese, Quarto Group. Ora sono più contento, mi sembra di essere uscito da questa cameretta». Nel board di Quarto c’è il nipote Andrea Giunti Lombardo: poco più che ventenne, ha studiato all’estero e si sta facendo le ossa accanto al nonno, con un occhio attento al digitale e alle nuove tecnologie. «La lettura – dice Sergio Giunti – ha due grandi concorrenti: la massa di informazioni veloci, semplici, parcellizzate che ti portano a non riflettere. E poi la mancanza di tempo. Le ore sono 24 e tutti, anche i bambini, hanno una serie di impegni che riempiono la giornata». Il mestiere dell’editore, per come lo intende lui, non è solo scegliere i libri: «Quello lo fanno gli editor, le redazioni. Il compito dell’editore è distribuirli, farli arrivare alle persone. Per questo curo tanto le mie librerie. Quando convinco un ragazzino a leggere, se il libro non è noioso, la metà del lavoro è fatta». Per lui l’editore italiano più importante è stato Angelo Rizzoli: «Con la sua Bur ha dato a milioni di italiani una scelta infinita di testi a prezzi molto bassi, con apparati semplici, ottime traduzioni. Se fossi invidioso invidierei Einaudi, con tutte le sue meravigliose pubblicazioni ma, in proporzione, direi che Einaudi ha fatto salire di 30 centimetri una piccola parte di italiani, mentre Rizzoli ha fatto salire di 3 centimetri una quantità molto più ampia di persone. Ci vogliono tutt’e due, certo, ma bisogna arrivare ad avere una grande massa di lettori».
Giunti non fa mistero di amare i bestseller: «Però bisogna saper fare i conti, anche valutare quanto si perde. Se una cosa è importante si fa, magari il conto non è positivo, ma se vale prima o poi riesci anche a tirare fuori il tuo utile». Il libro per lui è un monumento: «Lo dico sempre ai miei ragazzi: pensate a una grande azienda, con un ufficio studi che, magari, dopo un anno di lavoro, inventa un cioccolatino. Vuoi mettere fare un libro? Tutti i più importanti movimenti politici, culturali, sono nati così: la Bibbia, Il capitale, il “libretto rosso”...».
Sul tavolo dell’ufficio, accanto a un vassoio di caramelle e barchette di carta, c’è un libro per bambini. Si intitola Sos per il pianeta Terra, sembra fatto oggi, con la tecnica del cut-paper e un tema rovente: l’ambiente, lo sfruttamento delle risorse. «È del 1971, lo abbiamo venduto in tutto il mondo e oggi che si parla tanto di cambiamento climatico l’ho tirato fuori per farlo vedere ai miei. Mi dà una grande soddisfazione». Il momento per l’editoria non è facile, anche se il peggio sembra alle spalle: «Lasciamo perdere i dati trionfalistici, esagerati, sulla ripresa del mercato. La pandemia è stato un brutto colpo, ma è vero che durante il lockdown la gente ha letto di più». L’ottimismo non può mancare a Villa La Loggia: «Sono il più vecchio editore italiano, lavoro da 67 anni. Ma la cosa straordinaria è che mi piace ancora, perché è il mestiere più bello che ci sia».