Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2021
Il rapporto tra Talebani e al-Qaeda
Sulla sua testa pende ancora una taglia di 5milioni di dollari. È la cifra che il Dipartimento di Stato americano è pronto a dare a chiunque possa fornire informazioni utili alla sua cattura. Il sito della Cia lo descrive come un feroce terrorista. Che si è macchiato di gravi crimini, ricorrendo anche ai suoi uomini bomba, contro le forze Usa in Afghanistan, contro cittadini occidentali, contro i soldati ed i civili afghani. «È il leader del network degli Haqqani e mantiene stretti legami con al-Qaeda», continua la Cia. Il suo nome è Sirajuddin Haqqani. Una sola foto in circolaizone, come il Mullah Omar, età dai 40 ai 47 anni. Sirajuddin è uno dei tre vicecomandanti dei Talebani, l’uomo che si occupa delle operazioni militari e che fa la spola tra il Pakistan settentrionale e l’Afghanistan. L’agenzia Bloomerberg lo definisce uno dei cinque Talebani più influenti.
Se ancora molti media riportano che negli accordi di Doha la precondizione americana, e la maggiore preoccupazione, era che i Talebani si impegnassero a non dare ospitalità a gruppi estremisti, come al-Qaeda, la presenza di un personaggio come Haqqani è motivo di imbarazzo. Soprattutto in vista di un potenziale dialogo. La versione dei Talebani è un’altra: non hanno mai promesso alla Casa Bianca – precisano – di espellere al-Qaeda dall’Afghanistan. Piuttosto si impegneranno a fare in modo che nessun gruppo jihadista utilizzi il loro territorio per organizzare attentati contro gli Stati Uniti.
Non è un segreto. I gruppi estremisti in Afghanistan ci sono da tempo. In una recente intervista al Sole 24 Ore David Richards, comandante della missione Nato in Afghanistan nel 2006, non aveva usato giri di parole: «È ormai accertata la presenza di movimenti estremisti stranieri tra i Talebani, miliziani di al-Qaeda e di altre organizzazioni, che rappresentano un ulteriore punto di forza nella loro avanzata militare, ma nel breve termine».
Calcando probabilmente la mano, il 7 agosto l’ambasciatore afghano all’Onu, Ghulam M. Isaczai ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu la presenza di 10mila foreign fighters, appartenenti a 20 gruppi. «Il legame tra i Talebani e questi gruppi terroristici transnazionali è più forte oggi che in qualsiasi altro momento degli ultimi tempi».
Opinioni di parte? Forse. Ma a rendere più credibili gli allarmi c’è un rapporto, pubblicato in giugno dal Monitoring team dell’Onu, un’organizzazione di principio imparziale. «Al-Qaeda è in almeno 15 province afghane, soprattutto nelle regioni Est, Sud e Sud-Est, è guidata dall’ala Jabhat-al-Nasr di Al-Qaeda sotto la direzione dello sceicco Mahmood».
Ma quanti sono i membri del network fondato da Osama Bin Laden? Citato dalla Bbc, Sajjan Gohel, analista dell’Asia Pacific Foundation, stima dai 200 ai 500 qaedisti solo nella remota provincia di Kunar. Un numero a suo avviso destinato a crescere.
Con un simile scenario risulta difficile immaginare un Afghanistan riappacificato, governato da talebani “moderati”.
Innanzitutto, perché il Paese è ancor più sommerso dalle armi di quanto già non fosse prima. Durante l’inarrestabile avanzata talebana, l’esercito ha spesso abbandonato le basi. I talebani si sono così ritrovati davanti a quel grande arsenale, lasciato dal Pentagono all’esercito, quando confidava che da solo, ma ben armato, potesse tener testa ai ribelli. Si tratta di almeno 2mila blindati (molti nuovi), inclusi Humvees, visori notturni, artiglieria pesante (inclusi razzi anti-carro e missili), fino a 40 mezzi aerei militari, dai celebri elicotteri UH-60 Black Hawks, ad altri da combattimento, droni da ricognizione Scan Eagle. Un arsenale così pericoloso che la Casa Bianca non escluderebbe di bombardarlo, hanno confidato ufficiali Usa all’agenzia Reuters.
Ora garantire che queste armi non finiscano nelle mani sbagliate risulterebbe poco credibile. E le mani sbagliate in Afghanistan sono purtroppo numerose. Dai miliziani dell’Isis, in teoria nemici dei Talebani, ai qaedisti, con cui invece continuano a coltivare relazioni pericolose. «I Talebani e al-Qaeda rimangono strettamente allineati e non mostrano alcun segno di rottura dei legami. Nessun cambiamento materiale a questo rapporto, che è diventato più profondo come conseguenza di legami personali di matrimonio e di convivenza in lotta, ora cementati da legami di seconda generazione». Se l’obiettivo era smantellare le cellule di al-Qaeda, in modo da impedire che l’Afghanistan divenisse un paradiso per gruppi estremisti pronti a lanciare attentati, allora si può trarre una conclusione: la missione non è stata compiuta.