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 2021  agosto 21 Sabato calendario

Viaggio nella testa di Marx

A differenza di tanti colleghi di Oxford, Isaiah Berlin non fu mai tentato dal marxismo, neanche nei primi anni Trenta, quando l’immagine dell’Unione Sovietica era ancora in ascesa. Il giovane intellettuale ebreo lettone, nato nell’Impero russo, e testimone a nove anni dei guai subiti dalla sua famiglia per la rivoluzione, era un profugo del comunismo. Ma nel ’ 33, quando Oxford gli chiese una biografia di Karl Marx, accettò un incarico che avevano rifiutato i coniugi Webb, Harold Lasky e altri titolati. Il contesto era propizio, le voci impegnate contro Hitler ( e Mussolini) si facevano sentire anche nei confronti dei politici inglesi dell’appeasement, preoccupati solo del comunismo. Berlin, a 24 anni, si buttò nell’impresa: cinque anni di lavoro. Affrontò la canonica MEGA (Marx-Engels Gesamtausgabe, le Opere complete) e si immerse nella mente di questo tedesco di Treviri, ebreo riluttante, «pomposo, duro, super- intelligente, capace di battute pesanti, in verità piuttosto buone, un bullo di un genere impressionante», come avrebbe poi raccontato al suo biografo Michael Ignatieff.
È il lavoro con cui nasce il Berlin storico delle idee, capace di far rivivere contesti e caratteri che si contendono il campo intellettuale di un’epoca o di una città. Questa monografia su Marx si svolge in tre scene, Berlino, Parigi e Londra: prima la formazione, poi la rivoluzione e il Manifesto comunista, infine la British Library, il lavoro al Capitale e l’Internazionale. Nella prima il dominatore assoluto è Hegel, nella seconda e nella terza vediamo Marx trionfare sui suoi competitori e imperiosamente affermare la sua disciplina ideologica su Proudhon, Bakunin e tutti gli altri radicali, «veri socialisti», anarchici, utopisti e romantici che volevano prendere la guida delle associazioni dei lavoratori.
In quest’opera, uscita nel 1939, che appare soltanto adesso in italiano, è centrale il tema filosofico: quando Marx arriva a Berlino, a 19 anni, ci immergiamo in un tempo in cui nulla di intelligente si poteva dire o pensare che non fosse hegeliano, a destra e a sinistra. Hegel è lo spirito del tempo. La fiducia illuministica nel progresso della società sulla base dei principi della ragione cede il passo a una visione dello sviluppo più realistica e carica di conflitti: lo storicismo hegeliano è il contesto da cui nascerà la concezione materialistica e dialettica della storia, una svolta innescata da Feuerbach, un «mediocre», secondo Berlin, che però accese una miccia, nella testa di Marx, che estrarrà dalla nuvola di chiacchiere dei «giovani hegeliani», una nuova, esplosiva concezione «scientifica» del comunismo e della rivoluzione. Non basta enunciare principi perché ne scaturiscano miglioramenti. Giustizia e uguaglianza, in quanto proclami, a Marx facevano venire l’orticaria. I cambiamenti avvengono quando sono maturi, un’epoca – ora sappiamo – si pone soltanto i problemi che può risolvere perché le condizioni della sua soluzione ci sono già o sono almeno in formazione. Perché è fallita la Rivoluzione francese? Perché fallirà il 48? E la Comune? Tutto il lavoro di Marx cerca la risposta a queste domande.
Il suo pensiero e la sua vita scorrono qui con una splendida chiarezza e un’innegabile empatia da parte di Berlin, che segue «dall’interno» il suo protagonista, gli affetti, l’amore di Jenny, la povertà, la morte di tre figli, l’esilio, le delusioni politiche, ma anche il granitico sodalizio con Engels. Racconta il curatore Henry Hardy che, quando Isaiah leggeva alla moglie le pagine del libro in gestazione, lei lo interrompesse ogni tanto, chiedendogli: «Ma qui sei tu, Shaya, o lui?» e che lui la rassicurasse: «No, no, qui è lui».
L’ammirazione di Berlin è evidente nella feroce determinazione con cui Marx combatte per far penetrare le sue tesi in tutta la loro precisione, combinando il rigore ideologico con l’analisi empirica, vastissima, dei dati della realtà, a cominciare dall’economia. L’ «implacabilità» e «ineluttabilità» degli sviluppi rivoluzionari e della «dittatura del proletariato» sono anche però il cuore della critica che il giovane Berlin già muove a Marx e che tornerà in tanti saggi successivi, dai Due concetti di libertà fino a Il legno storto dell’umanità, perché il determinismo dell’avvento di una società perfetta porta sempre con sé arbitrio e violenza. «Shaya» non perdona al «Moro» – per chiamarli entrambi come facevano le loro mogli – di non aver capito che meglio degli assoluti funzionano i compromessi, che portano a riforme, e di avere sottovalutato la forza del nazionalismo che, incontrollato, avrebbe portato al fascismo. Berlin non poteva che chiudere il libro con una riflessione sulla forza delle idee, cosa che Marx aveva confutato, sostenendo che esse non possono cambiare il corso della storia, il quale dipende dalle relazioni economiche. Paradosso dell’auto-confutazione: con le sue idee Marx ha modificato profondamente tante cose ed egli «rimane la più potente tra le forze intellettuali che stanno operando una trasformazione permanente del modo in cui gli uomini pensano e agiscono».