Corriere della Sera, 21 agosto 2021
Michieletto e il palco innevato
Damiano Michieletto nel Rosenkavalier si misura con lo sfiorire del sentimento e il suo rinascere altrove, con il tempo che scorre inavvertitamente ma inesorabilmente, e trascina le passioni umane in una dolce malinconia. «C’è una frase che mi ha illuminato, ed è il mondo della Marescialla, che si consola delle assenze del marito con il giovane Octavian, e dice, guardandosi allo specchio: cerco ancora la neve dell’anno passato. Significa qualcosa che non c’è più, è andato via per sempre ed è diventato bianco, leggero. È la metafora del tempo, si dice: sciogliersi come neve al sole, così come l’amore».
È la neve («cioé il desiderio di fermare il tempo, l’elemento poetico e di scoperta»), che il 3 settembre a Vilnius, sotto la guida del direttore artistico, l’italiano Sesto Quatrini, invaderà l’intero palcoscenico. E domina lo spettacolo (nel ‘23 al Comunale di Bologna poi a Bruxelles), fino al corteggiamento di Sophie e Octavian che sono il tempo del presente, mentre la Marescialla col marito (nominato più volte, non si vede mai, ma qui apparirà anche nei flashback come figurante), rappresentano l’amore disilluso e disincantato. Si coricano con una ritualità stanca, lui le dà un bacio sulla guancia, si volta, lei spegne l’abat-jour. E la musica evapora. Richard Strauss e Hofmannstahl mettono da parte i grandi miti di Salome e Elektra, le dissonanze, la violenza, il lato nero, per mescolare stili e epoche.
Una manna per un regista come Michieletto. Da alcuni anni ha messo da parte le «ribalderie» per una cifra più rarefatta, «più introspettiva e simbolica. Ma qui si ride anche, c’è il lato comico rappresentato dal personaggio principale, il barone Ochs che è il fratello maggiore di Falstaff. Spiantato, codardo, vile, duella ma non se la sente e quando lo racconta gigioneggia come se avesse vinto una battaglia valorosa. Poi conta le sue avventure, la sua passione per le contadine, e si vede una mucca finta con delle ragazze, lui cerca di allungare le mani, le ragazze vanno via, Ochs si consola bevendo il latte appena munto. C’è come per Falstaff una burla ai suoi danni, in una scena di bambini con le teste piene di corvi». L’altra grande matrice è Le nozze di Figaro di Mozart. «Penso al binomio della contessa e della Marescialla nel matrimonio frustrato; penso a Octavian che, come Cherubino dice: non so più se son di fuoco o di ghiaccio. E poi il gioco del travestimento».
Qui però c’è un passaggio in più: un mezzosoprano che interpreta un giovane uomo che finge di essere una giovane donna. Tutto si mescola, anche il valzer. Strauss in una Vienna del ‘700 «deliziosamente falsificata e inventata», crea un lessico artificiale proteso sull’epoca di Maria Teresa d’Austria, senza alcuna verità storica. Intanto l’impero austro-ungarico si sta sfaldando e i cannoni della Prima guerra non sono lontani. Come rendere plausibile questa commedia umana? «Punto sul lato sentimentale e sull’aspetto più visionario, creando paralleli metaforici tra il testo e la musica, con la condizione dei personaggi. Ma uno spettacolo oggi non può esaurirsi in cinque repliche, bisogna approfittare delle piattaforme e della tecnologia divenuta più economica».