la Repubblica, 20 agosto 2021
Oro, gioielli, titoli: il tesoro afghano all’estero
La battaglia militare, diplomatica e politica sul terreno è stata persa in meno di una settimana. E ora l’Occidente prova a frenare la presa dei talebani sull’Afghanistan con l’arma che (in fondo) sa usare meglio: il denaro. I nuovi padroni di Kabul hanno preso il controllo fisico del Paese in pochi giorni. Ma faticheranno molto di più – così si augurano Stati Uniti ed Europa – a mettere le mani sulle sue ricchezze finanziarie: lingotti d’oro, riserve in valuta straniera, titoli di stato americani e i 21 mila gioielli degli Ori di Bactrian che valgono in tutto qualcosa come 9,5 miliardi di dollari (metà del Pil annuo nazionale) ma che sono quasi tutti custoditi all’estero e in gran parte già “congelati”. «Il regime talebano è sotto sanzioni – ha twittato Ajmal Ahmady, il governatore della Da Afghanistan Bank (Dab), la Banca centrale che custodiva questo patrimonio, fuggito dalla capitale nei giorni scorsi – e penso che riuscirà ad accedere al massimo allo 0,1%-0,2% delle riserve».
Il governo provvisorio, appena entrato a Kabul, ha iniziato subito la caccia a questo tesoretto che basterebbe da solo – secondo la Banca mondiale – a pagare tutte le importazioni di cui l’Afghanistan ha bisogno per 15 mesi. Le milizie hanno preso il controllo immediato degli edifici del ministero dell’economia, dei caveau della Dab e del Palazzo presidenziale. Dentro però, è il parere di Ahmady, hanno trovato poco: le 22 tonnellate di riserve auree nazionali (valore 1,3 miliardi di dollari) sono sotto chiave nelle casseforti della Federal Reserve di New York. Nel bilancio della Banca centrale c’erano anche 6,1 miliardi di investimenti, in gran parte in titoli di stato Usa. Quasi tutta questa somma però è depositata presso banche a stelle e strisce con una quota residuale sui conti correnti della Banca dei Regolamenti internazionali in Svizzera e della Banca per la cooperazione, il commercio e lo sviluppo turco. E la Casa Bianca, secondo il Washington Post, avrebbe già disposto il sequestro di tutti i beni custoditi negli Stati Uniti.I talebani dovrebbero invece essere riusciti a recuperare circa 372 milioni di dollari in valuta straniera parcheggiati nelle varie sedi della Dab nel Paese, la liquidità che garantiva il funzionamento dell’economia e del commercio nazionale. Nei sotterranei del palazzo presidenziale fino a poche settimane fa erano custoditi anche 160 milioni di dollari in lingotti d’oro e monete d’argento. Ma non è chiaro se e quanto di questa fortuna sia stato messo al sicuro dall’ex presidente Ashraf Ghani, che ha smentito le voci secondo cui sarebbe fuggito negli Emirati portando con sé decine di milioni di dollari. Nessuno invece sa che fine abbia fatto il tesoro di Bactrian già sfuggito in modo rocambolesco ai talebani alla fine degli anni ’90. All’epoca i custodi di questi incredibili manufatti trovati nelle tombe dei nomadi Kushan vicino alla capitale dell’antico regno greco- battriano erano riusciti a nasconderli nelle cantine del palazzo presidenziale, in un caveau che si apriva solo con cinque chiavi differenti conservate da cinque persone diverse. E i 21 mila oggetti erano stati recuperati nel 2003 quando ormai erano dati per dispersi. Non è chiaro se anche questa volta sono stati messi in sicurezza o sono già finiti in mano ai talebani.
La diplomazia occidentale, oltre a congelare i beni afghani all’estero, sta già provvedendo a bloccare gli aiuti al Paese. Qualcosa come quattro miliardi all’anno che garantiscono il 22% del prodotto interno lordo e il 75% delle spese pubbliche. Il 23 agosto il Fondo Monetario internazionale avrebbe dovuto girare a Kabul un assegno di 445 milioni come distribuzione dei diritti di riscatto tra i soci. I vertici dell’Fmi hanno però sospeso il pagamento «alla luce della mancata chiarezza sul riconoscimento del governo provvisorio da parte della comunità internazionale».
La strategia dell’isolamento finanziario, insomma, è cominciata. Se funzionerà però è tutto da vedere. «Il conto lo pagheranno soprattutto i più poveri che vedranno schizzare in su i prezzi e non avranno accesso ai loro soldi in banca», ha “cinguettato” amaro Ahmady. In soccorso del nuovo governo di Kabul potrebbero arrivare la Russia o la Cina, per interessi geopolitici ma anche per mettere le mani sulle grandi riserve minerarie (in particolare di litio) dell’Afghanistan. I talebani, che da tempo si autofinanziano con le tasse sulla coltivazione di oppio e il contrabbando non solo di narcotici ma soprattutto di carburante e beni di consumo, controllano ora tutte le vie di comunicazione chiave con l’estero. Colli di bottiglia dove chi esercita il potere raccoglie imposte (quasi sempre illegali) per svariate centinaia di milioni su tutto quello che transita. E con questo tesoretto la “resistenza economica” all’embargo straniero potrebbe durare anni.